Recensione: The Rain After the Snow

Di Marco Donè - 21 Novembre 2016 - 0:00
The Rain After the Snow
Band: Dark Lunacy
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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73

Attesissimo comeback quello dei Dark Lunacy che, a due anni di distanza dal buon The Day of Victory, tornano a calcare le scene con un nuovo full length. Non è stato sicuramente un percorso facile per la formazione emiliana, dato che, come già successo tra il 2009 e il 2010, un nuovo scossone interno ha rivoluzionato la lineup. Troviamo infatti i nuovi innesti Davide Rinaldi (chitarra) e Marco Binda (batteria), che vanno ad affiancare Mike Lunacy e Jacopo Rossi.

 

Come sempre quando ci si ritrova tra le mani un lavoro della band capitanata da Mike Lunacy, la prima cosa da fare è entrare a contatto e far proprio il concept che sta alla base dell’album. Solo dopo averlo metabolizzato possiamo inserire il disco nel lettore e premere play. I Dark Lunacy sono infatti una delle identità artistiche più articolate uscite dal territorio italiano e nella loro proposta musica e testi sono fortementi correlati. Due componenti che non potrebbero esistere l’una senza l’altra.

 

Così, prima di iniziare a parlare del lato prettamente musicale di The Rain After the Snow, questo il titolo del sesto lavoro della compagine emiliana, dobbiamo descriverne il concept da cui musiche, visioni e atmosfere derivano. Per fare questo dobbiamo partire dal titolo dell’album che, con una metafora, racchiude lo spirito del platter. La chiave di lettura ci viene fornita dalla band:

la neve e la pioggia, viste come dono e privazione dello stesso, stanno a rappresentare le cose belle della vita, concesse e poi tolte dalla natura che, cinica, quasi sadica e priva di compassione, regala per poi togliere

Le tematiche trattate nei testi sono quindi prevalentemente introspettive, espresse attraverso la visione poetico-decadente che ha sempre caratterizzato le lyrics di Mike.

 

Partendo da questa base, possiamo ora iniziare a inoltrarci in The Rain After the Snow. Stando alle dichiarazioni della band, il nuovo lavoro è il tentativo di recuperare e rendere attuali le sonorità degli esordi, quelle sonorità che abbiamo potuto ammirare su Devoid e Forget-Me-Not e che attirarono sui Dark Lunacy i riflettori di critica e fan. Proprio in questa direzione, The Rain After the Snow è stato realizzato con l’ausilio di una componente classica composta da un quartetto d’archi, un pianoforte a coda e una corale di quaranta elementi. Il tutto, sommato alla matrice melodic death di stampo svedese che da sempre contraddistingue la band, mirato a enfatizzare i sentimenti e le emozioni che andiamo a incontrare durante i dieci capitoli che compongono l’album. Troviamo quindi canzoni più dirette e rabbiose, in cui a dominare è la componente metal, ben rappresentate da Tide of My Heart e Gold, Rubies and Diamonds (di cui potete trovare il video qui), e altre più teatrali e drammatiche, come la title track, Precious Thing e Life Deep in the Lake, caratterizzate da una maggiore componente classica. Canzoni efficaci e ben strutturate, capaci di lasciare già al primo ascolto un segno del loro passaggio.

 

Potremmo stare qui a tessere le lodi di un disco sicuramente ben suonato e prodotto, in cui la prestazione dei singoli, in particolare di voce, sezione ritmica e componente classica, risulta ispirata. Un lavoro che, soprattutto nella sua parte centrale, regala alcune canzoni veramente convincenti in cui il marchio Dark Lunacy è più vivo che mai. Ma quello che ogni fan vorrebbe sapere è se realmente, in The Rain After the Snow, rivivono quelle atmosfere, caratterizzate da melodia, impatto e componente decadente, che avevano contraddistinto i primi full length della band emiliana. Sapere se il ritorno al passato, più volte lasciato intendere, sia reale. La risposta a questa domanda non è così immediata. Se da un lato la maggiore presenza del quartetto d’archi permette di ricreare alcune idee e atmosfere che resero unici i primi lavori della band, dall’altro vengono meno alcune componenti. Ci riferiamo, in particolare, alle aperture melodiche della chitarra che, a detta di chi sta scrivendo queste righe, è il limite dei Dark Lunacy post The Diarist. La chitarra non riesce più a fare la differenza come capitava in passato, diventando più uno strumento comprimario che protagonista. Vengono meno quelle parti che, assieme alla voce di Mike e agli strumenti ad archi, dettavano melodie immediatamente memorizzabili, cariche di emozioni, ora più decadenti e tristi, ora più aggressive. Ci stiamo riferendo a quei passaggi presenti in canzoni come Dolls, Thorugh the Non-Time e Aurora, giusto per citarne qualcuna. Track in cui le parti di chitarra si lasciavano cantare, rimanendo impresse in maniera indelebile.

 

Questa comparazione tra presente e passato non deve però trarre in inganno. The Rain After the Snow si rivela un disco studiato al dettaglio, composto con una cura maniacale, senza lasciare nulla al caso. Tanto che canzoni come le già citate Gold, Rubies and Diamonds e Life Deep in the Lake, a cui va sicuramente ad aggiungersi King with no Throne, hanno tutte le potenzialità per diventare tasselli inamovibili dei futuri live set dei Dark Lunacy. Gioielli di un disco che, con le sue atmosfere, con la sua carica emotiva, con la prestazione sentita di Mike al microfono e la componente decadente dettata dalle trame degli strumenti ad archi, è la perfetta trasposizione in musica del tema su cui è stato eretto. Ciò che la comparazione vuole trasmettere e provare a dire è che l’album avrebbe potuto essere molto di più di quanto già sia. D’altronde, da una compagine della caratura dei Dark Lunacy è corretto pretendere sempre il massimo, e forse qualcosa in più. È il fardello che ogni formazione dotata di una visione artistica superiore alla media deve portare e affrontare.

 

Con The Rain After the Snow i Dark Lunacy, a fronte dei quasi vent’anni di attività, dimostrano di avere ancora molto da dire e che passione e desiderio di trasmettere emozioni attraverso la musica sono tutt’altro che svanite. Le ultime vicissitudini che hanno portato un rinnovamento in lineup sembrano aver donato nuovi stimoli, nuova carica a Mike Lunacy e Jacopo Rossi che sfornano un disco dal forte spessore emotivo. Certo, come approfondito in fase di analisi, qualche aspetto avrebbe potuto essere sviluppato con più calore, rendendo il disco ancora più toccante e carico di emozioni. Va però sottolineato che The Rain After the Snow è il primo disco dei nuovi Dark Lunacy e che, forse, sia necessario ancora un po’ di tempo per trovare il perfetto amalgama che permetterà a tutti di sfoggiare le proprie potenzialità. Ma se la base di partenza è questa, il futuro fa ben sperare.

 

Marco Donè

 

 

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