Recensione: Rises

Di Marco Tripodi - 29 Gennaio 2017 - 8:00
Rises
Band: Tytus
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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70

I Tytus, anglofoni nei nomi (e nel sound), sono in realtà italianissimi, provengono da Trieste e non sono facce nuove nel panorama hard rock e punk italiano (Gonzales, La Piovra, Ohuzaru, Eu’s Arse, Upset Noise, le band di provenienza e militanza passata). Il loro primo vagito discografico è stato il singolo “White Lines” del 2004, il che ci porta direttamente a questo esordio sulla lunga distanza, tenendo però in debito conto anche l’intensa attività live (europea) al traino di Crowbar, Valient Thorr e Castle. L’americana Sliptrick Records si è accorta di loro e si è fatta avanti per licenziare l’album che oggi possiamo trovare negli scaffali dei negozi e nei mercati digitali online.

La trazione dei Tytus è vetero testamentaria, da intendersi come uno sguardo affettuoso rivolto piuttosto al rock ed al metal dei lustri che ci siamo lasciati alle spalle anziché alla contemporaneità. In estrema sintesi, si potrebbe parlare di una solida base d’impostazione classica (maideniana) che coltiva l’attrazione per i grumosi paesaggi assolati e desertici di certo stoner rock (afflato che trova la sua massima sublimazione nella conclusiva e suggestiva “Blues On The Verge Of Apocalypse“). Un buon termine di paragone potrebbero essere i Bible Of The Devil, altrattanto affascinati dalle commistioni di sabbia, Thin Lizzy e Vergine di Ferro. Nei Tytus sopravvivono gli stereotipi iconici e fondativi dell’hard rock metallizato delle grandi band del passato, pur non limitandosi ad una sterile riproposizione celebrativa di questi, ma cercando di infondere benzina e adrenalina viva e pulsante alla resa finale.

Dieci tracce compatte, pastose e coese, dove orpelli, fronzoli e distrazioni varie non trovano cittadinanza. La band è tutta focalizzata sull’ottenere un succo concentrato al 101% di metallo torrido e magmatico. Melodie ed interpretazione vocale sono all’insegna del pathos e di una vena epica che tuttavia non sconfina mai nel patetico o nella eccessiva teatralità ma anzi mantiene accenti di virilità mai domi. Riferendosi al rock dei cactus e dei canyon non possono non far capolino di tanto in tanto anche i Metallica del Black Album, che a quella fonte pue si sono abbeverati con tanta foga. La forza dei Tytus sta nel far coesistere con omogeneità e coerenza riff della nwobhm, morbidità hard rock, denim and leather di stampo heavy metal, mentre intanto fuori dalla finestra il sole scaglia lingue di fuoco così potenti da liquefare il globo.

Marco Tripodi

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