Recensione libro: Live Aid, il suono di un’era, gli anni Ottanta e il sogno di un mondo migliore

LIVE AID – IL SUONO DI UN’ERA
Gli anni Ottanta e il sogno di un mondo migliore
di Gabriele Medeot
240 pagine
Formato: 16×23
ISBN: 978-88-94859-93-5
20 €
Grazie alla buona volontà, al cuore e alla disponibilità di una receptionist addetta alla struttura di Wembley si è potuto organizzare quel mastodontico evento che fu il Live Aid. Così come scritto a pagina 112 del libro Live Aid, il Suono di un’Era, gli anni Ottanta e il sogno di un mondo migliore, uno degli ultimi parti letterari di Tsunami Edizioni, Bob Geldof, il dominus della situazione, dopo essersi mosso al livello istituzionale e non aver concluso nulla, un bel mattino decise di prendere in mano il telefono e personalmente e chiamare la segreteria del famoso stadio londinese.
Questo episodio fornisce la misura di come le cose funzionassero negli anni Ottanta: la tecnologia stava pian piano impadronendosi dell’anima delle persone e i poteri forti, quelli che sarebbero divenuti i veri padroni del mondo, allora erano ancora nascosti, non così ben delineati e quindi l’iniziativa personale, come scritto sopra, poteva ancora trionfare su tutto. Oggi, fra lacci e lacciuoli costruiti ad arte e strutture ingessate erette in nome del business sempre e comunque, sarebbe pressoché impossibile si ripetesse una situazione del genere.
Le cose andarono effettivamente come narrato sopra e l’episodio è stato messo in evidenza solo a titolo esemplificativo, per poter inquadrare lo spirito naif che ancora contraddistingueva quell’epoca. Ovviamente la messa in opera del Live Aid fu un lavoro mastodontico, di proporzioni ciclopiche e, si badi bene, proprio come ben raccontato all’interno delle 240 pagine del tomo oggetto della recensione, le fasi di allestimento furono all’insegna del caos e della corsa all’ultimo minuto. Quindi niente di quello che ci si potrebbe facilmente immaginare per casistiche similari al mondo d’oggi: interi piani di famosi grattacieli dedicati con vista sullo skyline, segretarie impeccabili in tailleur, uffici scintillanti, colletti bianchi, enormi sale riunioni, schermi giganti, comunicazione assillante e capillare. Nel 1985, il team principal Bob Geldof, passava trafelato tra una telefonata e l’altra, un Fuck You ricevuto e due rispediti al mittente, pressapochismo a tonnellate, bluff, bugie, promesse, forfait, voltafaccia, tradimenti, immensi attestati di stima ma anche accuse gratuite di razzismo. Imperdibili, poi, le perle che di tanto in tanto vengono snocciolate a corollario del narrato: un cavallo vero come alternativa al generatore di corrente, due inaspettati minuti di immagini di persone che raccoglievano ciliegie in Romania passate per errore sui megaschermi e Madonna allontanata in modo sbrigativo dal camerino di una nota band heavy metal.
Il 13 luglio di quell’anno, una moltitudine di famosi artisti si esibì sul palco del Live Aid, suddiviso fra lo stadio Wembley di Londra e quello di Filadelfia, negli USA. Per molti quello fu il più grande concerto della storia, una kermesse allestita per raccogliere fondi in favore della popolazione dell’Etiopia, martoriata dalla miseria, con gente che moriva ogni giorno di fame e di sete. Soldi ne furono raccolti a palate ma poi, come si scoprirà nel libro di Gabriele Medeot, il malaffare ebbe il sopravvento e solo una parte di essi arrivò effettivamente a destinazione. Al Live Aid parteciparono artisti enormi, gente del calibro di Paul Mc Cartney, Mick Jagger, Bob Dylan, Phil Collins, Carlos Santana, Neil Young, Elton John, David Gilmour, Eric Clapton, Sting, The Who, Queen, David Bowie, U2, Madonna, Elton John, Tina Turner, Bob Dylan, Duran Duran, Dire Straits, Spandau Ballet, solo per elencarne un po’, così come altri rifiutarono di esserci, adducendo impegni e scuse varie.
A livello heavy metal e hard rock la compagine coinvolta assunse il ruolo della formichina, se paragonata allo strapotere e al numero soverchiante dei colleghi mainstream sopra elencati. Evidentemente il mastermind Geldof non era propriamente un fanatico (eufemismo) della musica dura che però, va sottolineato, venne comunque coinvolta – l’organizzazione poteva benissimo non farlo, basti pensare che nessuna Punk band fu invitata, quindi né Clash né Ramones – e piuttosto degnamente rappresentata da Status Quo, Loudness, Judas Priest. A livello di chicca si assistette alla reunion dei Black Sabbath con il rientro di Ozzy Osbourne che spararono, nell’ordine, delle versioni killer di “Children of the Grave”, “Iron Man” e “Paranoid”, senza aver provato nulla precedentemente. La sala prove che era stata appositamente approntata venne infatti utilizzata dai quattro Sabs solo per cazzeggiare e ricordare i bei tempi andati, gli strumenti non vennero nemmeno presi in considerazione. Viceversa da dimenticare l’esibizione dei Led Zeppelin, rimessisi insieme per l’occasione ma evidentemente in giornata no, con Phil Collins e Tony Thompson degli Chic alle percussioni.
A quarant’anni di distanza Live Aid, il Suono di un’Era, gli anni Ottanta e il sogno di un mondo migliore passa in rassegna le varie fasi di quell’incredibile concerto ma non solo, l’autore viviseziona anche quel decennio, declinando ricordi personali, eventi storici, scoperte tecnologiche, mantenendo sottotraccia quel sottile fil rouge che conferisce alla musica il potere di unire le persone, smuovere le coscienze – e i portafogli – ma anche, più prosaicamente, pensare di cambiare il futuro.
Stefano “Steven Rich” Ricetti