Recensione: Doin Earde

Di Nadia Giordano - 7 Ottobre 2015 - 7:00
Doin Earde
Band: Kanseil
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2015
Nazione:
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78

Il folk metal è ormai diventato il fenomeno commerciale del momento, soprattutto tra i più giovani, ma poche sono le band che riescono a trasmettere il verso significato insito nella parola folk…folklore. 

Molti tendono a sfruttare tutto quello che il repertorio consente, regalando una vera e  propria accozzaglia di suoni…batteria serrata e growl a profusione, senza dimenticare flauti, ghironde  e cornamuse, simbolo per antonomasia di questo genere. Eppure continuano a chiamarlo folk, mah!

Fortunatamente non è il caso dei Kanseil, gruppo giovane, nato nel 2010 tra le province di Treviso e Belluno, che ha fatto tesoro delle proprie tradizioni, sia per curiosità personale, sia grazie ai racconti tramandati dai nonni.

Si, perché loro non si limitano al solo metal, ma regalano anche agli ascoltatori il folk, attraverso l’uso di caratteristici strumenti come il kantele e le cornamuse di Luca Zanchettin, i flauti (alcuni fatti a mano) ed il rauschpfeife di Stefano Da Re, le percussioni di Luca Rover ed il bouzouki di Davide Mazzucco, ma anche grazie ai loro testi, ricchi di tradizione e leggenda e ad un sapiente utilizzo di un sound fresco ed originale, sebbene quest’ultimo venga comunque influenzato da gruppi quali Folkstone, Metsatöll ed Eluveitie, giusto per citarne alcuni.

Il nome Kanseil, deriva dall’antico nome dell’altopiano del Cansiglio. Basterebbe solo questo per far respirare l’aria del folklore ed invece, andrò a raccontarvi, perché alla fine di questo si tratta, “Doin Earde”, il primo full-length di questo gruppo veneto. Undici tracce che trasudano tradizione da ogni poro.

 

Si inizia con “Lo spirito della notte”, dove la voce narrante del singer unita alla chitarra acustica, aprono le porte ad una poesia tanto cara ai Kanseil, poesia che fa riflettere sulla maestosità e sul potere che Madre Natura ha nei confronti dell’uomo, il quale può solo sottomettersi ad essa e rispettarne la sacralità.

La successiva “Ciada Delàmis” rimanda ad un sound dal sapore a tratti rockeggiante, grazie alla sei corde di Federico Grillo che ben si intreccia alle cornamuse di Luca Zanchettin ed al canto di Andrea Facchin, a metà tra growl e voce chiara e pulita. Questi elementi servono per riportare alla mente la Ciada Delàmis, leggenda ladina che racconta la storia di un conte della Val Pusteria che, partito alla ricerca dell’arco d’ègues, perde sua moglie, colpita dal Birta odlata (il malocchio) e si ritrova a combattere contro gli stregoni dell’altopiano del Cansiglio per liberare l’anima della sua sposa. 

 

Questi stregoni del bosco, cavalcavano su degli orsi ed erano talmente possenti in battaglia, tanto da squarciare la valle del Cansiglio e creare il lago di Santa Croce ed il lago Morto.

Con la title-track “Doin Earde” non abbandoniamo il sound precedente, anche se l’uso del growl si fa più insistente ed i suoni diventano più tirati, una sorta di denuncia contro il continuo sfruttamento della natura, della “Tua Terra”.

“Panevìn” invece richiama i suoni tipici dei Folkstone, soprattutto nel refrain. Con questo brano entriamo nel solstizio d’inverno in cui, la notte del 5 gennaio, se brusa la vecia, ovvero si brucia la vecchia, simbolo dell’anno trascorso, che lascia spazio a quello nuovo. A seconda della direzione del fumo si potrà predire se la nuova annata sarà buona oppure cattiva per i raccolti. 

Con “Ais Un Snea”, ci addentriamo nel vero cuore delle tradizioni montane. Sono necessari solo il vento, l’arpeggio di una chitarra ed il coro di voci lontane, tutto il resto non conta. Ais un Snea, ghiaccio e neve, simboli della ciclicità di Madre Natura,  quella natura che riesce ad opporsi all’effimero passaggio della vita umana. 

