Recensione: Mariner

Di Gianluca Fontanesi - 28 Aprile 2016 - 0:01
Mariner
Band: Cult Of Luna
Etichetta:
Genere: Alternative Metal 
Anno: 2016
Nazione:
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82

Ben vengano le pause fino a data da destinarsi se dischi come Mariner ne sono il risultato! Ci eravamo lasciati così coi Cult Of Luna, con un interlocutorio annuncio in seguito alla pubblicazione di Vertikal II che lasciava intravedere scenari funesti per il futuro della band; cose fugate all’improvviso qualche mese fa con l’annuncio di un nuovo album e un’insolita collaborazione con Julie Christmas. Se i Vertikal fecero del loro meglio per esplorare le città, Mariner si sposta su coordinate spaziali e votate all’universo; concettualmente parliamo di un viaggio interstellare che alcuni coraggiosi intraprendono per l’umanità tutta in seguito ad una chiamata verso l’infinito. In questo senso ci si possono vedere un mare di allegorie e riferimenti; noi preferiamo lasciare libero pensiero al lettore e concentrarci direttamente sul piatto forte, che è ovviamente la musica.

Mariner apparentemente si presenta come un grosso mattone: sono solo cinque le tracce che lo compongono per un minutaggio totale superiore ai cinquanta minuti, cosa che di primo acchito potrebbe scoraggiare ben più di un potenziale ascoltatore e far storcere il naso a molti altri. Il filo che in questo caso separa le grandi composizioni dalle grani minchiate è molto sottile ed anche molto difficile è il rimanervi sopra in perfetto equilibrio. Per noi comuni mortali, ovviamente; se ti chiami Cult Of Luna la storia è diversa e vanno rivisti tutti i parametri. I ragazzi di Umeå fanno ormai da tempo un percorso a parte e li si può solo paragonare con loro stessi, ma andiamo con ordine. Per chi non la conoscesse, Julie Christmas è una cantante di New York attiva in particolare con i Made Out Of Babies e con i Battle Of Mice, autori di grandi lavori in ambito post metal e non, che meritano di certo di essere recuperati assieme al suo album solista The Bad Wife. Detto questo, Mariner è un disco particolare, anzi, particolarissimo e di certo non adatto al pubblico delle grandi occasioni. Mariner aggiunge nuove coordinate al post metal confermandone la versatilità e la potenza espressiva a 360 gradi; un ascoltatore paziente e attento riuscirà a trarne grandissime soddisfazioni. Rimanendo su un piano prettamente oggettivo, parliamo di un’opera lenta, caleidoscopica e con dosi massicce di psichedelia. Le urla disperate e senza via di scampo di Johannes si alternano alla dimensione più ariosa e sognante di Julie e il risultato è davvero notevole; in alcune parti i ruoli si invertono, si cercano e si rincorrono e i pochi cali d’ispirazione del disco sono più che altro dovuti a linee vocali non troppo riuscite e stridenti (Approaching Transition, ad esempio) più che difetti strutturali di sorta.

La produzione mette in giusto risalto l’insolita formazione che da tempo vanta due batteristi e colloca al proprio posto ogni strumento rendendolo ben definito e riconoscibile. Forse la batteria non è proprio perfetta come volumi e il suono del rullante ma sono inutili dettagli. Non vi sono cali di tensione in Mariner, non vi sono tracce da poter considerare filler come non vi sono momenti discreti; è un disco che passa da un semplice buono di base a vette di eccellenza assoluta (il finale di The Wreck Of S.S. Needle, ad esempio). Forse ci collochiamo un pelino sotto Vertikal, ma la differenza è davvero minima e qualsiasi fan della band rimarrà pienamente soddisfatto dall’ultima opera degli svedesi. Questo, signore e signori, è grande metal; questa, signore e signori, è grande musica che nel recentissimo tour non è proprio passata dal nostro paese. Oltre al senso di straniamento e vuoto che lascia la fine del disco, l’amarezza è quindi doppia e ormai quasi consolidata se si parla di concerti nella nostra penisola.

Per approfondimenti vi rimandiamo all’intervista a Johannes del buon Davide (clicca qui); quanto a noi, la pressione del tasto play non ci è ancora stata tolta e siamo ben felici di rincominciare tutto daccapo. 

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