Recensione: Return To Heaven Denied

Di Matteo Lasagni - 11 Aprile 2005 - 0:00
Return To Heaven Denied
Band: Labyrinth
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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87

Il power metal italiano, in passato bistrattato ed escluso dal grande giro metallico, deve la sua rinascita principalmente a due grandi nomi: Rhapsody e Labyrinth. Mentre i primi si sono sempre distinti per sonorità prettamente epiche ed orchestrali, i secondi hanno fatto storia grazie ad un sound personale, ma dall’approccio sempre diverso ad ogni release. Così dopo l’ottimo esordio targato No Limits, i Labyrinth cercano di sfondare a livello internazionale con questo Return To Heaven Denied. Il risultato è a dir poco sensazionale! Siamo di fronte ad un disco maturo e completo, uno di quelli che hanno fatto la storia del power, che hanno lanciato l’Italia nel panorama metal mondiale, uno di quei cd che lasciano a bocca aperta per tecnica, classe e potenza. L’ultimo episodio smaccatamente power nella discografia dei Labyrinth, prima del salto stilistico avvenuto col successivo “Sons Of Thunder.

Impossibile non sottolineare la prestazione da brivido del nuovo singer Rob Tyrant, che non fa rimpiangere il grande Fabio Lione, e anzi sposa alla perfezione il sound veloce e corposo della band. La sua timbrica è pulita, ma allo stesso tempo calda ed emozionante, mentre tecnicamente la sua prova è ineccepibile! L’uomo giusto, in grado di valorizzare al massimo il massicio lavoro svolto dal gruppo in sede strumentale. Olaf Thorsen e Anders Rain si rivelano due veri maestri nel confezionare riffs di straordinaria efficacia e solos pirotecnici ma mai eccessivi, mentre le tastiere di Andrew McPauls sono determinanti in chiave melodica per “pompare” ulteriormente un sound già ricco e sontuoso. Anche la sezione ritmica si rivela entusiasmante, grazie a due vere turbine quali il tentacolare drummer Frank Andiver (sostituito poco prima dell’uscita del disco da Mat Stancioiu), che offre un apporto instancabile e a tratti roboante, e al bassista Chris Breeze, sempre puntuale e preciso nel suo oscuro ma prezioso lavoro.

Il tutto si assesta su coordinate melodic-power-speed di grande impatto, elaborate e raffinate. La doppia cassa giganteggia quasi ovunque, furiosa e martellante, senza però togliere la scena a repentini stacchi ed eleganti cambi di tempo. Il guitar-work è semplicemente meraviglioso, in tiro quasi costante fra serrate fughe power-neoclassiche ed ariose aperture melodiche, mentre i refrain sono una vera esibizione di classe e magniloquenza, originali ma diretti, ricercati ma di facile presa!

Moonlight” apre il disco nel migliore dei modi con una stratosferica speed track “in your face”! Le accelerazioni sono vertiginose e in pochi istanti ci troviamo a cantare a squarciagola lo splendido chorus che porta con sé tutti i crismi del capolavoro! La pausa centrale fa tirare il fiato per qualche attimo, prima della sfuriata finale da standing ovation! Spettacolare! La seguente “New Horizons” parte con un devastante attacco symphonyc speed, che nella sua terremotante potenza lancia il brano in un susseguirsi di continui cambi di tempo, tutti calibrati a velocità sostenute. Splendide anche in queste occasione le linee vocali, in bilico fra atmosfere sognanti e urla liberatorie, proprio come nel maestoso finale in cui i Labyrinth conducono un vero e proprio assalto sonoro che straborda classe da ogni nota. “The Night Of Dreams” riconduce il clima su tempi più controllati, ma non per questo omogenei, confezionando un raffinata melodia centrale di matrice meno trionfale e più AOR-oriented. Con “Lady Lost In Time” invece si torna a pestare pesante. Dopo il dolcissimo incipit scandito dalla calda voce di Tyrant e da un pianoforte quasi impalpabile, il gruppo esplode in una massacrante mazzata in doppia cassa, tremendamente riuscita per forza ed efficacia. La sequenza strofa-ritornello è letteralmente strabordante ed unisce in un connubio da favola melodia e potenza, forma e sostanza. Più delicata la successiva “State Of Grace”, che si fa apprezzare per la sua struttura piacevolmente dinamica e per le atmosfere leggere, quasi a voler rilassare l’ascoltatore dopo l’enfasi creata nei precedenti episodi. Anche “Heaven Denied” si attesta su sonorità più tranquille, dando prova di buona elasticità in fase ritmica, ma anche di una sapiente ricerca in chiave vocale. “Thunder”, come si intuisce facilmente dal titolo, è una vera bomba, una prepotente prova velocistica dei nostri, che, attraverso un drumming impetuoso ed il solito alternarsi di follie virtuosistiche fra McPauls e la coppia Thorsen/Rain, si produce nell’ennesimo chorus da applausi e conferma le strabilianti impressioni lasciate dalle prime speed-tracks. “Feel” è invece la geniale riproposizione in chiave power metal di un famoso brano trance, che si integra alla perfezione nel contesto di Return To Heaven Denied. Si tratta di un pezzo strumentale di grande atmosfera, giocato splendidamente fra la tipica musica elettronica e le classiche impennate speed di casa Labyrinth. “Time After Time” torna su territori più canonici, ma non per questo scontati. La song si presenta ricca di spunti, cambi di tempo e accelerazioni degne di nota, soprattutto a livello dell’ottimo refrain. Il vero cuore di questo brano però risiede nella sezione centrale, in cui le soffuse vocals di Rob Tyrant prima spezzano e poi rilanciano attacchi strumentali di titanica portata!
Falling Rain” è l’unica vera ballad del disco e riesce nel difficile compito di reggere il pathos necessario a stemperare il clima torrido creato fin’ora. Un lento particolare, intenso e brillante che nel chorus si concede un’apertura melodica di straordinaria bellezza. La conclusiva “Die For Freedom” poi si risolve nell’ennesimo attacco all’arma bianca, fra brucianti rasoiate in doppia cassa e linee vocali di grande impatto, che non lasciano mai l’amaro in bocca, soprattutto nel favoloso refrain. Anche in questo caso la track è impreziosita da eccellenti stacchi e da un intermezzo centrale sognante e ricercato. La degna chiusura per questo album epocale.

La produzione è davvero meravigliosa, potente e cristallina, e rende giustizia ad ogni elemento di questa fantastica opera, che eleva il nome del metallo italiano nel mondo e segna in modo indelebile il nome dei Labyrinth nel cuore di tantissimi metal fans.

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