Recensione: Mara

Di Alessandro Rinaldi - 25 Novembre 2025 - 15:08
Mara
Band: Natas
Etichetta: Dusktone
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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60

Direttamente dalla costa est della Norvegia – come loro stessi amano specificare – tornano, dopo ben 7 anni i Natas, band nata nel 2011 e che ha solo un  solo disco nel suo repertorio, På veg… Til Helvette, uscito ben sette anni fa.

Da allora, ci sono stati diversi concerti tra Italia, Londra, Bergen e Oslo in cui i nostri hanno scritto nuovo materiale, che vede la luce – si fa per dire – solo ora. Gli stessi Natas evidenziano come ci siano state congiunture negative e cambi di line-up, che hanno ritardato l’uscita di Mara, procrastinandola ulteriormente: solitamente, l’estenuante gestazione di un album, non presagisce nulla di buono.

L’artwork di Mara si compone di otto brani per una durata di 35 minuti, in cui si celebra il passato della band, fatto di un black metal luciferino e misantropico, che cerca di far leva sulle atmosfere cupe e claustrofobiche, in cui spicca la voce disturbante del cantante, che talvolta sembra quasi volutamente mal registrata. In effetti, Mara, punta su una produzione low-fi, dando l’impressione di essere quasi un album live: le chitarre hanno una distorsione sporca e minimalista e. in questo contesto, spicca il drumming, che punta più sul groove rispetto al blast beat. E qui emerge un ulteriore elemento: la melodia. Già, perché i Natas hanno in sé una sporca melodicità, in cui l’elemento più diretto cerca di essere controbilanciato attraverso la ricerca di orecchiabilità, creando un ossimoro musicale e questo concetto è chiaro sin dal primo passaggio, Fossegrim, una sorta di evoluzione del concetto di intro in cui quella che all’apparenza sembra, diviene presto una rudimentale canzone a cui viene in soccorso il dissonante cantato clean. Book Of Destruction è un ottimo brano che li avvicina ai Taake, con  linee di chitarra sporche e convincenti che ben si amalgamano alla ritmica e un’azzeccatissima traccia vocale. Segue Hear The Whisper, passaggio cupo e ruvido, in cui la voce e la musica diventano Inferno puro. E proprio quando sembra che il disco abbia preso ritmo, viene spezzato da tre brani in sequenza che fanno parte di un inappropriato collage:  Svart Messe, Dying Sun e Mitt Skript sono passaggi lenti, oscuri, strazianti ma che sembrano tradire quanto di buono fatto vedere in precedenza. Vondbroten For Evig Tid e Death Beyond Death riescono, in un certo senso, a salvare la situazione: se del primo apprezziamo il drumming, il secondo è il brano che dal punto di vista compositivo è più complesso, con cambi di tempo e velocità interessanti, e che mostra le potenzialità dalla band.

Dopo un attento ascolto, sembra che in Mara regni sovrano il Caos, e non nel senso in cui ogni blackster si aspetterebbe, riflettendo, i problemi che hanno caratterizzato l’uscita del disco, suonato, in parte, anche da ex membri: se da un lato, più evidente, abbiamo brani scritti sia in norvegese che in inglese, dall’altro abbiamo una consolidata incertezza artistica che penalizza quanto di buono fatto vedere in brani come Death Beyond Death e Book Of Destruction.

Le potenzialità per fare bene ci sono, ma a volte, un silenzio prolungato è meglio di una parola fuori posto.

 

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