Recensione: Zarathustra

Di Silvia Graziola - 5 Febbraio 2007 - 0:00
Zarathustra
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1973
Nazione:
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95

Zarathustra, album impegnativo e cervellotico, è il capolavoro dalla storia complicata e sofferta dei Museo Rosenbach, nonché una delle pietre miliari del prog europeo. Nati verso la fine degli anni sessanta con la fusione delle band provenienti dai dintorni di Sanremo Il Sistema e La Quinta Strada, quelli che erano conosciuti inizialmente con il nome di Inaugurazione Del Museo Rosenbach iniziano a muovere i loro primi passi nel mondo della musica proponendo principalmente cover rock-blues.

Nel 1972, con sufficiente materiale da permetter loro di entrare in sala di registrazione, il gruppo firma un contratto con la Ricordi e decide di accorciare il proprio nome in Museo Rosenbach, Rosenbach come il filologo editore tedesco, scelto dall’intellettuale e bassista del gruppo Alberto Moreno per il significato del suo nome, che vuol dire “Ruscello di rose”.

L’anno seguente, il 1973, vede la pubblicazione sotto l’etichetta Ricordi del primo album della band, Zarathustra, in cui sono perfezionate e migliorate sia nella musica, sia nei testi, le versioni di prova dell’album registrate qualche mese prima e raccolte in seguito nell’album di demo e rarità Rare And Unrelased, edito dalla Mellow Records con cui si possono fare interessanti confronti.

 

Il disco è dedicato a Zarathustra o Zoroastro nella sua forma greca, profeta persiano del V – VI secolo, fondatore dello Zoroastrismo, dottrina che vede la contrapposizione meticolosa di bene e male in tutte le cose animate ed inanimate che fanno parte del mondo. Zarathustra è lo stesso protagonista della famosa opera di Nietzsche Così parlò Zarathustra, che racconta della discesa del profeta dalla montagna in cui si era ritirato per meditare, con l’intenzione di enunciare agli uomini la dottrina del superuomo, volendo di dar loro i mezzi e le conoscenze per riscattarsi dalla mediocrità tramite il superamento di sé.

 

In un periodo storico in cui la maggior parte dei gruppi musicali italiani, specie in ambito prog, era schierata politicamente a sinistra ed usava spesso la musica come veicolo delle proprie ideologie politiche, i Museo Rosenbach vogliono stupire con il loro debutto andando controcorrente, riuscendo così bene nel loro intento da nuocere anche a se stessi. I temi trattati, legati strettamente alla filosofia di Nietzsche e risultato di una lunga ricerca di Alberto Moreno sull’autore non diedero via di scampo alla band che, nonostante una buona promozione da parte della casa discografica, incontrò innumerevoli problemi in fase di distribuzione quando organi come la RAI censurarono il disco assegnando ai Museo Rosenbach l’etichetta di sostenitori dell’ideologia fascista, definizione questa ben lungi da rappresentare gli effettivi orientamenti politici del gruppo.

Sullo sfondo nero di copertina il fotografo Ricordi Cesare Monti presenta un collage di immagini tratti da riviste e fotografia dell’ “epoca”, disposte in modo formare un volto umano dall’aspetto inquietante, quasi mostruoso al colpo d’occhio. Tra i ritagli appaiono delle immagini di colline, dei frammenti di capigliature, dei denti, degli uccelli in volo, mani che afferrano delle sbarre, un volto di una bambina, un bottone e, pietra dello scandalo, un busto di Mussolini, aggiunto solamente in un secondo tempo da Monti con intenti provocatori.

Sul retro del vinile due braccia emergono dallo sfondo nero e si incrociano, uno stretto da un laccio emostatico, trafitto da una siringa e martoriato dalle punture d’ago dove le dita semiaperte sembrano godere dell’immediato “piacere” della droga, l’altro è coperto da una camicia bianca chiusa dai gemelli, imprigionato da un orologio d’oro e termina con un pugno chiuso nell’atto di stritolare una persona altrettanto ben vestita. Il messaggio è forte e le interpretazioni sono molteplici, tra cui spicca il contrasto tra le ragioni che uccidono, corrompono e rovinano gli uomini: il vizio, i soldi, il potere…

 

Silenzio. Note sussurrate e flautate. Un rullo di tamburi emerge e sparisce nell’ombra con la stessa rapidità con cui è apparso. Questo è l’incipit de L’ultimo uomo, inizio del disco e primo dei cinque brani che compongono Zarathustra, mini concept di venti minuti ed originario lato A del vinile. I toni sono solenni, quasi epici quando gli strumenti entrano in scena, avanzano con grandi falcate e si dissolvono per dare spazio alla voce un po’ rauca ed intensa di Stefano “Lupo” Galiffi, che emerge dalla lontananza aiutata dal timido tappeto di Mellotron e dal più energico Hammond di Pit Corradi e dagli inserti di chitarra arpeggiata di Enzo Merogno. La tensione cresce e diventa un’elegante esplosione di suoni, dove la dolcezza degli strumenti di Corradi con la sua solennità ricorda le atmosfere ampie dei migliori King Crimson.

