Recensione: Flames Of Black Fire

Di Marco Donè - 30 Dicembre 2015 - 0:01
Flames Of Black Fire
Band: Negacy
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2015
Nazione:
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75

Arrivano dalla Sardegna i Negacy e, grazie all’occhio lungo della Jolly Roger Records, pubblicano il debutto Flames Of Black Fire che ci troviamo a curare in queste righe. La band nasce dalle ceneri dei Red Warlock, o meglio, visto l’evoluzione stilistica avuta, la formazione ha deciso di cambiare nome, abbandonando il vecchio moniker e optando su Negacy, che nasce dall’unione delle parole “negation” e “legacy”. La band, ora, propone un heavy metal moderno in cui l’influenza dei Nevermore è ben evidente, in particolare nel lavoro delle chitarre svolto da Andrea Gribaldi e Gianni Corazza. Ma non solo Nevermore. Tra i nomi che possono esser accostati all’attuale proposta del quintetto di Sassari, ci sono sicuramente i norvegesi Communic, senza dimenticare quella componente prog, riconducibile ai Symphony X più aggressivi.

 

Flames Of Black Fire si struttura in dieci tracce, in cui i Negacy mettono in mostra capacità tecniche che non temono confronti con nomi ben più blasonati. Ad attirare subito l’attenzione dell’ascoltatore, risulta il già citato lavoro delle chitarre. Riff e assoli, nonostante la loro complessità, hanno la capacità di entrare in testa in modo quasi immediato. Certo, in qualche frangente le influenze sono evidenti (chi ha detto Loomis?), ma ciò non toglie fascino alle singole parti, alle melodie, agli arrangiamenti. Ma è aumentando il numero degli ascolti che iniziano ad affiorare particolari che possono sfuggire a primo impatto. Così è facile rimanere colpiti da un lavoro al basso estremamente curato, dove Tony Rassu dona il giusto groove, ritagliandosi, quando la canzone lo permette, lo spazio per mettere in mostra le proprie doti. Notevole la prestazione di Claudio Secchi alla batteria, sempre alla ricerca di soluzioni mai banali, cercando, inoltre, di dare i giusti accenti per valorizzare i passaggi ricercati che costituiscono il guitarwork del disco. Degna di nota anche la prestazione di Marco Piu al microfono. Il cantante punta maggiormente sulla teatralità, diventando perfetto interprete del Negacy sound. Risulta, così, aggressivo nelle strofe, per poi lasciare libero sfogo alla propria voce in ritornelli ben strutturati e dalle accattivanti melodie. In alcuni frangenti, vista la struttura delle sue linee vocali, il nome Warrel Dane può fare capolino nella mente dell’ascoltatore. Va inoltre detto che l’ottima prestazione dei cinque musicisti, viene valorizzata da una produzione curatissima, moderna, grossa, frutto del maniacale lavoro di Andrea Gribaldi, che oltre a tessere trame chitarristiche di prim’ordine, ha curato anche mixing, mastering e produzione del disco, nei suoi Red Warlock Studio di Londra.

 

Durante l’ascolto, Flames Of Black Fire risulta un disco compatto e ben strutturato, in cui, per comprenderne meglio la complessità e la scelta di alcune soluzioni in fase di sogwriting, bisogna prestare particolare attenzione ai testi. Testi impegnati, che analizzano l’attuale società, che vengono ben rappresentati dalle musiche e dalla prestazione vocale di Piu. Esempio di questa ricercatezza sono le parole di Need No Guidance, la cui strofa che precede il ritornello risulta importantissima per comprendere il pensiero della band. La incontriamo due volte nel corso della canzone. La prima volta, si presenta in questo modo:

 

Since you were born,

you’ve been asking for help

and they came up with their hypocrisy

to keep you safe to keep you weak

they put lies in your brain to steal your future

 

Mentre, la seconda volta, risulta così modificata:

 

Since you were born,

you’ve been asking for help

and they came up with their hypocrisy

don’t forget their presence

‘cause they are a part of you

you need their guidance

 

Quasi a voler sottolineare come l’attuale società sia schiava del sistema. Un sistema che impone regole da seguire praticando una sorta di lavaggio del cervello. Quasi a voler sottolineare la necessità di una ribellione che porti a fuggire dalla gabbia in cui siamo stati rinchiusi. Allo stesso tempo, però, questa rivolta è impossibile, l’attuale società è incapace di pensare con la propria testa, necessita di una guida. Una guida che inevitabilmente la condurrà all’interno di una gabbia. E proprio Need No Guidance, rappresenta, assieme alla title track, il manifesto del disco. Due canzoni in cui l’essenza di quello che precedentemente definimmo Negacy sound, tocca, forse, il proprio attuale apice espressivo. Parti moderne si mescolano a parti più classiche, l’aggressività si mescola alla melodia. Il ritornello di Flames Of Black Fire, poi, è semplicemente perfetto. Da segnalare, inoltre, The Great Plague, in cui la componente prog citata all’inizio, trova la sua espressione. Per questa traccia, i Negacy hanno girato un videoclip che potete trovare qui. Altra gemma assoluta del disco è la semiballad Nothing Changes. Canzone che fa nascere nella mente di chi sta scrivendo queste righe, e in maniera del tutto spontanea, il paragone con Believe In Nothing dei Nevermore.

 

Come spesso accade, però, in particolare quando si ha a che fare con i “più bravi”, è normale cercare il classico pelo nell’uovo, quel qualcosa che possa stimolare l’ambizione a migliorare, sempre. E così, risulta inevitabile notare come Flames Of Black Fire presenti una parte finale in cui viene meno quella carica, quel trasporto che caratterizza il resto del disco. Le ultime due tracce dell’album, risultano infatti uno scalino sotto le altre. Buone canzoni ma sicuramente meno ispirate. Stiamo parlando di Eye Of The Thunderstorm, canzone caratterizzata da una matrice classica che la porta ad essere al limite con il contesto in cui si sviluppa questo primo platter. Epitaph, invece, pur rappresentando in maniera evidente il marchio Negacy, risulta meno coinvolgente rispetto al resto del disco, vittima forse di un ritornello scontato, cosa che non ti aspetteresti dal quintetto sardo. Peccato, perché la struttura della song, e in particolare le melodie delle chitarre, sono veramente ricercate. Esigenti? Forse, ma con il quintetto di Sassari è obbligatorio esserlo.

 

Da quest’analisi, risulta evidente come, una volta in più, l’Italia sia in grado di dare alla luce band capaci di competere con chiunque, senza timori reverenziali. I Negacy sono proprio questo. Una formazione matura, tecnicamente preparata, songwriting vincente, idee chiare sul percorso musicale da seguire. Il risultato è Flames Of Black Fire, un disco riuscito sotto ogni punto di vista. Qualche piccola sbavatura nel finale non ne inficia assolutamente la valutazione. Anzi, queste piccole “imperfezioni” serviranno all’ambizioso combo sardo per limare e perfezionare ulteriormente la propria proposta, per superare quanto di buono messo in luce con il debutto qui curato. Al momento, però, è giusto gustarsi questo primo platter, un album da non farsi assolutamente scappare. Complimenti, Negacy.

 

Marco Donè

 

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