Recensione: Threnodies

Di Tiziano Marasco - 20 Giugno 2016 - 0:00
Threnodies
Band: Messenger
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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70

“Ma che ho messo su il nuovo Radiohead? No, il disco è quello giusto, Threnodies dei Messenger”. Questa è la reazione che la maggior parte degli estimatori della band di Oxford avrà mettendo sul piatto questo disco  dopo i primi secondi di ascolto. Calyx in effetti, opener del secondo album dei londinesi, ha molto degli ultimi album di Yorke e soci – non esattamente un complimento, ma tant’è: atmosfere dilatate e piglio marcatamente cerebralindie.

Il disco, però, va avanti, e gli ascolti pure, sia in una direzione che nell’altra ci si rende ben presto conto che Messenger e Radiohead hanno ben poco a che spartire, e Threnodies risulta essere un album tanto variegato quanto derivativo. Il nome che più spesso viene in mente è quello dei Pink Floyd, in particolare quelli di Echoes, del Dark Side e Animals, per un incredibile tuffo negli anni settanta. In questo senso una traccia come Balearic blue è quasi un tributo, anche se non di solo Floyd campano le sette tracce di questo disco.

I britannici in effetti pigliano a piene mani dalla decade d’oro del prog, e non se ne distanziano particolarmente. Non solo Psychefloydia comunque, un altro nome che salta alle orecchie e quello di una band non famosissima in Italia, eppure assai fondamentale in patria: gli Hawkwind, soprattutto quelli di Warrior on The Edge of Time. 

È dunque un progressive rock molto hard & acid, che in alcuni episodi suona decisamente stoner, ad esempio Celestial Spheres e Oracles of War (dove pure il vento del falco soffia poderoso). Ancora, Nocturne e Pareidolia (che pure con quel titolo…), sono due pezzi che vedono salire in cattedra il re cremisi di Starless and Bible black.

Derivatività a pacchi, un songwriting che può essere effettivamente migliorabile e una qualità sonora volutamente effettata alla ricerca di quell’imprecisione genuinamente settantiana non bastano tuttavia a fare di Threnodies un disco facilmente scartabile. Al contrario, i Messenger pur non inventando nulla di nuovo ed avvicinandosi parecchio a quell’obbrobrio che alcuni definiscono “regressive” mettono insieme un album assai gustoso. 

Debitore di molti, eppure vario e di sicuro impatto, ruvido e raffinabile eppure ben architettato, senza particolari picchi eppure di facile assimilazione grazie ad un paio di pezzi carichi di groove, Threnodies è un album che può fare la gioia sia dei prog metaller nostalgici che degli indie rocker “di tendenza”.  

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