Altro silenzio. Un pianoforte fa capolino da chissà quale distanza: è l’intro de Il re di ieri che, nella sua atmosfera iniziale quasi sognante, sembra sbucare dal concerto che fecero qualche anno prima i Pink Floyd a Pompei. Con un nuovo e rapido cambio di scena la musica diventa nervosa, sincopata ed il gran lavoro di batteria di Giancarlo Golzi conduce il brano verso le prime note di Al di là del bene e del male, canzone cadenzata ed aggressiva, dove chitarre distorte ed arpeggiate si contendono con Hammond, Mellotron e Vibrafono di Pit Corradi la parte principale della scena.

Le note gentili del Mellotron che trascinano con sé la voce di Galiffi sono invece l’inizio di Superuomo, il brano più lungo del mini concept con i suoi sei minuti di musica camaleontica. Riff aggressivi di chitarra, abbastanza hard rock da ricordare i Deep Purple, fanno le loro incursioni sotto una pioggia di Hammond e, mentre gli assoli di chitarra ripercorrono la melodia del cantato, si ha la sensazione di avere qualche fugace ricordo degli Emerson, Lake & Palmer. Il riverbero che s’insinua nei microfoni della batteria è uno dei tanti segnali che suggeriscono che la qualità della registrazione avrebbe potuto essere migliore, sebbene già discreta se paragonata ad altre band dell’epoca.

Il quinto ed ultimo atto di Zarathustra, Il tempio delle clessidre, riprende la parte conclusiva de l’ultimo uomo e la ripete sfumando man mano il suono fino al silenzio, mentre il basso pulsante di Alberto Moreno ed i graffianti riff di chitarra portano in scena Degli uomini, ottimo inizio del lato B del vinile, dove gli slide e gli assoli di chitarra iniziali fanno venire in mente brevi istanti di The side of the moon dei Pink Floyd, altro illustre contemporaneo di Zarathustra.

Della Natura è una corsa a  rotta di collo di strumenti: veloce e sincopata si arresta e si trasforma in un’impercettibile melodia per ospitare testi e cantato, per poi riprendere con lo stesso nerbo la parte strumentale dove la sezione ritmica di basso e batteria si fa in quattro per sostenere gli altri strumenti all’unisono.

Ultima ma solo in ordine di tempo la bellissima Dell’eterno ritorno, il giusto finale solenne, riflessivo e drammatico dell’album, dove il la parte cantata monopolizza nel finale l’attenzione grazie alla forte espressività di Galiffi che, complice la bellezza dei testi, è in grado di fissare nella memoria di chi lo ascolta la melodia di questa canzone.

Nonostante Zarathustra sia impregnato di influenze di molti gruppi dell’epoca come King Crimson, Pink Floyd, Banco del mutuo soccorso ecc, ai Museo Rosenbach va il merito di aver assimilato queste idee nel migliore dei modi, unendole assieme in un modo innovativo ed originale, ottenendo così uno stile ed un suono tanto personale quanto stupefacente.

 

L’eleganza dei testi di Mauro La Luce non può passare inosservata: la loro violenta espressività accompagnata da una forte immediatezza, dovuta ad un modo di esprimersi non troppo ermetico, è una miscela esplosiva che fornisce l’immagine dell’ “uomo museo” che, secondo una nota nell’interno copertina, “è lavaggio del cervello, utopia e falsità”.

Come Nietzsche amava parlare di sé come un autore postumo, in grado di essere compreso solo dai posteri dopo la sua morte, così i Museo Rosenbach sono stati rivalutati solamente anni dopo il loro scioglimento. Complice il crescente interesse da parte dei giapponesi per Zarathustra, l’album venne ristampato e di conseguenza ricominciò ad essere rivalutato e (ri)scoperto anche in Italia.

 

Silvia ‘VentoGrigio’ Graziola

 

Tracklist:

 

1. Zarathustra

            a) L’ultimo uomo (3.55)

            b) Il Re di ieri (4.40)

            c) Al di là del bene e del male (2.39)

            d) Superuomo (6.25)

            e) Il tempio delle clessidre (2.52)

2. Degli uomini (4.04)

3. Della natura (8.28)

4. Dell’eterno ritorno (6.18)

 

 

Lineup:

Giancarlo Golzi – batteria, timpani, campane, voce

Alberto Moreno – basso, pianoforte

Enzo Merogno – chitarre, voce

Pit Corradi – mellotron, organo hammond, vibrafono, piano elettrico Farfisa

Stefano “Lupo” Galiffi – canto

 

Testi:

Mauro La Luce

 

Musica:

Alberto Moreno

 

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