Recensione: Lupercalia

Di Andrea Poletti - 3 Febbraio 2016 - 0:05
Lupercalia
Band: Selvans
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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75

Un inno alle tradizioni italiane sotto forma di melodic black metal, la cultura folkloristica mediterranea che si innesta nella matrice musicale più intransigente per crearne oblique figure. I Selvans possono tranquillamente essere ritrovati in queste poche linee guida; più dettagliatamente nascono dalle macerie dei Draugr, dopo la decisione di porre fine all’avventura della band nel 2013, per continuare quella tradizione che sempre più raramente vede degli italiani comporre musica italiana raccontando il nostro caro bel paese. Racconti fuori dagli schemi che guardano al trascorso, alle tradizioni e alla riscoperta di una cultura oggi lasciata a marcire in un angolo. Un combo, che meritatamente, in pochissimo tempo riesce nell’invidiabile traguardo di siglare un contratto presso la nostra Avantgarde Music (casa discografica italiana nota per le prelibatezze in ambito underground) riscuotendo un discreto successo da stampa e pubblico attraverso Lupercalia, un album che di facile, immediato e scontato non ha davvero nulla. Un solo EP alle spalle targato 2014 e via che si va dritto dentro il mondo del primo full-lenght, 6 tracce solamente, di una cui una prettamente strumentale che funge da intro si inerpicano per un’ora di musica che non lascia indifferenti; cosa aspettarsi da tutto questo? Un ottimo primo passo verso l’esplorazione di un black metal non canonicizzato, fuori da schemi prefissati e con tanta dose di personalità che non guasta mai. Canzoni lunghe, lunghissime, intricate, contorte e di non facile assimilazione si susseguono l’una dietro l’altra per trascinarci volenti o nolenti lungo le foreste degli Appennini, tra fiumi, alberi, la fauna, la flora e perché no, qualche creatura mitologica di passaggio.

L’album si snoda attraverso forti e caratterizzate venature folkloristiche, atmosfere figlie di un tempo passato, che ci riportano ipoteticamente indietro nel tempo, canzoni di ottima fattura quali l’iniziale Versipellis o la terza O’Clitumne dimostrano l’innata dote da parte dei Selvans di creare molto dal poco. Come un fabbro che da un tronco morto trova spunti per donare al mondo una preziosa opera d’arte. Strumenti metaforicamente “poveri” quali flauti ed arpe si inseriscono alla perfezione tra una sfuriata e l’altra, tra un blast beat ed uno screaming sulfureo, riuscendo a portare dinamicità ed autenticità ad ogni singolo brano. Sovrastrutture di livelli sonori che centrano in pieno un caleidoscopio di visioni piene di simbolismi celati ai comuni. Certamente la scelta di aumentare la dilatazione tempistica di ogni brano, che varia in media sui dieci minuti sino alla conclusiva N.A.F.H. da diciassette, offre lo slancio verso quella piattaforma, progettata in maniera certosina, che lasciare rinascere la storia in quelle vicissitudini liricizzate comprensibili solamente a chi è nato e vissuto in tali località.

Hirpi Sorani nei sui dodici minuti regala ambientazioni al limite del cinematografico, dove i sacerdoti Soranus camminavano sulle braci ardenti con le interiora delle capre sacrificate nelle lande etrusche Surine, oggi ipoteticamente rintracciabili nell’odierna Viterbo. Gesta paradossali ma piene di fascino e costumi così profondi da far venire la pelle d’oca. Ovviamente la scelta di cantare sia in italiano che in inglese porta ad un’ coinvolgimento maggiore da parte dell’ascoltatore che riscopre in Lupercalia una lingua spesso maldigerita da molti musicisti nostrani; ricordare la potenza e l’imponente ”epicità” del nostro idioma che ha molto ancora da scoprire e farsi scoprire è fondamentale. Difficile riuscire a catalogare i Selvans all’interno di un contesto musicale ben specifico, figli di un’innovazione e di una curiosità verso gli strumenti classici e non che in molti dovrebbero prendere come insegnamento e tramandare alle generazioni venture.La conclusiva N.A.F.H., come già accennato, è la “suite” che chiude il cerchio, una lunga traccia da diciassette minuti che può ipoteticamente venir scissa in due grandi porzioni, dove le sfuriate di matrice black si incanalano in un percorso contorto ed infausto verso una malvagità lenta, soffocante con voci che ti sussurrano gli echi dell’oscurità.Ottima la produzione che riesce a trasmettere quel lugubre percepibile sin dai primi secondi, dove le strutture delle chitarre diventano una soundtrack perfetta sulle voci e i cambi di tempo. Un art-work che ricalca alla perfezione le tematiche trattare, presentato su un lussuoso A5 dona maggior risalto all’opera, che senza ombra di dubbio, risulta ricercata e dettagliata sotto ogni aspetto. 

Praticamente intoccabile, il gusto del riconoscimento spetta al singolo che deve solamente decidere se ricalcare le orme degli antichi o vivere in una modernità spesso fuori contesto scenico.Scarno, pestifero ed intollerante Lupercalia si presenta come un album che non avrà con se una lunga storia alle spalle, ma che regala un bagaglio di emozioni che in pochi riusciranno ad intercettare, facendone tesoro. Là dove l’Italia affronta il suo antico passato, i Selvans si cibano avidamente per ricordarci quanto care siano quelle terre spesso dimenticate.

“Il buio incombe!

E alla fine di esso

Una flebile luce

Preludio

Del nulla.”

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