Recensione: Dystopian Putrescence

Secondo full-length per la death metal band newyorkese Dissonant Seepage, che torna sulle scene con un lavoro immerso nel brutal death metal, contaminato da elementi death-doom, deathcore e da una costante ricerca di suoni “dissonanti”. La produzione, affidata ai tecnici di Atrium Audio, già al fianco di Rivers of Nihil, Lorna Shore, August Burns Red, Texas In July e Like Moths To Flames, offre un contrasto netto: a tratti caustica e abrasiva, a tratti pulita e chirurgica, in base allo strumento in evidenza. Un potenziale che, purtroppo, la band non sfrutta appieno. E perché partiamo da una disamina sui suoni? Perchè è la cosa più interessante del disco. Infatti, rispetto all’esordio, che aveva mostrato una coerenza stilistica e una sperimentazione capace di valorizzare a fondo i contenuti, soprattutto la componente più cadenzata della sezione ritmica filo-slam stile Dying Fetus, qui i Dissonant Seepage compiono un passo indietro. Le idee ci sono, ma si disperdono in una struttura che somiglia più a un collage di spunti che a una forma-canzone compiuta. Il riffing si mantiene su territori piuttosto scolastici, con richiami tanto al thrash quanto al death metal più serrato in stile Morbid Angel, senza però trovare una sintesi personale.
Assieme ai già citati suoni, le sezioni groove/slam rappresentano forse i momenti più convincenti e incisivi, ma non bastano a sollevare l’intero lavoro. Nel metal estremo, l’“estremo” non si raggiunge solo con velocità o aggressività o con copiature o massime originalità varie, ma con coerenza, visione e un impatto capace di travolgere. In questo caso, invece, il disco appare stanco, privo di quella spinta creativa che aveva reso il debutto una prova un po’ più solida e stimolante.
Il risultato è un album che si fa già fatica ad ascoltare e che difficilmente lascerà il segno, soprattutto agli occhi (e alle orecchie) di chi aveva apprezzato la maggiore unità e personalità del primo capitolo discografico.