Curiosità: il testo, datato 1800 d.C è stato ritrovato in una chiesa di Asiago.

 

Ad accompagnarci nella successiva traccia ci pensa il folletto “Mažaròl”. Qui i Kanseil utilizzano continui cambi di tempo e di ritmo nonché accordi energici e penetranti, grazie ai quali possono descrivere al meglio il carattere ambivalente di questo spiritello dei boschi, a volte buono, a volte dispettoso.

Luogo temuto e rispettato da molti, nonché la voragine più profonda del Cansiglio è il “Bus De La Lum”, considerata, nella tradizione popolare, come luogo di accesso agli inferi. Il Bus De La Lum è stato anche testimone di numerosi combattimenti avvenuti nella Seconda Guerra Mondiale, durante il periodo della Resistenza e per sottolineare quella “Ferita che resterà incisa nel nostro pian”, i Kanseil decidono di utilizzare, nella parte centrale del chorus, un riff poderoso di chitarra, proprio per accentuare ancor di più quell’avvenimento.

 

La successiva “Bosch Da Reme” invece, ci conduce nel passato, fino alla battaglia di Lepanto del 1571, dove Venezia custodiva gelosamente quel bosco di faggi del Cansiglio, per costruire i remi per le proprie imbarcazioni.

“Tzimbar Bint” , vento Cimbro è un omaggio alla cultura dei Kanseil, alla loro terra ed alla loro storia. I Cimbri del Cansiglio, sono una minoranza etnica di origine tedesca che si è stabilizzata sulle montagne tra le province di Treviso, Belluno e Vicenza, un popolo molto legato alla terra ed alla foresta. La traccia è molto melodica, piena di pathos e volutamente cantata in italiano, proprio per raggiungere tutti gli ascoltatori.

 

Siamo quasi giunti alla conclusione di questo Doin Earde ed i Kanseil attraverso l’unico pezzo acustico, “La Sera”, vogliono ancora ricordarci l’importanza  che la Natura ha sull’esistenza umana, perché la sera giunge sempre alla fine di un ciclo di eventi e l’uomo, nel silenzio della notte, non può far altro che abbandonarsi a questa quiete. Anche in questo brano, l’uso del solo arpeggio di chitarra, unito al coro ed alla voce del singer, bastano per identificare quest’idea di pace.

 

La traccia finale “Vajont” è un monito per non dimenticare.

Tutta la rabbia dei Kanseil viene riversata in questo brano. Serrati riff di chitarra e suoni pesanti di batteria sono uniti al growl ed alla voce del cantante, che richiama l’attenzione su quel disastro causato, il 9 ottobre del 1963, dall’avidità e dalla leggerezza di pochi uomini. Il tempo non potrà mai guarire le ferite di quella strage, ma grazie ai pochi sopravvissuti, la memoria di chi ha perso la vita in quella tragedia non verrà mai dimenticata.

 

“Corpi che affioran sul letto di morte

silenti tutti restaron di fronte alla valle, 

vite spezzate che gridano ancora, l’urlo

che sordo fu avvolto nell’ombra.

Silenzio tremante di chi già sapeva, 

dell’uomo che è causa della propria rovina

vivranno per sempre nei secoli ancora, 

vivrà chi è morto nella nostra memoria.”

 

In conclusione, questo “Doin Earde” non è certamente un album immediato, ma deve per forza di cose essere ascoltato più volte, anche con testi alla mano, per comprendere al meglio tutte le sfaccettature delle tradizioni, storie e leggende del Cansiglio. Fatto questo, avrete sicuramente tra le mani un disco che non dimenticherete facilmente, proprio perché esula dalla maggior parte della musica folk-metal presente sul mercato perché originale ed autentico.

 

 

“Bolként im lànt der Tzimbarn!”

Benvenuti nella terra dei Cimbri!

 

 

Note sulla produzione:

i suoni dei singoli strumenti sono ben distinti, senza sbavature, anche se il basso di Dimitri De Poli risulta essere un po’ nascosto rispetto agli altri.

Molto buono l’equilibrio tra voce e strumenti, anche per quanto concerne la timbrica.

Ascolto gradevole nella sua totalità.

 

 

Nadia ” Spugna” Giordano

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