Recensione: Silver

Di Stefano Burini - 31 Gennaio 2017 - 9:00
Silver
Band: Gotthard
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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65

Non tutte le ciambelle escono col buco: è un detto popolare – magari non troppo elegante – ma rende l’idea di come anche i migliori, i più regolari e i più professionali (tutte categorie nelle quali i Gotthard rientrano di diritto dopo venticinque anni di onorata carriera, NdR) talora non c’azzecchino.

Esordire in questo modo potrà sembrare magari ingeneroso nei confronti di una band che – vuoi per la costanza e il livello qualitativo, vuoi per le tragiche vicende di quel maledetto 2010 – è stata e continua ad essere tra le più amate di tutto il panorama hard ‘n’ heavy. D’altro canto serietà e correttezza impongono di continuare ad analizzare ogni loro nuova uscita alla luce dell’oggettività e in tal senso, onestamente parlando, “Silver” desta più di una perplessità.

A fronte di un incipit al cardiopalma nel quale “Silver River” ed “Electrified” volano a tutta birra (quasi) come ai tempi migliori, con la bella power ballad “Stay With Me” a controbilanciare il tutto con la consueta classe tipica degli svizzeri, il nuovo parto di casa Gotthard finisce infatti per sfilacciarsi nella parte centrale, ritrovando il bandolo della matassa solo a tratti nella marcia verso il dimenticabile finale.

Brani come “Beautiful”,“Reason For This” e in particolare “Not Fooling Anymore” e “Why” non sanno né di carne né di pesce, rimanendo troppo indecisi tra AOR, pop sciapo e soft rock senza tuttavia riuscire a tirare fuori dal cilindro la tipica vena melodica che ha reso grande il quintetto elvetico. Altrettanto male (se non peggio) vanno poi le cose con “Only Love Is Real”, ballad acustica decisamente insipida, e con l’hard ‘n’ roll di “Blame On Me”, un filler che più filler non si può: con tutta probabilità i due brani peggiori mai composti dai Gotthard dal 1992 fino ad oggi, la cui mancata riuscita è tanto da ascrivere ad all’ispirazione latitante quanto ad una prova sinceramente poco incisiva da parte di Nic Maeder al microfono.

Le più massicce “Everything Inside”, “Tequila Symphony No. 5” e “My Oh My” risollevano un po’ il morale, dimostrando che quando si tratta di pigiare sull’acceleratore tra ritmi sostenuti e riff assassini anziché perdere la bussola in mezzo a brani pop/rock nconcludenti, Leo Leoni e compagnia possono ancora dire la loro, tuttavia i troppi episodi sottotono impediscono di conferire all’album una valutazione pienamente positiva.

Senza scomodare il fantasma del compianto Steve Lee – unico e irraggiungibile per classe e bravura – e anzi rimarcando come “Firebirth” e “Bang!” anche grazie al notevole contributo di Nic Maeder abbiano rappresentato due degni tasselli nella discografia degli svizzeri, occorre dire che “Silver” risulta essere senza dubbio l’album meno ispirato finora prodotto dai Gotthard. Non un disco insufficiente ma certamente un lavoro – ahinoi – grigio più che argenteo, nel quale l’anima rock appare soffocata dalle troppe ballad in scaletta, la maggior parte delle quali in evidente deficit di ispirazione rispetto ai tempi d’oro.

Stefano Burini

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