Recensione: Quark Strangeness & Charm

Di Tiziano Marasco - 4 Aprile 2013 - 12:09
Quark Strangeness & Charm
Band: Hawkwind
Etichetta:
Genere:
Anno: 1977
Nazione:
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91

 

Il 1977 è uno degli anni più decisivi nella storia della musica rock, se non l’anno di non ritorno dell’intera musica leggera, che da lì in poi si frantumerà in due vie. Quella che da un lato seguirà sempre il consenso del pubblico e quella che dall’altro si rivolgerà a pochi eletti. In tutto ciò, il metal seguirà nettamente la seconda via. Questo assiomatico cambiamento non verrà mai più abbandonato, ma è fuor di discussione che quel 1977, con l’avvento del punk, musica viscerale, scarna tanto da risultare offensiva per l’umana intelligenza (Oh no, it’s Devo!) avrebbe portato, negli anni immediatamente successivi, alcuni cambiamenti stilistici che avrebbero influenzato tutte le band più importanti e il loro modo di intendere la musica. Come i Queen, che passano in tre anni da Bohemian Rapsody a We will Rock You. Come i Pink Floyd che passano da Shine on you a The wall. Perfino gli Yes risentono della nuova, semplificata aria e, dopo l’indecifrabile trittico di Suite contenute in Relayer, ci regalano il più prosaico Going for the one (pazienza, si rifaranno coi successivi Tormato e Drama). Insomma, il punk “rovina” tutte le migliori band, prog e non prog, dell’impero britannico, Genesis esclusi (si stavano rovinando da soli), semplificandone enormemente le coordinate stilistiche.

Come reagiscono gli Hawkwind? 

Beh, bisogna dire che gli Hawkwind stavano attraversando, proprio come i Genesis, una fase di transizione, seppure diversa. Warrior on the edge of time aveva chiuso il gloriosissimo periodo della United artists, la comunità formatasi attorno a David Brock  si era un po’ disciolta e i ragazzi si erano ritrovati ad essere una band decisamente normale. Ebbe inizio l’età d’argento per il Vento del falco, detta normalmente Charisma years dal nome della nuova label. Era iniziata nel 1976 con il non esaltante Astouding sounds, amazing music. Un anno dopo, a seguito degli ennesimi avvicendameni di formazione, la band entra in studio per registrare Quark, strangeness & charm. 

A livello di nomi, il cambio principale è il rientro di Calvert, stavolta come frontman a tempo pieno e non semplice vate com’era stato in Space ritual. A livello di formazione invece, Mr. Brock perde la propria egemonia creativa, non è più il solo a comporre nuove song, si aggiungono ancora Calvert, il tastierista House e il nuovo batterists King. E ancora, si aggiunge un certo quale spirito punk, non certo quello nichilista dei pistols, bensì quello più godereccio dei Clash. Il sound diviene paradossalmente più pulito, poiché scompaiono le lunghe dissertazioni al synth che avevano caratterizzato album molto complessi come Hall of the mountain grill. Il tutto si fa molto più asettico, tipo Spazio 1999, perde la componente hippiesca in favore di quella decisamente astronautica. E tutto diviene semplice tremendamente semplice, a partire dal ritornello che ripete per ben otto vorse un unico verso, Spirit of the age. Rimane comunque l’elemento goliardico, ben rappresentato dalla strofa della medesima song,
 

I would’ve liked you to have been deep frozen too
and waiting still as fresh in your flesh for my return to Earth
But your father refused to sign the forms to freeze you
Let’s see you’d be about 60 now,
and long dead by the time I return to Earth,

e magicamente portato avanti nel favoloso saliscendi di Damnation alley. In particolare, oltre a riff più composti e puliti, sebbene duri, si apprezza la voce di Calvert, un po’ strambo, ai limiti dekl cartone animato, perfettamente a suo agio con il nuovo sound. Ennesima conferma è la title track, vero e proprio singolo da radio, influenzata più che mai dal Bowie stardustiano con chitarra molto beat e molto ripetuta. Hassan I Sahba, invece ci riporta indietro di un paio d’anni, grazie alle atmosfere arabeggianti, fiorite su un bel giro di tastiera e violino ed inasprite da una base molto prossima ad in Search for Space. Altra menzione per In the days of the underground, più heavy, sebbene egualmente scazzona, dove gli Hawkwind autocitano Urban guerrilla e si autoproclamano messia del futuro movimento punk  
 

We knew we were right
The streets were our oyster
We smoked urban poison
And turned all this noise on
We knew how to fight

Detto in parole molto semplici, Quark, strangeness and charm ci dona una band rinata, che ha digerito il cambio di passaggio dal periodo United artist al periodo Charisma dopo una prova piuttosto zoppicante. In quel 1977 ci regala uno dei suoi ultimi, autentici, inarrivabili classici – nonché l’episodio discografico preferito del recensore – e getta le basi per una nuova straordinaria fase creativa che sarebbe proseguita fino a Levitation. Per chi non ne fosse in possesso:

 

Acquistare – Ascoltare – Adorare

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

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