Heavy

Live Report: Iron Maiden + Avatar @ Stadio Euganeo, Padova, 13/07/2025

Di Marco Donè - 15 Luglio 2025 - 17:47
Live Report: Iron Maiden + Avatar @ Stadio Euganeo, Padova, 13/07/2025

Live Report: Iron Maiden + Avatar @ Stadio Euganeo, Padova, 13/07/2025

Live report a cura di Marco Donè
Introduzione e conclusioni di Davide Sciaky

Photo Report completo: https://www.truemetal.it/live/photo-report-iron-maiden-avatar-stadio-euganeo-padova-13-07-2025-1196877

Ormai da tempo i concerti vengono annunciati con grandissimo anticipo, e questo è il caso anche del tour con cui gli Iron Maiden hanno celebrato cinquant’anni di attività. Quando la leggendaria band inglese ha reso note le date del 2025, lo scorso settembre, dietro alle pelli sedeva ancora Nicko McBrain, ma qualche mese dopo il batterista ha annunciato il ritiro. Per la prima volta in oltre quarant’anni, quindi, il concerto di Padova è stato il debutto di un nuovo batterista degli Iron Maiden, e anche solo questo basterebbe per rendere unico questo show. Tanta curiosità è quindi stata rivolta questa sera verso il nuovo compagno di band di Steve Harris e soci.
Il fatto che la band sia tornata a suonare in uno stadio italiano dopo tanti anni, ha poi reso la data una di quelle con maggior affluenza nel nostro Paese da tanto tempo.
Il concerto è anche stato segnato da qualche malcontento per il prezzo elevato dei biglietti. Senza entrare nel merito – non conoscendo i dettagli organizzativi (tra cui anche le richieste economiche della band) è ben difficile esprimere un giudizio sensato – rileviamo però che il prezzo non ha certo frenato i fan accorsi in massa: se anche qualche biglietto era ancora disponibile in cassa all’inizio della giornata, nello stadio abbiamo trovato un pienone che se non ha segnato un “tutto esaurito” ci è andato sicuramente vicino, creando poi un’atmosfera caldissima per tutta la sera. Parlando di prezzi, ci è spiaciuto vedere ancora usati i famigerati token, con le loro assurde “logiche”: per comprare una bottiglietta d’acqua da due euro bisogna comprare dieci euro di token, ovviamente non rimborsabili, poco importa se uno abbia intenzione di comprare altro o meno. Non possiamo che augurarci che in futuro vengano adottati altri sistemi di pagamento più rispettosi del pubblico.
Tornando a parlare di musica, gli inglesi sono accompagnati in tour da diverse band, e all’Italia toccano gli Avatar. Se il gruppo svedese musicalmente non ha troppo a che fare con i Maiden, innegabile è la loro qualità e abilità sul palco e quindi ancora prima di arrivare allo Stadio Euganeo non avevamo dubbi dell’esito positivo anche della loro esibizione.
Con un’accoppiata del genere si prospettava una grande serata, andiamo quindi a vedere nel dettaglio cosa è successo.

