Recensione: Infinitas

Di Fabio Vellata - 10 Novembre 2013 - 0:09
Infinitas
Band: Circles
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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83

Dopo l’odierna scoppola rimediata dall’italrugby per mano dei leggendari Wallabies, consoliamoci ascoltando un prodotto che arriva proprio dalla lontana terra dei canguri, paese rinomato non solo per la bellezza delle spiagge, per il surf e per essere la patria del rugby moderno, ma pure per l’ottimo livello di una scena musicale da sempre prodiga di uscite interessanti, oltre che “madre” di una delle più grandi hard rock band mai esistite sul pianeta.

Il riferimento ad Angus Young ed ai suoi Ac/Dc, quando si parla di chitarre ruvide ed amplificatori rombanti è, come ovvio, immediato: tuttavia, a dispetto dei numerosi cloni nati negli anni, non di solo hard rock vive la soleggiata Australia.
La dimostrazione ci arriva proprio da questi interessantissimi Circles, band originaria di Melbourne che con “Infinitas” conquista il bel traguardo del secondo album in carriera.
Il loro, infatti, è un modo di scrivere e concepire la melodia che non ha davvero nulla a che vedere con il boogie alcolico di zio Angus: radici profondamente nordeuropee, senso ritmico “svedese”, gusto per i tecnicismi ed una evidente tendenza alla costruzione di armonie spesso crepuscolari, decadenti e dal sapore brumoso, costituiscono il tappeto su cui erigere architetture progressive dai chiarissimi riferimenti Djent. Ovvero, quel genere anomalo che, unendo gli accordi circolari e rimbalzanti di Fredrik Thordendal e l’estro melodico di Devin Townsend, è ormai divenuto un capitolo del tutto a se stante nel grande libro della musica metal.

Passando attraverso pericolosi e taglienti riff di matrice death, per godere poi d’improvvise aperture che giungono repentine come squarci di sole in un cielo plumbeo, i cinque canguri dimostrano di aver compreso la ricetta in modo esemplare, mandando in orbita un disco accostabile a quanto di buono realizzato in epoche recenti da Persefone, Mnemic, Tesseract e soprattutto Textures, band quest’ultima che, più di ogni altra, può valersi del titolo di influenza massima.
Ruvidi, potenti, talora rabbiosi, i Circles mettono in scena l’armamentario completo utile nella realizzazione di un buon album progressive-djent, stupendo sin dalle prime battute con una serie di canzoni mature ed immediatamente godibili. Caratterizzate cioè, da un equilibrato mix di orecchiabilità istantanea (alla Devin) e di aggressione selvaggia di stampo “meshugghiano” (i giri di chitarra di “As It Is Above” e “So It Is Below” talvolta paiono davvero uscire dalle dita di Thordendal), in cui atmosfere apocalittiche e toni onirici da sogno mistico, danno piena facoltà alla mente dell’ascoltatore di immergersi in una coinvolgente esperienza sonora.

Davvero molto belle le iniziali “Erased” e “On My Way”, tracce evocative che si appiccicano alle orecchie per mezzo di un impasto melodico ricco di sfumature, eppure diretto e persino di facile ascolto. Monumentale il lavoro svolto da Ted Furuhashi e Matty Clarke, talentuosa coppia di chitarristi che mostra fantasia e straordinaria sostanza. Altrettanto cariche di dettagli le articolate e corpose “Ground Shift” e “Visions”, episodi in cui apprezzare un costante dualismo tra una natura eterea ed estatica che va a fondersi con assalti impazziti dai tratti al limite del grind, per poi lasciarsi andare alle profondità di suoni ribassati ed accordi da abisso cosmico.
L’anima circolare di “Responses” ricorda invece in larga misura un buon compromesso tra i già citati Textures e Mnemic: sono le stelle lo scenario ideale per un brano che riserva il ritornello migliore dell’intero disco, pur trattando argomenti non esattamente “facili”.

Suoni realmente rotondi e ben prodotti, mettono in evidenza le vocals drammatiche di Perry Kakridas nella veloce “Radiant”, ennesimo passaggio in cui la duplice essenza ruvida e delicata dei Circles sublima nelle pennate della coppia di asce che, ruggendo senza sosta, inanella riff su riff con precisione straordinaria ed enorme buon gusto. Maestoso il tramutarsi da tonalità aggressive di derivazione death (particolari che ad un ascolto superficiale e disattento potrebbero sfuggire) ad un finale simil acustico vicino all’eleganza di Satriani ed al magnetismo dei Floyd.

“Wheels In Motion” ha dalla sua il taglio più commerciale dell’intero cd, con ritmi urgenti e linee di melodia dilatate in stile Townsend/Textures su cui erigere un cantato che, elemento del tutto atipico, assume talora similitudini con il rap. Un esperimento di passaggio che appare però in secondo piano rispetto alla fiammeggiante conclusione.
Introdotta dalla breve “The Signal” – ritmi tribali e chitarre acustiche – la terminale “Verum Infiniti” descrive tutta l’arte del quintetto australiano, ponendo in luce in modo definitivo l’anima evocativa di un sound avvolgente che racconta di scenari grandiosi, sensazioni oniriche e colori accecanti, riflettendo ancora una volta emozioni profonde ed un profilo testuale dal chiaro taglio filosofico (“Everything is nothing now, emotions are what I make in my head but feel in my heart”).
La degna chiusura di un ottimo album.

Bella scoperta i Circles, gruppo che allineandosi un po’ alla nuova moda del Progressive-Djent, dimostra di avere ogni caratteristica richiesta e necessaria per competere senza alcun timore con chi, prima di loro, ha conquistato le ribalte del genere.
“Infinitas” è un disco che non impiega molto a conquistare l’ascoltatore affine a sonorità dilatate e visionarie, attraendo con suoni moderni, atmosfere profonde ed un elevato potenziale d’immediata fruizione.
L’equilibrio tra situazioni articolate e momenti ad ampio respiro, definisce infine i contorni di un lavoro riuscito, godibile e davvero molto ben realizzato, degno prosecutore di uno stile di far musica in grado di affermarsi ormai ovunque.

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