Thrash

TrueMetalStories: Celtic Frost, il gelo dall’Inferno

Di Andrea Bacigalupo - 14 Giugno 2017 - 9:00
TrueMetalStories: Celtic Frost, il gelo dall’Inferno

TrueMetalStories: la rubrica in cui presentiamo band giovani e pronte a sfondare, o band di lungo corso che ancora non hanno ricevuto il successo che meritano.

Premesse

Mettere assieme avvenimenti riguardanti l’Heavy Metal, accaduti quasi quarant’anni fa non è semplice, viste le poche informazioni che giravano all’epoca. Le prime riviste del settore sono nate in Inghilterra dopo il 1981 (Kerrang, Metal Hammer) mentre in Italia, prima della nascita di HM (1985), Metal Shock (1986) e seguenti, l’informazione era affidata essenzialmente a periodici di musica generica, quali Ciao 2001, che si limitavano a parlare delle band principali. Si apprendeva un po’ di più leggendo la rubrica ‘Hard & Heavy’ di Rockerilla ed Inferno Rock o ascoltando il programma radiofonico ‘Linea Rock’, trasmesso da Radio Peter Flowers. Un po’ poco se si pensa al turbine evolutivo che sconquassava il Metal all’epoca. Il diffondersi delle notizie era dunque affidato, più che altro, al “Tam Tam” tra i fans, che includeva lo scambio delle audiocassette, oltre che alle importantissime fanzines, le storiche pubblicazioni amatoriali, gestite da veri appassionati che avevano la possibilità di disporre di un ciclostile o di una fotocopiatrice.

Per quanto il lavoro svolto da questi pionieri sia stato fondamentale, era, per via della sua natura dilettantistica, soggetto a difficoltà di redazione e di distribuzione: in alcuni casi le notizie esprimevano un giudizio troppo di parte oppure erano frammentate ed incomplete.

Oggi tale problema lo si riscontra anche su internet: digitando una parola si ricevono, in pochi attimi, moltissime informazioni (è meglio oggi, che si fa tutto da soli, o prima, quando le difficoltà generavano aggregazione? Lasciamo stare, i tempi cambiano); quante di queste però sono inesatte, confuse ed incomplete, soprattutto se messe in giro da chi è contro e si vanno a cozzare con la memoria e con le emozioni di chi quell’epoca l’ha vissuta.

Per non dire, poi, dello zampino messo dalle stesse band e dalle varie label, che, a seconda delle necessità del mercato, dichiarano prima una cosa e poi, se serve, l’esatto contrario.

Concludendo, i dati “certi” sono le pubblicazioni discografiche ed è su queste che si basa l’articolo che segue. Buona lettura.

 

La musica del diavolo

Il legame tra la musica e l’esoterismo è stretto da sempre.

Negli anni ’30, la leggenda del blues Robert Johnson asseriva che il suo talento era frutto di un patto con il diavolo.

Nel 1967 i Beatles pubblicavano l’album ‘Sgt. Pepper’s Lonely Heart Club Band’, la cui copertina mostrava, tra svariati volti, quello dell’esoterista Aleister Crowley. Lo stesso anno i ‘concorrenti’ Rolling Stones furono accusati di presunto satanismo per aver inciso l’album ‘In Their Satanic Majestic Request’, al quale è seguito, un anno dopo, il brano ‘Sympathy for the Devil’.

Nel 1970 i Black Sabbath trasferirono il loro interesse per la magia nera e l’horror nel loro sound, rendendolo più oscuro e pesante rispetto alle produzioni Hard Rock del tempo.  

Per quel che riguarda l’Hard Rock e l’Heavy Metal gli esempi sono tanti. I  Led Zeppelin trascrissero frasi e simboli occulti in alcune copertine dei loro dischi e furono accusati di aver nascosto tra i solchi dei messaggi subliminali dedicati a satana, i Queen fecero uso di simboli e citazioni massoniche, Alice Cooper, nel 1971, cominciò con i suoi spettacoli granguignoleschi mentre i nostrani Death SS, nati nel 1979, dettero corpo ai loro orrorifici live show.