AVATAR

Sono le 19:25 quando dalle casse dell’impianto risuona ‘Bewar the Clown’, dei The Damned. Sul palco sale un losco figuro, incappucciato e tutto vestito di nero, con un pacco regalo in mano. Lo appoggia sopra una cassa, posta davanti alla batteria, e lo apre. La testa di Johannes Eckerström fa subito capolino. Il cantante degli Avatar si alza poi in piedi, in tutta la sua imponente altezza (era ovviamente nascosto dietro la cassa, n.d.a.). Sfoggia il classico look di scena e in mano tiene stretto un palloncino rosso, evocando l’immaginario di It. L’ingresso in scena degli Avatar, la compagine di apertura della data italiana degli Iron Maiden, avviene in questo modo. Un vero e proprio freakshow, che dà il via libera a una prestazione di immane potenza e impatto. Sì, perché la band attacca con una ‘Dance Devil Dance’ che spazza via qualsiasi cosa. Gli Avatar sfoggiano una presenza scenica disarmante: nella strofa sfoderano continui mulinelli coordinati, lasciando poi spazio a un Eckerström in stato di grazia. Il cantante, infatti, già dalle prime battute dello show conquista il pubblico, grazie a una personalità travolgente e carismatica. Lo Stadio Euganeo partecipa con entusiasmo all’esibizione, lasciandosi andare a continui battiti di mani ritmati, lanciando a più riprese il coro “Avatar, Avatar” e rispondendo ogni qualvolta Eckerström ne richieda la partecipazione: adrenalina pura. Gli Avatar, d’altronde, sono una band che trova nella dimensione live il proprio punto di forza. È inevitabile venire travolti dalla carica espressa da una loro esibizione. Sul palco, infatti, nulla è lasciato al caso: tutto è curato nei minimi dettagli: dalle movenze ai mulinelli coordinati – compreso il batterista, come accade in ‘Let It Burn’ – fino ai cambi d’abito di Eckerström e alle sue interazioni con il pubblico. E proprio Eckerström è l’assoluto mattatore dello show: alterna dialoghi in italiano e in inglese, conquistando i presenti, tenendo il pubblico in pugno. Dice di vivere un momento bellissimo, in quanto può girare l’Europa assieme ai suoi eroi, gli Iron Maiden. A tale affermazione lo Stadio Euganeo esplode in un boato. Chiede poi ai presenti in quanti stiano assistendo per la prima volta a uno show degli Avatar. Dal prato si alzano tantissime mani e lui, in italiano prima, in inglese poi, reagisce con un bellissimo «Benvenuti in famiglia». E cosa dire della sua ironia – come quando presenta ‘Smell like a Freakshow” annusandosi l’ascella – o della sua presenza scenica, che in alcune movenze marziali richiama da vicino Alice Cooper. Tutto funziona dannatamente bene. Gli Avatar scaldano lo Stadio Euganeo a dovere, lo portano all’ebollizione. I suoni sono curati e potenti, anche se dalla nostra posizione, nelle parti più veloci, dove la batteria si spinge ai confini del blast beat, risultano un po’ impastati. Poco importa: il pubblico è in estasi. Gli Avatar chiudono lo show con ‘Hail the Apocalypse’. Alla fine del brano, Eckerström urla in italiano «Noi siamo» e il pubblico risponde «Avatar», un dialogo che si ripete più volte, suggellando il trionfo della compagine svedese. Sulle note di una melodia circense, da autentico freakshow americano, la band saluta uno Stadio Euganeo in delirio, dando appuntamento a Milano, il 3 marzo 2026. Sono le 20:15. Impossibile immaginare un inizio migliore.

Setlist:

Beware of the Clown (intro)
Dance Devil Dance
Let It Burn
In the Airwaves
Bloody Angel
The Dirt I’m Buried In
Captain Goat
Smells Like a Freakshow
Hail the Apocalypse

 

