Recensione: oltreLuna

Di Tiziano Marasco - 12 Giugno 2017 - 11:00
oltreLuna
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2017
Nazione:
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85

Emergere dalle nebbie di un panorama metal non particolarmente entusiasmante come quello nostrano (almeno, da fuori questa è l’idea che l’Italia da al mondo del metal). Farlo poi con un’opera unica e irripetibile, che da quelle nebbie sale per toccare il freddo abissale dello spazio cosmico. Unica e irripetibile perché, e in maniera innegabile, ridisegna i canoni del black metal atmosferico dandogli tinte industriali e robotiche. Poco conta che quell’opera avesse sparute sbavature e fosse per certi tratti acerba: “U.M.A.” dei Progenie Terrestre Pura era un piccolo capolavoro, da un lato, e per questo, dall’altro, si era già candidato, nel 2013 in cui era uscito, ad essere il punto di partenza, ingombrante e inevitabile, dell’analisi di un secondo capitolo discografico del gruppo – se mai ci fosse stato. È inutile girarci attorno, quell’album aveva segnato molti. Far finta di niente, atteggiandosi a tracciare un’analisi del tutto distaccata, millantando una completa indipendenza intellettuale, scevra da influenze e ricordi, sarebbe ipocrita. 

Comunque sia, a quattro anni di distanza, quel secondo capitolo discografico è arrivato. Ma bisogna premettere che le differenze, prima che la musica, riguardano la formazione dei nostri. Al fianco del mastermind Davide Colladon troviamo un nuovo vocalist (Emanuele Prandoni), in sostituzione del vecchio, e un nuovo bassista (Fabrizio Sanna).

“Sì ma,” direte voi, “se il ‘mastermind’ rimane, la musica non subirà grosse modifiche…”

E invece no, novità ne troviamo, in questo “oltreLuna”, e forse è un bene che sia così. Perché ad autocopiarsi son buoni tutti. E perché in questo modo “U.M.A.” rimane l’unicum irripetibile e senza epigoni che merita di essere. Sia ciò meglio o peggio, lo potrà decidere ognuno.

In buona sostanza, e fin dal primo ascolto, emerge come la componente atmosferica dei nostri si sia ampiamente dispersa, o meglio, sia stata ridotta. Per quanto le percussioni tribali e la prima sciabolata di chiatarre faccia venire in mente gli ultimi Solefald, capiamo presto si tratti di una sensazione illusoria. Già dopo un minuto la opener “Pianeta.Zero” ci sbatte in faccia un suono robusto e truculento, veloce e rabbioso, con un growl che, ancora in italiano, risulta vero e proprio e non sussurrato. Meno originale, certo, ma anche molto convincente. A poco valgono le due digressioni contenute all’interno della traccia, la sensazione è che i nostri si siano induriti parecchio, e anzi tale impressione è confermata da “subLuce”. 8 minuti di violenza allo stato brado, di black metal di quinta o sesta generazione che ricorda molto da lontano le parti violente di “Portal of I” dei Ne Obliviscaris, ripulito ovviamente di violini (pardon, qualche arco lo sentirete pure qui!).

Poche storie, forse siamo davanti ad un sound più “umano” e meno “robotico”. Meno “genuino”, ma più compatto. In parole povere, siamo davanti ad un sound molto più maturo, magari forse un po’ iperprodotto e iperpompato, ma non viene da farne una colpa. Né al trio né all’Avantgarde music.

Cambi di ritmo vertiginosi, musica massella, violenza ad libitum – bene così. Ma a ben guardare, questo disco non è solo violenza gratuita e ormonale. Anzi, nell’intro della title track tornano a farsi vive certe atmosfere tipiche del debut, sebbene ancor più strutturate ed accentuate da una costruzione arzigogolata, quasi progressive, da un crescendo davvero sublime. Crescendo che si conclude con l’ennesima impennata di violenza, eppure la fa apparire naturale. Ecco, la gestione dei cambi di velocità, oltre ad un suono pulito, sembrano essere due decisi passi avanti della band. E questo è il leit-motiv delle ultime 3 canzoni dell’album (tutte sopra i dieci minuti), decisamente più intricate e contorte delle prime due.

Occorre prestarci non poca attenzione, perché a primo avviso pare che “oltreLuna” sia un disco di forza bruta, sommerso da bassi iperpompati e chitarroni abrasivi. La realtà è, si ripete ancora, un suono estremamente strutturato che produce anche ottimi riff e melodie (“Proxima B” su tutto).

Ora, si è detto che questa seconda fatica dei Progenie Terrestre Pura sia più “umana”. Questo va inteso, ovviamente, con il fatto che la musica che ci troviamo davanti nei 55 minuti di “oltreLuna” sia un black derivativo e futurista relativamente “comune” di questi tempi. Nel senso che gioca molto più sul fattore violenza, per quanto articolata, e decisamente meno sul fattore “atmosfera e fantascienza”. Questo è innegabile. Ma è innegabile che, se tanti nomi vengono in mente nello scorrer delle note, non uno è identificabile come influenza prima. No, “subLuce” rimane dotato di una sua personalità. Ma è, ancora una volta, innegabile che non un singolo secondo del disco sia sprecato. Non una canzone si assesta al di sotto di una media qualitativa estremamente alta. Il disco scorre una martellata dietro l’altra, piace, meraviglia, rapisce! E innegabile in definitiva che, in termini di maturità, di songwriting e di compattezza ci troviamo davanti a una band capace di fare, in 4 anni, passi avanti decisi  e decisivi. Una band che ora si trova nella condizione di fare parecchia strada. “SubLuce” è un disco che può proiettare i Progenie Terrestre Pura sotto riflettori ben più ampi di quelli della nostra scena avanguardista. Anzi. potrebbe farli diventare, col tempo, un nome di riferimento della scena estrema.

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