Alla fine degli anni ’70, con la NWOBHM le label cominciano a puntare sulla quantità e le band si moltiplicarono. Alcune di esse, ad esempio Witchfinder General, Angel Witch e, per certi versi, anche gli Iron Maiden, presero ispirazione dalle tematiche esoteriche.

Nello stesso periodo tre demoni, materializzatisi probabilmente da qualche pentacolo dimenticato negli anfratti di Newcastle, si coalizzarono per sconvolgere il mondo: in barba al virtuosismo, che ha sempre contraddistinto i musicisti Heavy Metal, anche i più roboanti, il loro sound era grezzo, primordiale, quasi cacofonico, in altre parole estremo, un misto di Motorhead ed Hardocore ma più essenziale e sfrontato, quasi un insulto per chi ha passato ore su spartiti o a seguire lezioni di musica e di canto.

I loro testi parlano di satana e del mondo occulto in modo esplicito e blasfemo; niente è velato o sottointeso e la sfida al perbenismo è totale. ‘L’Esorcista’, a confronto, sembra un film per bambini.

La formula dei Venom fu vincente: ‘Welcome to Hell’, album d’esordio del 1981, aprì le porte dell’inferno sguinzagliando i suoi demoni a suonare Heavy Metal in giro per il globo, anzi, non Heavy ma Black Metal, come loro stessi lo definirono. I fans si moltiplicano a profusione e lo spirito maligno di Cronos e soci s’impossessò di molti musicisti, influenzando massicciamente la generazione successiva alla NWOBHM.

Dalle fondamenta costruite dai Venom emersero gruppi che si riveleranno dei veri e propri pilastri: in America, nel 1983 i Metallica pubblicarono ‘Kill ‘Em All’ e, qualche mese dopo, gli SlayerShow No Mercy’; nel 1985 gli Exodus dettero alle stampe ‘Bonded by Blood’ ed i PossessedSeven Churces’. 

In Europa presero corpo i Danesi Mercyful Fate che pubblicarono, nel 1983, l’album ‘Melissa’, dal nome del teschio che il cantante King Diamond si portava in giro, che racconta la storia di una strega, mentre in Svezia Quorthon dava il via all’innovativo progetto Bathory, dal nome dell’infernale Contessa Erzsébet Bathory, pubblicando, nel 1984, il Full-Length omonimo.

E’ in questo calderone di lava sulfurea che nuota lo Svizzero Thomas Gabriel Fischer, classe 1963. 

Hellhammer logo 02

Il principio

La passione di Tom per band quali Motorhead, Raven e Venom lo portò a fondare, nel 1982, gli Hammerhead, diventati poi Hellhammer, coinvolgendo i musicisti Urs Sprenger e  Jörg Neubart. Assunti i nomi d’arte Satanic Slaughter, Savage Damage e Bloodhunter il trio pubblicò, nel giugno del 1983, il primo Demo ‘Death Fiend’, un lavoro artigianale, inciso su cassetta e prodotto sommariamente, ma con il quale cominciò a circolare la voce delle presenza di una nuova band.

Death Fiend

Dopo circa un mese uscì il secondo Demo, dal titolo ‘Triumph of Death’ ed a fine anno il terzo, ‘Satanic Rites’, che vide l’entrata in scena di Martin Eric Sticker, nome da demone Sleyed Necros, in sostituzione di Urs Sprenger. In questo periodo gli artisti cambiarono i loro nomi d’arte: Fischer diventò Tom G. Warrior, Sticker prese il nome di Martin E. Ain e Neubart quello di Denial Fiend (nome scelto in suo onore da una Death/Thrash band della Florida).

Nel 1984 gli Hellhammer pubblicarono l’EP ‘Apocalyptic Raids’, composto da quattro brani di cui due estratti da ‘Satanic Rites’ (‘The Third of the Storms (Evoked Damnation)’ e ‘Triumph of Death’) e due inediti (‘Massacra’ e ‘Horus/Aggressor’), e parteciparono alla storica raccolta ‘Death Metal’ insieme ai Running Wild, Dark Avenger ed Helloween.