IRON MAIDEN

Lo Stadio Euganeo è ormai stracolmo. Ogni settore sembra un autentico formicaio e l’affluenza massima viene raggiunta proprio in questo momento. Il prezzo del biglietto, insomma, non ha spaventato i metalhead italiani! Dopo un rapido cambio palco, verso le 20:50, le note di ‘Doctor Doctor’ squarciano l’atmosfera, risvegliando un pubblico che stava recuperando le energie spese durante lo show degli Avatar. Lo Stadio Euganeo diventa un girone infernale ed esplode in un boato. Dal prato si sollevano braccia al cielo e si innalzano ripetuti cori, pronti a scandire gli accenti sui piatti. Sono passati solo pochi istanti è l’adrenalina è già alle stelle. Arriva poi il momento di ‘The Ides of March’ e si inizia a fare sul serio. Gli schermi proiettano delle scenografie a tema, ripercorrendo un quartiere dei sobborghi inglesi, fino alla comparsa della copertina di “Killers”. Con la voce il pubblico segue le melodie della chitarra e gli Iron Maiden irrompono in scena con una tirata ‘Murders in the Rue Morgue’, con tanto di fuochi sul palco. Dickinson si impossessa subito della scena: corre sullo stage, si spinge fin sotto gli schermi laterali, aizzando tutti i presenti, sul prato e sugli spalti. La risposta del pubblico è impressionante. I sei inglesi attaccano con il piglio giusto, è come se avessero vent’anni in meno di quanto testimonia la carta d’identità. I suoni appaiono un po’ ovattati in questo inizio, con dei volumi forse un po’ troppo alti. La scaletta è però da bave alla bocca e fa passare qualsiasi cosa in secondo piano. Arriva infatti una ‘Wratchild’ clamorosa, con un pubblico che nel ritornello riesce quasi a sovrastare la band. Una risposta del genere carica ulteriormente la compagine inglese, con Dickinson che inizia a far roteare l’asta del microfono. Arriva poi il momento di ‘Killers’, il cui intro è accompagnato dal battito ritmato delle mani della folla presente. La canzone esplode in tutta la sua potenza, con uno Stadio Euganeo presentissimo. I suoni iniziano a migliorare, donando ancora più tiro alla prova dei sei inglesi. Gli Iron Maiden appaiono davvero affiatati, aggredendo il palco con la giusta dose di cattiveria e teatralità, con un Harris pronto a galoppare da un parte all’altra dello stage. Splendide le scenografie, con un palco strutturato su due piani e dei filmati ad hoc proiettati durante ogni pezzo. Quando arriva l’assolo di ‘Killers’, Eddie entra in scena brandendo un’ascia, avvicinandosi minaccioso a ogni musicista. Il pubblico accoglie con un boato l’ingresso del gigante. I bambini presenti sono fuori di sé, eccitatissimi. Un particolare che fa capire come il ruolo di icona dell’heavy metal apparterrà agli Iron Maiden ancora per molto, moltissimo tempo. In mezzo a tutto questo clamore, alcune piccole sbavature passano totalmente in secondo piano. Le emozioni sono troppo forti per pensare ad altro. A fine canzone, sul grande schermo alle spalle della band, un sipario oscura la scena. Dickinson ringrazia Padova, parla dei cinquant’anni della formazione inglese e introduce Simon Dawson: dopo quarantadue anni gli Iron Maiden si presentano in scena con un batterista diverso. Subito dopo scherza con il pubblico, chiedendo cosa possa mai esserci dietro il sipario. Ecco quindi arrivare ‘Phantom of the Opera’. I suoni continuano a migliorare e con l’oscurità che finalmente avvolge la città patavina le scenografie diventano ancora più suggestive e impattanti. Dopo un inizio incentrato sui primi lavori della band, la scaletta mette a segno un cambio d’epoca, regalando una sentita ‘The Number of the Beast’. Gli Iron Maiden attuano un autentico cambio marcia, aggredendo il palco con ancora maggior enfasi. Le scenografie aumentano il pathos della canzone, con la presenza dei fuochi e dei video estratti dal primo, seminale “Nosferatu”. Il ritornello è cantato dal pubblico, in totale balia dei sei leoni inglesi. Molto bene le chitarre, con un Murray più “squillante” di Smith negli assoli. Già, gli assoli… Da sottolineare che la fase solistica è eseguita da chi l’ha suonata nel disco. E così, in questa prima parte, Janick Gers, oltre a sfoggiare le solite movenze ginniche, si limita ad accompagnare, contribuendo a creare il muro di suono assieme a Harris e Dawson. Il batterista è ovviamente l’osservato speciale della serata e va detto che il suo lavoro lo svolge bene, eccome. Certo, non è Nicko McBrain, ma garantisce solidità alla band. E scusate se è poco! La serata, intanto, continua a regalare classici su classici, con gli Iron Maiden che sparano una ‘The Clairvoyant’ accolta con un boato dal pubblico. Harris spadroneggia con le sue pose, sprigionando adrenalina da ogni poro. I suoni migliorano definitivamente, bilanciando bene gli strumenti e regolando a dovere i volumi. Bruce, intanto, inizia a usare la parte