Recensione: The Fall Of Ideals

Di Alessandro Biondo - 18 Aprile 2012 - 0:00
The Fall Of Ideals
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Anno: 2006
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73

Cosa accomuna Adam Dutkiewicz e Philip Labonte? Le risposte sono molteplici. Tra queste ci sono sicuramente gli Shadows Fall e “la chiamata” che Adam ricevette per occuparsi della produzione dei lavori degli All That Remains. La loro carriera partì appunto nel 1997 dagli Shadows Fall, band thrash-metalcore del Massachusetts. Il primo contribuì, dietro la batteria, solo alla creazione del primissimo EP “To Ashes” mentre formava con Joel Stroezel gli Aftershock. Il secondo, alla voce, sfornò il primo vero full-length della band  “Somber Eyes to the Sky” del 1998, portando avanti “quel che resta” come gruppo parallelo. Phil ha un’impronta prevalentemente death metal, forse più adatta al suo side project, a cui deciderà di dedicarcisi a pieno, abbandonando la voce degli Shadows Fall, che lo rimpiazzeranno con Brian Fair. Adam e Joel finirono, con Mike D’Antonio al basso e Jesse Leach alla voce, a creare quelli che sarebbero diventati uno dei gruppi metalcore americani più rappresentativi e punto di riferimento per la band di Labonte: i Killswitch Engage! Dutkiewicz, dopo esser passato alla chitarra con i cambi di formazione, si dilettò anche come produttore discografico, cimentandosi con band del calibro di As I Lay Dying, Underoath, Unearth, From Autumn to Ashes, Parkway Drive, Everythime I Die, nonché si cimenterà in futuro nella produzione dell’ultimo album degli Shadows Fall, “Fire Fremo the Sky”, in uscita il 15 maggio 2012.
Ed è in questo ruolo che Adam ritroverà Labonte, poiché la band che ha amato produrre di più sono appunto gli All That Remains.

Nati nel 1998, con il cantante affiancato da Oli Herbert e Mike Martin alle chitarre, Matt Dies al basso e Shannon Lucas alla batteria, sfornarono la loro prima fatica “Behind Silente and Solitude” nel marzo del 2002, seguito da “This darkned Heart” del 2004. Giunti al loro terzo Lp, la scelta del produttore è ricaduta, come in tutti i precedenti, sul chitarrista bizzarro (aiutato da Peter Wichers, ex chitarrista dei Soilwork) che durante i suoi riff ama correre sul palco con mantello e bandana in fronte.
“The fall of Ideals” è sicuramente l’album più maturo e che li ha fatti notare al grande pubblico. Non siamo a conoscenza del motivo che li ha condotti a scegliere questo titolo ma, al di là che sia un concetto, a nostro parere facilmente intercettabile nella società attuale, lo troviamo un titolo azzeccato per denotare la decadenza degli ideali contemporanei. Realizzato l’11 luglio 2006 per la Prosthetic Records, vede al basso un cambio di formazione rispetto a quella d’origine. Entra Jeanne Sagan, in precedenza nei The Acacia Strain, che col suo Ibanez sostituisce Matt Dies passato ai CKY. L’album si apre rabbiosamente con “This calling”, (rintracciabile nella colonna sonora dell’horror Saw III). Vi aprirà le porte di un vortice impregnato di melodie intrecciate egregiamente tra loro. Sarà solo l’inizio di un scia di brani in cui c’è tutto per gli amanti del genere! Riff incalzanti, doppio pedale martellante a sostegno di breakdown azzeccati che sollecitano l’headbanging, soli di buona fattura, ritornelli melodici che, come su “Whisper (I hear you)”, restano inesorabilmente in testa dopo pochi ascolti. Il frontman Labonte, la cui specialità è sicuramente lo scream e il growl, dimostra in queste tracce di essere un cantante eclettico e caparbio nelle strutture vocali e sufficientemente incisivo in testi rabbiosi a sfondo melanconico e sofferente.
La formula di stile e composizione della band è riconoscibilissima e costante per tutta la durata del disco. Ad alcuni, alla lunga, potrà suonare quasi ripetitivo, ma i cinque dimostrano di aver appreso molto bene le lezioni di genere degli amici Killswitch Engage sfornando un album sicuramente maturo, tecnico e prepotente. Brani come “Not Alone” e “We Stand” mostrano di voler ricercare un aggrovigliamento nella tessitura dei riff e non una banalità nella scelta dei tempi, ma allo stesso tempo suonano diretti e non disorientano l’attenzione dell’ascoltatore dalle quadrate strutture: strofa (urlata)/ritornello (melodico). La struttura di “Six” è l’eccezione che conferma la regola. Il brano è uno dei migliori del lotto. Per gli amanti del Death metal potrebbe essere tra le tracce più apprezzate, alla pari con “The weak Willed” ed “Empty Inside”. L’album non presenta ballate romantiche, ma in quasi sempre i ritornelli ed alcune frasi di chitarra, rendono le tracce parecchio ballabili avvicinandoli ad un pubblico più vasto e distanziandoli però da quella famiglia di gruppi Death da cui hanno solo tratto ispirazione. I soli sono presenti in tutte le canzoni non rendendole mai banali, mostrando invece una buona articolazione delle idee, una solida costituzione ritmica e una esclusiva ricercatezza nella struttura di fondo.
 
La strada per diventare grandi è ancora lunga. Nonostante siano già uno dei gruppi di punta della loro etichetta, ci si augura che non intraprendano strade troppo commerciali, rischio esistente, sia in ambito thrash metal moderno, sia nella caratteristica commistione metalcore/melodic death metal. Tale ‘scivolone’ li porterebbe inesorabilmente alla gogna e limiterebbe la maturazione di una band dalle grandi potenzialità.  

Alessandro Biondo

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Tracklist:
01. This Calling
02. Not Alone
03. It Dwells In Me
04. We Stand
05. Whispers (I Hear Your)
06. Weak Killed, The
07. Six
08. Become The Catalyst
09. Air That I Breathe, The
10. Empty Inside
11. Indictment

Durata: 39 minuti ca.

Formazione:
Phil Labonte: voce
Mike Martin: chitarra
Oli Herbert: chitarra
Shannon Lucas: batteria
Jeanne Sagan: basso

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