Apocalyptic

Il sound degli Hellhammer è un Thrash primordiale, grezzo, essenzialmente veloce, ma dalle trame fosche e maligne, influenzato dall’irruenza dei Venom, dalla pesantezza dei Black Sabbath e dai suoni marcati della NWOBHM. Musica e testi danno un senso di inquietudine e, soprattutto, di angoscia: sembra che l’oscurità stia per uscire dai solchi per soffocare l’incauto ascoltatore. Questo è particolarmente marcato in ‘Triumph of Death’, una miscela di Heavy Metal e di Dark Sound portato all’estrema lentezza, o meglio, è un primitivo Doom Metal, stile elevato poi da gruppi quali Candlemass e Cathedral.        

Per questa particolarità i media criticarono pesantemente gli Hellhammer, anche con toni di vero disprezzo. Questo motivo, anche se in alcuni casi produsse l’effetto di aumentarne l’interesse, unito ad altre circostanze e, soprattutto, alla voglia di far meglio, condussero Tom G. Warrior alla decisione di abbandonare il progetto.

Fu solo dal 1990 che al gruppo fu riconosciuta l’importanza storica che meritava e molti loro lavori, da allora, sono stati ristampati.

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L’apoteosi, la caduta, il risveglio, la fine

Tom G. Warrior e soci non volevano smettere di fare musica; al contrario, volevano continuare a suonare ad evolversi ed esprimere le loro idee. Per questo, dalle ceneri ancora bollenti degli Hellhammer sorsero i Celtic Frost.

Il nuovo monicker non fu una scappatoia commerciale per proseguire indenni la loro marcia. I Celtic Frost non furono gli Hellhammer con un nome diverso. Anche se avevano in comune l’uso dei toni gravi e la voce mefitica, il secondo progetto riguardava un nuovo modo d’intendere la musica estrema: sofisticato, pensato, frutto di una ricerca certosina, quasi maniacale.

In un periodo dove il Thrash Bay Area tirava alla grande e quello tedesco richiamava attenzione a gran voce, Tom G. Warrior ed Eric A. Ain incisero ‘Morbid Tales’, pubblicato nel 1984 via Noise Records e ristampato in tante di quelle versioni e con tante di quelle aggiunte che si ha il dubbio che sia stato un EP od un LP. L’album associa atmosfere tenebrose, pesanti e opprimenti con ritmi caustici e thrasher. Momenti particolarmente intensi e sperimentali, come la voce narrativa femminile in ‘Return to the Eve’, sono affiancati ad altri irrazionali, come ‘Danse Macabre’, un raggruppamento di suoni cacofonici, voci sibilline ed eccentricità dinamiche. I testi si distaccano dall’intendere l’occulto come poco più di una bestemmia e parlano dell’oscura decadenza di civiltà ed imperi, prendendo ispirazione da scrittori quali H.P. Lovecraft e Charles Baudelaire.

Morbid Tales’, estremo senza esserlo, fu l’inizio del progetto Celtic Frost che, per svilupparlo, reclutarono il batterista americano Reid Cruickshank, in arte Reed St. Mark.

CELTIC

Con il nuovo acquisto la band fece un buon balzo in avanti pubblicando, il 15 agosto 1985, l’EP ‘Emperor’s Return’, caratterizzato da maggiori accelerazioni e da tessiture dei brani più articolate, con una maggiore ricerca di un sound personale, meno gravato dall’influenza di Venom e Black Sabbath.

Il vero salto di qualità avvenne, però, con il primo Full-Length: il surreale ‘To Mega Therion’, pubblicato il 27 ottobre 1985 e preceduto, di poco, dalla fuoriuscita dal gruppo di Ain, sostituito da Dominic Steiner dei Junk Food.

Tutti i contenuti dell’opera infondono sensazioni sinistre ed oppressive: dal titolo malvagio (“La grande bestia” in greco), alla copertina infernale, affidata ad Hans Rudolf “Ruedi” Giger, pittore surrealista svizzero (che, tra l’altro, vinse l’Oscar nel 1990 per gli effetti speciali del film ‘Alien’) che disegnò, con toni decisi ed infernali, la bestia nell’atto di utilizzare un Crocefisso come fionda per lanciare quella che sembra una moneta, ma è il songwriting ad essere malignamente magico, composto con la consapevolezza della concretezza delle sensazioni che provoca la propria arte: accelerazioni nervose, rallentamenti oscuri, un Heavy Metal maledetto interposto ad atmosfere sinfoniche che avvolgono come una demoniaca presenza, sinistre voci femminili che provocano sofferenza, ascoltare ‘To Mega Therion’, anche a distanza di anni, è sempre come addentrarsi in un’intricata foresta senza sapere come uscirne.

