Recensione: Vertikal

Di Tiziano Marasco - 12 Febbraio 2013 - 0:00
Vertikal
Band: Cult Of Luna
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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80

“Come? I Cult of Luna? Questi qui? Ma dov’è finito il post metal di Somewhere along the highway? Sembra quasi di sentire i The Ocean collective!”
 
Si perdoni l’introduzione in medias res, peraltro non correlata dal debito entusiasmo. Ma l’impatto sonoro di I: the weapon, brano che a dicembre aveva presentato la nuova fatica dei Cult of Luna, nonché prima vera canzone in scaletta, lascia davvero frastornati. Nulla più rimane della malinconia del disco che sette anni or sono aveva presentato questi ragazzi al grande pubblico come una delle band di punta nella scena post metal. Tributario molto più del post rock classico che della sua variante metallica, Somewhere along the highway aveva fatto guadagnare ai nostri (secondo un modesto ghiribizzo personale) l’epiteto di Mogwai coi chitarroni, nonché il ben più importante appoggio di critica e pubblico.

Due anni più tardi Eternal Kingdom avrebbe spostato sensibilmente gli equilibri sonori della band, che aveva iniziato ad emanciparsi dai propri padri putativi (s’intendano ancora e soprattutto i Mogwai). Dopo di che ben cinque anni di silenzio che lasciano intuire molti cambiamenti nella vita di tutti i giorni ancor prima che nella musica, nonché l’abbandono di un membro storico come Klas Rydberg e la conseguente candidatura di Johannes Persson a vocalist di riferimento.
 
Ed eccoci tra le mani Vertikal, quinta prova in studio per la band di Umeå. E il cambiamento si sente eccome, e non solo per una produzione ed una pulizia sonora di caratura molto superiore alle uscite precedenti. La canzone citata in apertura è infatti burrascosa e molto più orientata su toni death che al post d’un tempo. Per non dire che di post qui c’è abbastanza poco. Oltre a ciò, la nera tela del gruppo si colora con sporadiche sfumature di tastiera, leggeri break atmosferici che alleggeriscono ed insaporiscono qua è la i momenti più cupi del platter. Passaggi che sconfinano ben oltre la galassia metallica in molteplici direzioni, come l’interludio The sweep, quasi preso in prestito agli Atari teenage riot. Temi che qua e là si ripresentano, dando al disco la forma di concept album. Un concept ispirato a Metropolis di Fritz Lang, e questo spiega le frequenti variazioni elettroniche ai limiti dell’hardcore e le cadenze meccaniche (su tutte Synchronicity). Tali sporadiche ripetizioni tuttavia giocano un ruolo importantissimo all’interno dell’album, manciate di note che si levano come fari all’interno di un’esperienza uditiva talora estenuante. Perché Vertikal si impone, a tutti gli effetti e senz’ombra di dubbio, come il disco più sperimentale, e dunque più ostico che i Cult of Luna ci abbiano regalato sinora.
 
A onor del vero comunque bisogna notare che le origini post non sono negate tout court, e brani come la mastodontica Vicarious redemption ma soprattutto Passing through, la “delicata” Mute departure sono qui a testimoniarlo. Si tratta però di brani comunque difficili, estremamente intricati e bisognosi di ripetuti ascolti prima di essere assimilati. Delle chitarre mogwaiane che avevano reso grandi altri dischi del gruppo, ripetiamo, qui non c’è più niente, ed anche i brani più atmosferici delineano paesaggi plumbei, spogli, aridi. A livello strutturale poi, la band dà libero sfogo alla sua componente psycho-prog, non ponendo alcun freno alla propria torbida fantasia. Se infatti le “canzoni” degli anni passati si distinguevano per i loro crescendo, il loro evolversi in maniera “fluida”, quelle di Vertikal sono decisamente “spezzate”.  Nel senso che, sebbene sia possibile notare un progressivo crescendo, ci troviamo davanti ad una lisergica sfilata di piccoli branetti onirici contrapposti l’uno all’altro, intervallati ora da ira funesta, ora da nulla ontologico. Pezzi che offrono ben pochi appigli all’ascoltatore spaesato, ma che d’altra parte testimonino come i Cult of Luna siano ben intenzionati a trovare nuove vie d’espressione.
 
E alla fine avrete l’idea che I: the weapon, quel gran bel pezzo sentito in apertura, quel pezzo che, per quanto violento e “di rottura”, non avete fatto gran fatica a digerire, sia una  sorpresa sì coreografica, ma non sostanziale. Sicché è impresa ardua dar conto di un lavoro che, com’era stato un tempo Kid A, sfugge ad ogni possibile catalogazione. Non è post metal, non è sludge, non è death core, non è neppure industrial cerebrale. È al centro di tutto questo.
 
I Cult of Luna insomma si levano definitivamente di dosso la loro immagine di Mogwai coi chitarroni e ci offrono quella che è, se mai ce ne fosse bisogno, la loro prova più matura e personale. Un disco che conferma gli svedesi come band di finissima levatura, quasi pronta per salire al Valhalla delle band immortali al fianco, per dire, di Opeth ed Enslaved. Una prova estremamente complessa e fuori dagli schemi, a volte ridondante, forse bisognosa di ripetuti ascolti, ma che indubbiamente ripaga chi ha pazienza e già si candida come una delle uscite più interessanti di questo 2013 appena agli inizi.
 
Tiziano “Vlkodlak” Marasco


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Tracklist:

01. The one 2.16
02. I: the weapon 9.24
03. Vicarious redemption 18.51
04. The Sweep 3.09
05. Synchronicity 7.13
06. Mute departure 9.08
07. Disharmonia 0.45
08. In Awe Of 9.56
09. Passing through 6.03

Line Up:

Thomas Hedlund – batteria, percussioni
Andreas Johansson – basso
Fredrik Kihlberg – chitarra, voce
Magnus Líndberg – batteria
Erik Olòfsson – chitarra
Johannes Persson – chitarra, voce
Klas Rydberg – voce
Anders Teglund – tastiere

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