alta del palco, vivendo con teatralità la canzone e aizzando il pubblico. Tocca poi a ‘Powerslave’, nel cui intro, nella parte alta dello stage, alle spalle della batteria, compare una sorta di braciere, che esplode con l’attacco della canzone. Piano piano, avvolto dal fumo dell’esplosione, compare Bruce, che intona il classico «Scream for me, Italia!». Nel rallentamento centrale, il pubblico accompagna con un imperioso battito di mani ritmato e alla ripresa della canzone Harris corre da un lato all’altro del palco: il tempo sembra essersi fermato, sembra di rivivere gli anni Ottanta, è tutto magico. Il tuffo nel passato prosegue con ‘2 Minutes To Midnight’ – il cui ritornello mette a dura prova le corde vocali dell’intero Stadio Euganeo – e la magniloquente ‘The Rime of the Ancient Mariner’, in cui Bruce impressiona per la qualità della prestazione. A quasi sessantasette anni è in grado di annichilire colleghi ben più giovani di lui. Senza scordare la fisicità, l’energia dei suoi live, con continui spostamenti sul palco. Le scenografie risultano studiate in ogni dettaglio, così come i movimenti dei singoli. Proprio in ‘The Rime of the Ancient Mariner’ tocchiamo forse il punto più alto della teatralità. Subito dopo la parte centrale, quella più atmosferica e spettrale, con Harris e Smith che evocano il lento scorrere del galeone sul mare, Dickinson compare nella parte alta del palco, come se fosse appena sceso dall’albero della nave, proiettata sul grande schermo. Quando la canzone riprende enfasi, il cambio di tempo è scandito dai fuochi d’artificio. Bruce, intanto, rimane in alto. Canta e si sposta lungo il piano elevato: è come se camminasse in mezzo alla pioggia, sulle acque dell’oceano proiettato sul grande schermo. Un passaggio che gli dona delle fattezze quasi divine! La scaletta sembra interminabile, così come le energie dei sei ragazzacci inglesi. Arrivano quindi ‘Run to the Hills’ – cantata a squarciagola dal pubblico – e una maestosa ‘Seven Son of a Seven Son’, uno dei momenti più alti dello show. Un altro passaggio carico di enfasi è caratterizzato dall’immortale ‘The Trooper’, che vede Bruce protagonista dell’ennesimo cambio d’abito. Il cantante, infatti, indossa l’uniforme del soldato britannico, replicando la copertina di “The Trooper”, con tanto di Union Jack alla mano. Entra in scena anche Eddie, a sua volta vestito come nella cover del singolo: il pubblico è in estasi totale. E quando Bruce lascia la Union Jack e sventola una bandiera italiana, il fragore dello Stadio Euganeo è clamoroso. Giusto il tempo dell’ennesimo coro “Maiden, Maiden” e i sei attaccano con ‘Hallowed Be Thy Name’. Il pubblico e Bruce intonano all’unisono la parte iniziale: le emozioni sembrano non finire mai in questo show. Dickinson incomincia la canzone intrappolato in una sorta di gabbia, con i quattro strumentisti a corde raccolti tutti assieme, fronte palco. Con il cambio di dinamica, durante l’assolo, la prigione in cui Bruce è rinchiuso esplode, liberando la furia cieca del cantante. Nella parte bassa, invece, gli altri si lanciano in una folle corsa, pronti a occupare ogni singolo centimetro del palco. La scarica di adrenalina è pazzesca. Questa è la magia della vecchia scuola. Performance totale! Siamo ormai alle battute conclusive e il combo inglese saluta Padova con una ‘Iron Maiden’ suonata da paura. Dawson pesta davvero duro e si trova alla perfezione con Harris. Il finale è lasciato all’improvvisazione, con Gers che rotea più volte la chitarra sopra la testa. In un tripudio di fiamme e fuochi d’artificio, Bruce saluta i fan. Escono tutti, con Dawson ultimo a lasciare il palco, impegnato nel lancio delle bacchette. Padova non ci sta, tutto lo Stadio inizia a rumoreggiare, a chiamare a gran voce gli Iron Maiden. Dalle casse escono dei rumori di guerra, sullo schermo vengono proiettate delle immagini con bombardieri in decollo. Viene diffuso il famoso discorso di Churchill e gli Iron Maiden tornano in scena con l’energica ‘Aces High’. Il pubblico è una bolgia e quando Bruce va un attimo in difficoltà, nel primo ritornello, è l’intero Stadio Euganeo a sorreggerlo, cantando per lui. È solo un attimo, però: nel secondo ritornello non ci sono sbavature. Il finale sembra fatto apposta per dare il colpo di grazia alle corde vocali dei fan, con l’accoppiata ‘Fear of the Dark’ – che vede Gers protagonista nel solo e Bruce cantare nella parte alta del palco, con tanto di lanterna – e ‘Wasted Years’. Show monumentale, salutato da un vero e proprio boato del pubblico. E se questa è l’energia dopo cinquant’anni di carriera, beh, gli Iron Maiden hanno ancora tanto da dire e da dare al metallo pesante. Sono circa le 23:00 quando il combo inglese saluta lo Stadio Euganeo lanciando plettri e bacchette, raccogliendo una quantità infinita di applausi. Chapeau.