Celtic Frost To Mega Therion

I Celtic Frost diventarono un riferimento per le future scene estreme, Thrash, Black, Death o Doom che siano, ma la loro evoluzione artistica non era ancora conclusa. Volevano togliere ogni paletto, andare oltre gli schemi, infrangere ogni regola conformista di una musica anticonformista. Volevano superare loro stessi.

Concluso il nuovo tour, svoltosi in Europa ed in Nord America, ed inciso l’EP ‘Tragic Serenades’ il trio Svizzero superò il traguardo imposto pubblicando, il 2 novembre 1987, ‘Into the Pandemonium’, un’opera univoca, frutto di tutto il loro bagaglio culturale: talento, genio, esperienza e, soprattutto, personalità.

La copertina dell’album è emblematica e magnifica allo stesso tempo, non punta a colpire con raffigurazioni di demoni, scene di macabra violenza o curiosi simboli magici, ma è raffinata ed ambiziosa, essendo la riproduzione della porzione in alto dello sportello destro del trittico ‘Il Giardino delle Delizie’ di Hieronymus Boch, quello che rappresenta l’inferno ed i suoi tormenti, detto anche ‘Inferno Musicale’ per via dei numerosi strumenti usati per punire e torturare le anime. L’ambientazione oscura, dove l’unica luce è quella che guida i dannati verso l’oltretomba, le anime in cammino, le bolge ed il visibile tormento sono l’affermazione del trionfo del male sugli esseri umani, che, a causa di questo, scontano la pena eterna. E’ il sunto del Black Metal secondo i Celtic Frost.

Il songwriting fonde il Metal sia con il Gothic Rock e la New Wave di Bauhaus, Siouxie and the Banshees e Wall of Voodoo, sia con pezzi orchestrali che sinfonici, con ampio uso di voci femminili, cori, violini, violoncelli e corni. L’eclettismo è dirompente: ‘Mexican Radio’, cover dei Wall of Voodoo, viene spogliata della sua verve schizoide per essere posseduta da un’entità maligna, ‘Mesmerized’ è un viaggio nel mondo gotico, ‘Sorrows of the Moon’ è un pezzo di recitazione profondo e magico; in ‘One in Their Pride’ prevalgono i suoni campionati, ‘Inner Sanctun’, ‘Babylon Fell’ e ‘Caress into Oblivion’ riportano alla malvagità di ‘To Mega Therion’ e la sofferente ‘I Wont Dance’ spiazza tutti con i suoi cori quasi ballabili. 

CelticFrostIntothePandemonium

Il risultato dell’impresa fu sconvolgente, andando oltre ogni concezione e superando ogni limite. Con ‘Into the Pandemonium’ il Metal dei Celtic Frost deragliò da ogni binario: non era l’Heavy dei Judas Priest e degli Iron Maiden, non lo Speed degli Helloween, neanche il Thrash della Bay Area o dei Kreator, tantomeno il Black dei Venom e non poteva definirsi come l’ultimo nato Death Metal. Per le sue caratteristiche di unicità venne definito Avant-Garde.

Il nome, nella realtà, poco importa. E’ invece fondamentale quello che i Celtic Frost divennero con ‘Into the Pandemonium’: l’ormeggio da dove salpano ancora oggi i vascelli che cavalcano le ondate della musica estrema.

A seguito dell’album il trio svizzero diventò un quartetto inserendo il chitarrista Ron Marks e partì per calcare i palchi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

Cominciarono però a nascere problemi contrattuali con la Noise Records, Ron Marks venne sostituito da Oliver Amberg, Martin E. Ain da Curt Victor Bryant e Reed St. Mark dal Stephen Priestly, che aveva già suonato in ‘Morbid Tales’.

