Recensione: The Name Of The Rose

Di Andrea Loi - 23 Ottobre 2006 - 0:00
The Name Of The Rose
Band: Ten
Etichetta:
Genere:
Anno: 1996
Nazione:
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88

Non vorrei esagerare ma, se mi dovessero domandare che cosa sia l’hard rock, potrei ripsondere senza esitazioni facendo riferimento alla song che apre e dà al disco il suo titolo così elegantemente evocativo: “The Name of The Rose”.
Ok, forse molti di voi avranno in mente nomi più altisonanti e celebrati, ma ferme restando le naturali obiezioni che possono essere sollevate, senza contare che trattasi di pareri soggettivi e influenzati sopratutto dai propri gusti musicali, è impresa ardua descrivere a parole cosa rappresenti per me questa song e le emozioni che essa è in grado di trasmettermi: il pathos, la musicalità, l’epicità, il ritmo quasi infernale intervallato da momenti più cadenzati, complice la perfetta simbiosi della voce di Gary nel contesto strumentale, e poi, signori, il fenomenale assolo di Vinny Burns la cui musicalità bussa con pieno diritto nell’olimpo delle sei corde dell’Hard’n’Heavy.
Questa review in realtà potrebbe risolversi in due righe perché la canzone “tritatutto” oscura il pur pregevolissimo capitolo della saga del gruppo inglese.
Rilasciato a pochi mesi di distanza (!) dal felice debutto, il gruppo, confermati Burns e il drummer Greg Morgan, annovera per questa nuova release il chitarrista John Halliwell, il bassista Shelley e il tastierista Ged Rylands.
Le undici tracce formalmente seguono i dettami del lavoro precedente, ma nel complesso acquisiscono maggior freschezza e dinamismo in un contesto che forse solo adesso rende consapevole il gruppo di poter ambire a grandi traguardi.
Risulta notevolente accentuata la componente epica, che conferisce una certa espressità alla gran parte delle song, caratterizzate da momenti sì concitati, ma pure di parti più intimiste, ad inziare dalla seconda “Wildest Dreams”, pacata e portatrice di un climax cromatico quasi a voler compensare la sfuriata iniziale.
Le chitarre sfavillanti di Vinny (quanto pesa la loro mancanza negli ultimi lavori della band…) in “Don’t Cry” preannunciano un ritmo più avvincente con una song dal sapore più orchestrale e ritmato a conclusione del trittico iniziale.

Tutto questo è da preludio a suoni ibridi tra sfumutare celtiche e acustiche debitrici a tradizioni orientali:
la sofferta e solenne “Pharaoh’s Prelude: Ascension To The Afterlife” è una sorta di interludio che anticipa “Wait For You” e che testimonia la poliedricità di stili presenti nell’ album, accomunati da un elevato standard qualitativo e soprattutto dai maestosi arrangiamenti, vera colonna portante di questo full-length, che di fatto elevano questa prova ad uno dei simboli del rinascimento musicale (insieme al debut) di questo genere dopo anni di oblio.
Che dire infatti della cadenzata “Rainbow”, che ci riporta su versanti epici, o delle sonorità paradisiache e soffuse di “Through The Fire” dove la delicatezza della chitarra di Burns dispensa lampi di classe?
Il dualismo Hughes-Burns: è questo il tema dominante dell’album, senza però prevaricazioni di sorta. Due anime dalla sensibilità romantica riescono a convivere in perfetta simbiosi, come dimostra pure la sostenuta “Wings of Storm”, dove le laceranti urla del chitarrismo di Burns irrompono quasi a pretendere
uno spazio a loro dovuto. Tutto questo anticipa la chiusura di “Standing In Your Light” una ballad corale che come nel debut chiude il disco.

Nel “remake” europeo di questo disco sono state aggiunte due bonus: “The Quest” e “You’re My Religion”.

Note a margine: molto bella la grafica a supporto del book con una connotazione prettamente improntata su simbolismi e allegorie.

In evidenza dei geroglifci che testimoniano la passione di Gary per la civiltà Egizia.
Lo stesso brano “Pharaoh’s Prelude: Ascension To The Afterlife” (e il successivo “Wait for you”) ha una parte solo parlata che rappresenta una citazione datata 4000 a.c., di autore ignoto, che gli studiosi hanno trovato incisa sullla tomba di Tut Ankhamun.

The players:

Gary Hughes – All Vocals
Vinny Burns – All Guitars
Greg Morgan – All Drums
Ged Rylands – Keyboards
Shelley – Bass Guitars

Discografia:

  • 1996 – Ten
  • 1996 – The Name of the Rose
  • 1997 – The Robe
  • 1998 – Never Say Goodbye
  • 1999 – Spellbound
  • 1996 – Babylon
  • 1996 – Far Beyond the World
  • 1996 – Return to Evermore
  • 2006 – The Twilight Chronicles

Andrea “ryche74” Loi

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