Setlist:

Doctor Doctor (intro 1)
The Ides of March (intro 2)
Murders in the Rue Morgue
Wrathchild
Killers
Phantom of the Opera
The Number of the Beast
The Clairvoyant
Powerslave
2 Minutes to Midnight
Rime of the Ancient Mariner
Run to the Hills
Seventh Son of a Seventh Son
The Trooper
Hallowed Be Thy Name
Iron Maiden

Encore:

Churchill’s Speech (intro)
Aces High
Fear of the Dark
Wasted Years

Always Look on the Bright Side of Life (outro)

CONCLUSIONI

Dieci mesi di attesa sono ben valsi la pena per un concerto di qualità altissima di una band che non smette mai di sorprendere: come si può avere ancora questa carica dopo cinquanta anni di attività?
Eppure sembra che gli Iron Maiden non facciano il minimo sforzo a suonare due ore, correre e saltare per il palco, fare cambi di costumi (per Bruce Dickinson) e via dicendo, tenendo poi un calendario di concerti fittissimo che li porta di continuo in tutto il mondo. Volendo trovare una critica, è un peccato che il tour annunciato come celebrativo dei primi nove album ne abbia invece toccati solo otto, senza nemmeno sfiorare “No Prayer for the Dying”, e che alcune scelte di scaletta siano state un po’ scontate, come tutta l’encore o le solite “Run to the Hills” e “The Trooper” che sarebbe stato bello vedere sostituite da qualche altra rarità. Dobbiamo però tenere in conto che i Maiden sono una band che ha sempre saputo rinnovare il proprio pubblico, e che ogni concerto ospita giovani, giovanissimi e meno giovani che li vedono per la prima volta, e quindi forse è anche giusto che tutti possano godere di quei classici con cui sono cresciuti, anche a costo (per chi li ha già visti in passato) di risentire per l’ennesima volta “Fear of the Dark”.
In conclusione, non possiamo che congratularci con i Maiden per questi cinquanta gloriosi anni, e augurarci che vogliano continuare a calcare i palchi per tanto tempo. A giudicare da questa serata non abbiamo dubbi che siano in grado di farlo con successo ancora per tanti anni.