Heavy

Revoltons: “Celestial Violence” studio report

Di Marco Donè - 1 Marzo 2023 - 10:00
Revoltons: “Celestial Violence” studio report

Sono passati tre anni da “Underwater Bells Pt. 2: October 9th 1963 Act. 1”, il ritorno in scena dei friulani Revoltons. L’album venne pubblicato a febbraio 2020, un lavoro che avrebbe dovuto rilanciare la compagine pordenonese verso i piani alti della scena metallica nazionale e farle ricevere quell’attenzione, quel clamore che il gruppo ha sempre meritato ma che, invece, il fato ha deciso di elargire con il contagocce. Un destino avverso quello riservato ai Revoltons, e anche “Underwater Bells Pt. 2: October 9th 1963 Act. 1” non ha fatto eccezione al volere del fato. L’album, nonostante sia un disco di valore (qui la nostra recensione), è stato vittima della pandemia e del lockdown, avvenuto un solo mese dopo la sua pubblicazione. Un lockdown che ha impedito al quintetto di Pordenone di programmare un tour di supporto al disco e, per certi aspetti, bruciarlo sul nascere.
I Revoltons sono però duri a morire e il loro credo, la loro passione per l’heavy metal è imperitura. La formazione capitanata dal chitarrista Alex Corona, infatti, si ripresenta più agguerrita che mai in questo 2023, con una line-up rinnovata e un disco tutto nuovo, intitolato “Celestial Violence”, pronto a essere pubblicato. Noi di Truemetal.it siamo stati invitati in studio, ad ascoltare l’album in anteprima e a scambiare quattro chiacchiere con la band. Eccovi il resoconto della nostra visita agli Artesonika Studio, di Ivan Moni Bidin e Christopher Burelli.

Studio report a cura di Marco Donè

Entrati negli Artesonika Studio, siamo stati accolti da un loquace Alex Corona, con cui abbiamo subito scambiato quattro chiacchiere, per entrare nel dettaglio del nuovo “Celestial Violence”:

Ciao, Alex! Vi aspettavamo con il successore di “Underwater Bells Pt. 2: October 9th 1963 Act. 1” e invece tornate in scena con “Celestial Violence”, che si discosta dal concept sul disastro del Vajont, che avrebbe dovuto coprire due dischi. Come mai questa scelta?
Ciao, Marco! Beh, la scelta è stata dettata da due fattori: “Underwater Bells Pt. 2: October 9th 1963 Act. 1” è andato bruciato con il lockdown, essendo uscito a febbraio 2020. Non abbiamo potuto portarlo in giro, a livello live, come avremmo voluto e dovuto. Dal punto di vista mediatico, inoltre, non ha avuto la giusta attenzione, a causa del periodo. Abbiamo perciò preferito aspettare a realizzare la seconda parte, visto che la prima era rimasta in ombra. Uscirà sicuramente in futuro, quando avremo ricostruito un po’ la band. E qui entra in gioco il secondo fattore: abbiamo un cantante e un chitarrista nuovo e perciò ci sembrava prematuro farli lavorare a un concept che non era ancora entrato nelle loro corde, non avendoci messo mano. Quando uscirà la seconda parte, in futuro, avremo la possibilità di ridare la giusta dignità alla prima!

Anche “Celestial Violence” si tratta di un concept? Quali sono le tematiche affrontate nel disco?
Per “Celestial Violence” abbiamo pensato a un concept un po’ diverso. C’è una quadrilogia con un filo conduttore all’interno del lavoro. “Celestial Violence” si divide infatti in quattro tracce, che parlano del modo in cui un ricercatore spirituale ha affrontato il lockdown, sapendo che noi tutti, in quanto esseri umani, siamo causa di quello che sta succedendo nel mondo. Lui non crede in un Dio creatore ma sa che noi tutti siamo Dio, siamo una cosa sola, e perciò partecipi di tutto ciò che è successo e sta succedendo. Per lui non esiste nessun complotto. Siamo tutti attori che cercano di dare la colpa a questo “sistema”, senza sapere cosa realmente sia. Al di là della quadrilogia, tutte le canzoni sono legate a eventi risalenti più o meno al periodo del covid, ma non vi è un vero filo conduttore tra loro, a livello di storia.

Fate inoltre ritorno con una formazione rinnovata, come da tradizione Revoltons, verrebbe da aggiungere. Ti va di presentarci i nuovi membri?
Dici bene, è una vera tradizione all’interno di questa band! [ride, n.d.a.] Non mi sono mai sentito sereno come questa volta, però. Provo a spiegarmi meglio: con i vecchi componenti avevo sempre avuto la percezione che qualcosa non andasse. Ora mi sento in pace, e chi vivrà vedrà! [ride, n.d.a.] I nuovi componenti sono Antonio Boscari alla voce e Carlo Venuti alla chitarra. Antonio è un cantante fenomenale e ha dato un interpretazione sublime ai pezzi. Per questioni temporali ha coscritto solo una canzone ma da ciò che ne è uscito ti assicuro che nel prossimo lavoro scriverà un sacco di cose. Carlo è il chitarrista che non ho mai avuto, a livello di complicità. Con mio fratello le cose andavano bene, adoro il suo chitarrismo e le sue composizioni. Nel disco ha registrato tre assoli da paura, come ospite. Intendiamo però la musica in maniera molto diverso e non sempre c’era il feeling che ho ora con Carlo. Credimi: non vedo l’ora di iniziare a scrivere il prossimo disco assieme a lui!

