Recensione: Disciples of the Sun

Di Marco Giono - 22 Maggio 2015 - 11:00
Disciples of The Sun
Band: Pyramaze
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2015
Nazione:
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70

Nel 2001 crollano le torri gemelle. Luminari, statisti e letterati pontificavano che il mondo non sarebbe più stato lo stesso. Nemmeno per un giorno, pare. In ogni caso pensai che anche il battito di una farfalla in una foresta lontana altera il divenire di eventi all’apparenza disconnessi tra loro.  
Nel 2002 Matthew Barlow lascia gli Iced Earth per difendere la sua patria dalle forze del male arruolandosi nella polizia. I luminari lo avevano predetto e io al solito ero stato sarcastico. Se sei un fans di quella voce? Ti fai fare una multa dal fulvo cantante americano? Anche no. Lo cerchi su google. Scorrono immagini poco confortanti di lui che canta nel coro degli sbirri ed è anche senza capelli. Santi Lumi! Spengo.
Solo anni dopo, nel 2008, riappare il suo nome tra le notizie metal e venie associato a un gruppo americano allora non molto famoso, tali Pyramaze. L’idea era che prestasse la propria voce per un solo album e così è stato (anche se Jonah Weingarten, leader del gruppo americano, probabilmente sperava in qualcosa di più).

Dal fluttuare delle tragiche ceneri generate delle due torri gemelle, in un destino dalle mille biforcazioni si formano i Pyramaze e nel 2004 danno alle stampe Melancholy Beast, per poi ripetersi con l’altrettanto valido The Legend of Bone Carver (2006). I primi due dischi si muovevano in un heavy metal classico valorizzato però dai vocalizzi di Lance King.  Trascorrono due anni e i Pyramaze pubblicano invece l’ottimo Immortal ed alla voce vi è quindi Matthew Barlow (per chi scrive l’ultimo album davvero valido in cui figura il talentuoso cantante). Poi gli anni si susseguono nel silenzio.  Cosa è successo realmente al gruppo danese? La voce di Jonah Weingarten (tastiera e leader del gruppo) sembra lontanissima quasi provenisse da una ciotola di riso, dice che c’è una tormenta di neve, ma nell’intervista telefonica non specifica a cosa siano dovuti i sette anni di silenzio prima dell’annuncio di un nuovo cantante, tale Terje Haroy (preso in prestito dai norvegesi Crossnail). Però ci racconta che è stato Jacob Hansen (al basso dal 2011) a suggerire chi dovesse essere la nuova voce del gruppo. Perché Jacob, un bassista da poco in formazione, ha avuto così tanta influenza sulla scelta? Semplice è un importante produttore in ambito metal, infatti ha lavorato con Epica, Kamelot, Delain, Primal Fear, Pratty Maids e molti altri. Uno che ne sa.  Andiamo a vederci dentro.
Immortal era un ottimo disco. Barlow si muoveva a proprio agio in un heavy classico che in parte ricordava, per arrangiamenti e soluzioni melodiche, Something Wicked This Way Comes degli Iced Earth, tuttavia ci potevi trovare anche dentro quell’attitudine in bilico tra epicità e armonizzazioni corali che è riconducibile al gruppo danese.
Solo che ora dobbiamo dimenticarci Immortal. Sette anni dopo i Pyramaze si muovono in altra direzione e il nuovo Disciple of the Sun è manifesto probabilmente di una svolta, l’ennesima, forse definitiva. Dagli antichi cieli del power metal il gruppo americano si muove ora verso un metal più moderno pur conservando parte della classicità che è nel proprio dna.
“We are the Ocean” è intro strumentale che si muove in un crescendo di piano e orchestrazioni in un mood malinconico. Le avvisaglie di un’evoluzione fluttuano quindi in note sinfoniche. Infatti l’approccio heavy dei Pyramaze viene contaminato da tastiere e parti orchestrali che muovono la partitura della seconda traccia intitolata “The Battle of Paridas”. Quando la voce di Terje Haroy si svela, rimango colpito dai suoi vocalizzi verso l’alto, quasi fosse un grido rabbioso controllato qualcosa che tendo a definire contemporaneo o forse moderno.  Quel modo di cantare infatti ricorda in parte le parti vocali pulite degli Scar Symmetry, ma vi sono anche rimandi alle melodie degli Alter Bridge (per varietà e originalità il gruppo americano è di ben altro spessore).
La title track “Disciples of the Sun” prosegue il nuovo cammino del gruppo danese verso un’epicità esaltata da voce, tastiere e orchestrazioni. Il brano funziona, viene registrato nei nostri ricordi e lì rimane, anche grazie alla batteria, mai invadente, ma capace di trascinarci verso cieli antichi carichi di epicità.  
La quarta traccia “Back for More” sorprende con suoni di tastiera all’apparenza giocosi per poi martellare e danzare allo stesso tempo disegnando melodie che mettono al centro la voce sempre potente ed evocativa di Terje.
Segue la più rocciosa ed altrettanto riuscita “Genetic Process”, riff e tastiere dialogano incessantemente a restituirci un brano di forte impatto. La sesta traccia “Fearless” accelera i tempi, mettendo in evidenza ancora una volta la chitarra di Skjonnemand a la sua capacità a lasciare il segno quando è chiamato in causa.
Da qui in poi i brani si susseguono prediligendo l’alternanza di riff distorti a passaggi di tastiera che venano di colore le plumbee partiture metal. Le melodie però non trovano spunti particolarmente interessanti e la voce di Terje Haroj stenta a diventare trascinante come nei primi brani.

Non mi sono dimenticato di voi. Mi avevate stupito nel 2008 e Immortal tornava spesso nei miei discorsi, quando in fondo mi trovavo a liquidare la reunion degli Iced Earth come una cosa buona purtroppo solo live e non mi rimaneva che riascoltare il vostro ultimo disco perché in fondo era anche un’anomalia bellissima. Così nel 2015 riappare nelle liste degli album di prossima pubblicazione Disciple of the Sun e non potevo fare altro che seguirli di nuovo nell’ennesimo tentativo di fuga.
Ci provano realmente a fuggire, a creare qualcosa di diverso dal passato, ma che allo stesso tempo non tradisca del tutto le proprie origini. Ci provano, ma l’esperimento è riuscito parzialmente, la voce che fino alla sesta traccia disegnava melodie abbaglianti all’improvviso si ritrova a ripetere un copione che presenta poche variazioni, stenta per por poi ripetersi senza spunti particolarmente originali. L’energia delle partiture create dai Pyramaze si esaurisce con il passare dei minuti e persiste nell’ascoltatore una sensazione di deja-vu complice anche dei suoni poco pesanti di chitarra e di batteria che invece esaltano la voce. 
Disciple of the Sun contiene dei brani più che buoni, ma lentamente si avvita su stesso come una ballerina dalle movenze eleganti e graziose che tuttavia all’improvviso esitasse per poi rallentare stanca (o non convinta del tutto?) a metà dell’esibizione.

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