Ed è con questa formazione rimaneggiata che Tom Gabriel Fischer, messo da parte lo pseudonimo di Warrior, registrò ‘Cold Lake’, pubblicato il 1 settembre 1988. I Celtic Frost spiazzarono ancora una volta, ma, questa volta, in senso negativo. Forse per la necessità di esplorare nuovi sentieri, forse per pressione della casa discografica o per un semplice tentativo di aumentare il proprio seguito, il sound del combo fu orientato verso un Hard Rock / Heavy Metal di stampo americano, perdendo praticamente tutta la carica maligna che aveva avvolto i precedenti lavori e risultando di poco mordente. Questo, unito ad un atteggiamento pari a quello Glam di Poison e Motley Crue, fece esplodere la rabbia dei fans. Neanche ‘Calm Before the Storm’ dei Venom, uscito un anno prima, deluse così tanto.

CelticFrost ColdLake

Colpito e affondato Fischer fece marcia indietro: tornato ad essere il truce Tom G. Warrior, riaccolto Martin E. Ain, provò a riscattarsi un anno e mezzo dopo con ‘Vanity/Nemesis’, Full-Length pubblicato il 11 aprile 1990. L’album accoppia ad un pesante Heavy Metal ed ai toni foschi e tenebrosi di un tempo spunti Thrash, rallentamenti gravi, importanti inserti acustici che amplificano le sensazioni d’angoscia ed assoli ricercati e preziosi. Quale pezzo interessante citiamo ‘This Island Earth’, cover del britannico Bryan Ferry, cantante e fondatore dei Roxy Music. Un buon lavoro che però non bastò a riaccendere l’attenzione dei fans: dopo alcuni concerti, la pubblicazione di una Compilation di brani rivisti (‘Parched With Thirst Am I And Dying’) e di un demo i Celtic Frost si sciolsero. 

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Per mantenere viva la loro aurea oscura vennero ristampati vecchi lavori, arricchiti da materiale inedito, venne dato il via a progetti personali (Apollyon Sun), si pubblicò l’autobiografia ‘Are You Morbid?’ seguita da una Compilation e poi il libro fotografico ‘Only Death is Real’. L’anima nera del Gelo Celtico continuava a vagare ed a imporre la sua presenza sulfurea fino al 2006 quando, dopo sedici anni, uscì il nuovo album ‘Monotheist’, pubblicato via Century Media Records.

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La formazione vedeva riuniti Thomas Gabriel Fischer con Martin E. Ain, ai quali si aggiunsero il chitarrista Erol Unala, già negli Apollyon Sun, ed il batterista Franco Sesa, anche nei NunFuckRitual con Dan Lilker.

Ventiquattro anni di esperienza ed una genialità innovativa fuori dal comune si fecero sentire: l’album è scuro come la pece e pesante come un martello che cala su un’incudine; si passa da momenti collegati direttamente con il passato truce della band (‘Progeny’ e ‘Ground’), ad altri depressi e gotici (‘A Dying God Coming into Human Flesh’, ‘Drown in Ashes’), con frammenti d’oscurità quasi totale. L’opera è stupefacente e moderna, con brani intricati, selvaggi e malvagi, frutto di un’alta maturità compositiva. ‘Monotheist’, che dura quasi un’ora e dieci minuti, si riesce ad ascoltare dall’inizio alla fine mantenendo lo stesso interesse.

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Ma l’ultimo brano, ‘Winter (Requiem, Chapter Three: finale)’ è un epitaffio: Nell’aprile 2008, dopo una buona attività live, Tom Gabriel Fischer lasciò la band e, nel settembre dello stesso anno, venne annunciato il definitivo scioglimento.

S’interrompe così la storia di una delle band più controverse ed al contempo più influenti e fondamentali del panorama Metal. Un vero fenomeno culturale, un gruppo ineguagliabile per il quale l’aggettivo appropriato è “unico”, parte essenziale della storia di tutta la musica, costituente il presente anche se appartenente al passato. Grandi Celtic Frost!!!!       

  

Discografia Principale Celtic Frost

1984 – Morbid Tales

1985 – Emperor’s Return

1985 – To Mega Therion

1986 – Tragic Serenade

1987 – Into the Pandemonium

1988 – Cold Lake

1990 – Vanity/Nemesis

1992 – Parched with Thirst Am I And Dying

2006 – Monotheist

 

Andrea Bacigalupo