Oltre ad Alex Corona, chitarrista e mastermind dei Revoltons, in nostra compagnia c’erano Simone Sut ed Elvis Ortolan, rispettivamente bassista e batterista della band. Non poteva inoltre mancare Ivan Moni Bidin, proprietario degli studio. Ed è con questa squadra che abbiamo iniziato l’ascolto di “Celestial Violence”.

Dopo l’intro ‘2020 Alternative’ è bastato ascoltare il riff iniziale di ‘Escape or Drown’ per capire di trovarci al cospetto di un disco griffato Revoltons. La traccia si rivela di gran impatto, trascinante, sorretta da un bridge e un chorus che definire coinvolgenti e strappaorecchi è dire poco. “Celestial Violence” nei suoi oltre cinquanta minuti di durata scorre che è un piacere, evidenziando un’attenzione maniacale per gli arrangiamenti e le melodie. Proprio questa cura per il dettaglio permette ai Revoltons di trasformare i momenti più complessi e articolati del proprio songwriting, elementi che hanno sempre caratterizzato la formazione pordenonese, in pasaggi facilmente assimilabili, che sapranno farsi scoprire un poco alla volta, aumentando la longevità dell’album. Un altro aspetto a balzare subito all’orecchio è il fatto che i Revoltons abbiano deciso di sollevare il piede dall’acceleratore, cercando di dare più spazio al lato emotivo del proprio sound, come accade nell’oscura ed elegante ‘Darkfall’, in cui l’ombra dei Paradise Lost aleggia in tutta la durata del pezzo. Semplicemente splendida ‘Nany John Skennon’, una canzone importantissima per Alex Corona, visto che parla di un tragico evento che lo ha colpito nel 2021. Una traccia che riesce a toccare nel profondo l’ascoltatore, carica di pathos, ben interpretata da ogni singolo componente. Una traccia che si apre con delle sonorità delicate, per diventare più diretta e melodica nella parte strumentale, per chiudersi nuovamente con la delicatezza inziale, inserendo anche un passaggio di fisarmonica. Altra canzone che lascia il segno è ‘Low Ranking Businessman’, un autentico caleidoscopio in musica fatto di ritmiche serrate, aperture melodiche, un ritornello che si stampa immediatamente in testa e una parte solistica che sa centrare il bersaglio. Abbiamo sin qui vissuto sei pezzi e lo abbiamo fatto con il fiato sospeso, completamente immersi nell’ascolto, frutto di un album che sa tenere viva l’attenzione, in ogni suo passaggio. Dopo l’introspettivo interludio ‘The Game’ e la cadenzata ‘Reality Is a Crime’, caratterizzata da un ritornello che entra subito in testa, le atmosfere ritornano graffianti con ‘Spiritual Monster’, in cui le chitarre del duo Corona-Venuti fanno la voce grossa e il basso di Sut crea un autentico muro di suono. Altro pezzo da novanta è poi ‘Cosmic Disabled’, in cui è impossibile tenere ferma la testa e la voglia di alzare il volume è davvero tanta. La traccia è puro heavy metal, quello figlio del 2023: pesante, potente, melodica, ricca di finezze strumentali, che ne aumentano la bellezza. E quel “wohoh wohohohoh” piazzato in chiusura, in sede live è destinato a mettere a ferro e fuoco qualsiasi palco. “Celestial Violence” si chiude con l’elegante e introspettiva ‘Lockdown Diaries’ e l’outro ‘Violentia Patris Caelestis’.

Finito l’ascolto, la voglia di ricominciare dall’inizio si fa sentire, eccome, sintomo di un album che ha davvero tanto da dire. La prova dei singoli è stellare. Spicca in particolare la prestazione al microfono di Antonio Boscari, che nei Revoltons sembra aver trovato il territorio adatto alle sue corde vocali. Avevamo imparato a conoscere il cantante veneto grazie al suo operato con altre band del Nord-Est, ma il lavoro svolto in “Celestial Violence” annienta quanto fin qui fatto da Boscari: espressivo, caldo, potente. Davvero una gran prova, che riesce a valorizzare le melodie e le atmosfere che caratterizzano il disco. Possiamo definire Boscari come il degno erede di Andro, lo storico cantante della band friulana.

Da segnalare, poi, l’ottimo lavoro svolto dal duo Moni Bidin-Burelli, in cabina di regia. Un prodotto potente e cristallino, pronto a valorizzare ogni singolo strumento, garantendo botta e groove, due caratteristiche che i Revoltons sanno ben riprodurre in sede live. Non rimane che attendere maggio, mese in cui l’album verrà pubblicato, via Sleazy Rider, per avere finalmente tra le mani il nuovo “Celestial Violence”. Rimanete sintonizzati per saperne di più.

Marco Donè