Recensione: Pacific Myth

Di Tiziano Marasco - 18 Luglio 2016 - 0:00
Pacific Myth
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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80

A phantom whisper sounds deceiving
It brings with it the question “why?”
We work until we are unable
Then locked away until we die

Ecco, potremmo aprire da questa strofa di Tidal il discorso su “Pacific Myth” nuovo demo dei Protest the Hero. Più del lavoro, a loro ha sempre dato fastidio sottostare ai dettami di qualcuno. E così hanno fatto dell’indipendenza una bandiera. Niente label né contratti, solo autoproduzioni e crowdfunding, tramite il quale ha potuto venire alla luce un disco incredibile quale fu Volition. Fino ad arrivare al picco dell’ultimo demo, Pacific Myth, uscito in progressione tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016.

Ne abbiamo già affrontato le implicazioni a livello di music business, ora è tempo di parlare di musica. Prima però, facciamo definitiva chiarezza su tutti i formati in cui questo strano demo dovrebbe essere presentato, e lasciamo la parola ai medesimi eroi.

  • Offriremo l’ep attraverso la maggior parte delle nuove piattaforme di distribuzione di musica digitale. Bandcamp, Itunes, Play Music, Napster (hink). Non siamo sicuri se lo faremo attraverso servizi di streaming in un primo momento, perché le royalties per gli artisti sono al di là del vergognoso e dato che siamo gli unici titolari di questo aggeggio possiamo scegliere se farlo o meno.
  • CD – abbiamo sicuramente intenzione di rilasciare Pacific Myth su cd. Sappiamo che molti di voi ancora adorano i CD, e dato che abbiamo fatto un packaging unico, pensiamo che ne valga la pena.
  • Vinile – abbiamo alcuni progetti stravaganti per i vinili, quindi è probabile. Stiamo anche prendendo in considerazione l’opzione boxset, ma dovremmo essere sicuri di poterli vendere, prima di stamparli senza rimetterci con le spese!
  • Cassette – sì cazzo, faremo anche una edizione limitata di cassette.

Da metalinjection

Restando dunque in attesa di formati canonici, veniamo al modo in cui gli eroi hanno concepito questo curioso Ep. Sei tracce, per un totale di circa 36 minuti di musica, realizzate in progresso, una al mese. Vale a dire che quando la prima canzone, Ragged Tooth, è stata pubblicata, le altre non erano nemmeno nelle teste degli eroi stessi. In questo, Pacific Myth si presenta come una fucina di argomenti metamusicali, è un’occasione non solo per parlare di musica, ma anche di come è concepito il fare musica ai giorni nostri.

I PTH in effetti hanno dichiarato che “il ciclo di creazione di un album dura due anni”, sostanzialmente in un album non è presente solo materiale nuovissimo. Con questo EP, dunque, i nostri hanno realizzato le sei tracce “così come le vogliamo ora”, nel momento stesso della pubblicazione. 

Si traduce tutto ciò in un’evoluzione temporal-stilistica, nel senso che è percepibile un’evoluzione dall’opener Ragged Tooth alla conclusiva Caravan? 

A dir il vero, no. Le prime cinque tracce non avrebbero affatto sfigurato in Volition e si traducono nel mix di ipertecnicismo, violenza e melodia che abbiamo amato così tanto nei passati episodi discografici. Le prime tre tracce sono il consueto turbillon di cambi di ritmo e velocità a livelli brutalmente impressionanti. Sicché l’ascoltatore si ritrova sulle prime come le squadre che affrontavano l’Olanda di Cruijff negli anni ’70, sentimento che potrebbe essere riassunto nella summa “non capirci una beneamata fava”.

Difatto il progredire degli ascolti mette in luce, al di là dell’incredibile giostra stilistica dei nostri, anche dei punti di appoggio. Spunta dunque il fenomenale refrain (diciamo così) di Cataract, salta fuori l’aggressivamente accattivante strofa di Tidal (quella in apertura) e altre goduriosità superlative. Viene alla luce una raffinatezza melodica rara, forse ancora superiore rispetto a Volition.

Ma è in Harbringer, quinta della serie, che appaiono i primi segni di un’evoluzione. Compaiono infatti segnali di progressive più comprensibili, riff e assoli più “comprensibili”, inseriti in ritmiche non follemente veloci – o forse sì? Ma con questi qui va sempre così, non riesci mai a ricordarti cosa succede quando (né perché). Ad ogni modo, quanto intuito in Harbringer tracima proprio in Cataract, epica cavalcata che parte con Clarity e finisce con… i Dream Theater. Ebbene sì, questo mostro di 8 minuti si evolve facendosi via via sempre più lento (vale a dire che non trampa a velocità assurde) e maestoso, arricchendosi di archi che ricordano in maniera prepotente The Astonishing – eh già, l’ultima fatica del teatro era uscita un mese prima di questa mirabolante composizione.

Sostanzialmente, dunque, al di là di discorsi e implicazioni socio-cultural-economiche applicate al music biz, a Pacific Myth si può rimproverare solo il difetto d’essere maledettamente breve. E in misura minore, lo strano formato di uscita, che non dona a quest’EP lo status totalizzante di “opera unitaria”. In tre ore lo senti 6 volte, e ne vuoi ancora. Segno che la band è ancora una volta in grandissima forma e tra gli alfieri dell’evoluzione metallica mondiale, una band che non segue le mode, ma le determina. Saremo noi dei veteroreazionari, ma ci sarebbe bastata un’altra canzone di 6-7 minuti, per dare  a questo lavoro lo status di album fatto e finito, dall’alto di 42 minuti di durata, e magari l’uscita in formato materiale alla pubblicazione dell’ultimo pezzo, e avremmo parlato di ennesimo capolavoro sovrumano. 

Ma poi, diciamolo, non è che così ci sia andata di schifo.

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