Recensione: Diaspora

Di Gianluca Fontanesi - 16 Ottobre 2017 - 0:01
Diaspora
Band: Cormorant
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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88

I Cormorant sono come il maiale: di loro non si butta via nulla. Parliamo di uno dei tesori meglio custoditi del black metal tutto e di una band che da sempre è indipendente e autoproduce lavori di un valore artistico pazzesco. Cosa aspettate, allora? Partite dall’ep The Last Tree e gustatevi poi Metazoa, Dwellings col suo artwork fra i migliori di sempre ed Earth Diver. Ci siete? Bene. Ora che vi siete fatti un’idea del binario su cui viaggiano questi ragazzi, passiamo a Diaspora.

La parola deriva da un termine greco (διασπείρω) che significa “disseminare”, il cui significato descrive la dispersione di un popolo in varie parti del mondo in seguito all’abbandono della propria sede d’origine. La diaspora più conosciuta è ovviamente quella ebraica, seguita da quella armena, tibetana, africana e istriana; oggi ci occupiamo di quella musicata dai Cormorant, e come vedremo, anche questa sarà assolutamente memorabile.

Il disco si presenta presentato molto bene e con la solita grandissima cura visiva da parte del quartetto di Petaluma; quei cavalli coi trampoli ricordano molto gli elefanti di Dalì e il loro andare verso un vulcano fumante è quantomeno ambiguo. La proposta musicale dei Cormorant è piuttosto complessa e frutto di un percorso musicale non indifferente; possiamo metterci dento stralci di vecchi Opeth, il black metal nella sua accezione più melodica, pennellate di doom e vagonate di prog e psichedelia. Sono una band matura e completa, con una padronanza strumentale e un gusto da fuoriclasse, ed è quello che ancora una volta dimostrano col loro quarto full lenght.

Preserved In Ash mette subito in chiaro le cose partendo in quarta con un blast beat assassino e contornato dall’ottima voce in scream di Marcus; poi parte la fiera del riff memorabile con groove, chitarre sempre perfettamente armonizzate e un mid tempo da manuale del genere. La più grande capacità dei Cormorant è quella di non essere mai prevedibili o fini a loro stessi; cambiano umore a piacimento e con una naturalezza disarmante. Qui riescono ad alternare sfuriate a rallentamenti con chitarre acustiche in sottofondo per poi riprendere il tema iniziale cambiandogli tempo e atmosfera; il finale è puro doom ed è un autentico trionfo dove i temi vengono ripresi, variati, dilatati e la chitarra solista tocca anche le corde più remote dell’animo. Meraviglioso.

Sentinel complica le cose e alza ancora di più il livello con un inizio ambiguo e sulfureo; le armonizzazioni sono perenni e interlocutorie, il growl cavernosissimo e il passaggio a un riff che appare quasi solare e allegro è disarmante. Non ci sono barriere nella musica del cormorano, qui non ci si preclude nulla e l’attitudine musicale è invidiabile. C’è anche tempo per un estratto in blast beat dove risultano memorabili anche le clean vocals. La sezione ritmica è sempre azzeccata e zeppa di accenti e in questa sezione del brano dà il meglio di sé; il tripudio poi arriva attorno al settimo minuto quando si stacca totalmente, si passa all’acustico e inizia un vero e proprio trip che crea dipendenza, miraggi e in alcuni punti sembra anche di sentire richiami al meraviglioso The Dark Third dei Pure Reason Revolution. La clean vocal è effettata, fumosa e appare come un ologramma; ci si aspetta un crescendo che a un certo punto arriva, porta le tensione a livelli insostenibili ed esplode in un blast beat che è quasi liberatorio. Nel finale, dopo un assolo grandioso, si riprende il riff allegro e trovano un senso persino i tanto banali uo-o-o; ci si ritrova a cantare il tutto col pilota automatico e si conclude con scroscianti applausi.

The Devourer è un brano oscuro e brutale, durante il quale emerge l’anima più intransigente e violenta dei Cormorant; vi sono comunque alcune clean vocals a dare un po’ di aria all’atmosfera mefitica e malsana ma non basta. Il brano nella sua fase iniziale è un vortice di death metal senza alcun compromesso; presto però si stacca e con le chitarre ci si arriva anche a scherzarci sopra. Il cambiamento totale poi avviene nella fase centrale, nella quale si assumono connotati ariosi e clean vocals eteree; il songwriting poi si complica e si screma a piacimento in favore di riff old school che mai male non fanno e in questo frangente fanno la loro porchissima figura. Finale zeppo di stacchi e chitarra solista spaziale e invadente.

Migration è la quarte e ultima traccia dell’album e dura la bellezza di ventisei minuti e quindici secondi! Si, avete capito bene, quindi fate pure i pop corn e godetevela!Il tema portante si affaccia ancora una volta al funeral doom con ottimi risultati e questa volta lo si porta avanti giustamente per qualche minuto con buona intensità. Fanno capolino alcune clean vocals prima dell’arrivo di dissonanze tanto care ai vecchi Opeth seguite da passaggi ottimi e dall’ossatura tipica degli anni ‘90. La parte solista è come al solito concepita ed eseguita molto bene e non vi è mai dello sbrodolo fine a se stesso; la tecnica è solo un veicolo per i Cormorant, mai un’ostentazione e mai un biglietto da visita da sbattere in faccia gratuitamente. Gli stacchi di maideniana memoria al minuto nove sono molto molto belli e alternati alle parti in scream rendono ancora di più; spunta poi una fase strumentale con un gran bel riff a sostenere la chitarra solista e chiude il cerchio una clean decisamente riuscita. Cambio di atmosfera, si passa all’acustico e alla pura psichedelia; viene quasi l’impulso di attaccare la chitarra e suonare qualcosa sulla trama dei Cormorant, che qui raggiunge grandi livelli. Chiudete gli occhi e lasciatevi trasportare da dieci minuti di pura meraviglia uditiva, che altro dobbiamo dire?

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Quando i toni tornano a distorcersi si fa quasi fatica ad accettarlo e ci si sente un po’ incazzati come un bambino appena nato e uscito dal tepore dell’utero; si passa ovviamente al doom più feroce e ad un alternarsi di vocalizzi growl e clean. Presto arriva una lunga serie di stacchi seguita dalla ripresa dei temi portanti della prima parte; conclude l’opera il grandioso stralcio maideniano servito prima in blast beat e poi in maniera più ritmata.

Il Phalacrocorax carbo, più comunemente conosciuto come cormorano, è un uccello che si nutre di pesci, crostacei e molluschi e molti pescatori addirittura lo vedono come concorrente per la pesca. In alcuni paesi viene utilizzato per pescare e nel nord della Norvegia è un uccello semi – sacro. Nel metal non è un altro pianeta ma un sistema solare a se stante, con le sue stagioni, i suoi umori, i suoi cicli vitali e le sue regole. Noi siamo solo umili osservatori e piccoli ascoltatori, perché i Cormorant ti fanno appunto sentire una nullità rispetto al loro grandioso e variopinto universo, dove le barriere e i canoni stilistici imposti sono solo un lontano ricordo.

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