Behemoth – 16/11/2004 – Report

Di Alberto Fittarelli - 24 Novembre 2004 - 19:13
Behemoth – 16/11/2004 – Report

La serata è una delle più attese di questo ricco autunno per i death
metallers: sono molte le proposte per i fans lombardi e non solo, dai Kataklysm,
ai Dillinger Escape Plan (che comunque catalizzano l’attenzione di un pubblico
del tutto variegato), ai Suffocation. Ma è coi Behemoth forse che
l’attesa è maggiore: un po’ perchè il gruppo polacco non calca la terra
italiana da diverso tempo, ed un po’ perchè un album come Demigod
non può che suscitare enormi aspettative nei loro ascoltatori. Il bill è
comunque decisamente succulento, almeno sulla carta: sono infatti inclusi gli
storici Incantation, i classici Krisiun ed i Ragnarok, unica band black metal
presente allo show.

E sono a sorpresa i deathster americani Incantation, che promuovono il
nuovo album Decimate Christendom, ad aprire le danze con una
setlist tutto sommato ridotta: una mezz’ora in cui la band si trova di fronte
poca gente, dato che l’affluenza al locale è stata molto graduale, e che pare
visibilmente contrariata per la cosa. Del resto la band ha i suoi begli anni di
storia e presenta una semplice scenografia con la cover dell’album riprodotta ai
lati della batteria; ma dopo averli visti sul palco un annetto fa non nutrivo
grandi speranze di ricredermi sull’interesse da loro suscitato… e la cosa
viene riconfermata da un pugno di canzoni probabilmente migliori su disco, ma
che dal vivo annoiano terribilmente. Un paio di file di fans inossidabili si
mostra convinta e supporta la band, mentre il resto del pubblico si ambienta nel
locale e tra le bancarelle di dischi. In fin dei conti si può salvare solo
qualche suggestivo stacco doom, mentre il trio sembra perdere decisamente colpi
sulle parti veloci, vuoi anche per un sound molto impastato. Un’incognita la
band di John McEntee e Kyle Severn, peccato doverne dare di
nuovo un giudizio negativo.

Le cose migliorano, e di molto, coi Ragnarok: i nordici sembrano un
po’ dei pesci fuor d’acqua inizialmente, ma la convinzione e la ferocia con cui
propongono il proprio repertorio fa sì che anche chi alle prime battute li
ascolta distrattamente ne venga irrimediabilmente attratto. Sicuramente gioca
molto la presenza di Hoest, cantante anche dei grandiosi Taake,
che si dimostra frontman di classe oltre che ottimo cantante, così come diverse
aperture melodiche nel riffing del gruppo: un black che è molto meno banale,
almeno su palco, di quanto potrebbe sembrare superficialmente. I 40 minuti circa
a loro concessi scorrono velocemente, e la gente è ormai quasi tutta sotto al
palco (benchè il locale appaia tutto meno che pieno) ad incitarli. Un gruppo
che non sfigurerebbe assolutamente come headliner in una serata dedicata al
black metal.

Tocca poi, stranamente, ai Krisiun anticipare l’entrata in scena dei
veri protagonisti della serata: stranamente perchè la band, presente sui palchi
italici quasi quanto Vader e Marduk, non riscuote grande successo nemmeno in
larghe fasce dei fans più intransigenti del death, complice una proposta che
non ha nulla di personale ma che soprattutto pecca terribilmente di monotonia.
Va detto che la loro prova si dimostra assolutamente professionale e che la
tecnica dei 3 musicisti brasiliani è fuori discussione, ma dopo 2/3 pezzi hanno
già detto tutto quello che possono dire: velocità, assoli fulminanti (e molto
slayeriani), qualche bestemmione in idioma nostrano, ed è finita. Il tutto
ripetuto per la durata di una setlist in cui si salvano solo uno o due pezzi,
per qualche riff trasheggiante e cadenzato o qualche incursione in territori
più sofisticati, relativamente parlando. Una noia infinita, anche se meno
peggio della volta precedente, in cui avevano aperto per i Morbid Angel.

Ma ci si riscatta a pieno coi polacchi Behemoth, una band che non
finirò mai di lodare per la ricerca sonora portata avanti, pur restando entro i
canoni del death metal di stampo americano e mantenendo standard di grandissima
potenza. L’ultimo Demigod, come già descritto in fase di
recensione, calca la mano ancora di più sull’epicità e sui rimandi alle
culture mediterranee, e la band riesce a riprodurre il tutto fedelmente anche on
stage.
Iniziamo col dire che costumi e minimale scenografia (una riproduzione metallica
del simbolo presente sulla cover dell’ultimo disco) giocano un ruolo importante
per il feeling generale: si vede che hanno lavorato anche su quell’aspetto.

Ma sono ovviamente i pezzi eseguiti, ed il modo in cui li presentano,
che lasciano a bocca aperta: la scaletta è quasi tutta incentrata sugli ultimi
4 albums, quelli del periodo death, e di tutti viene resa la versione migliore.
Inutile stare a citarli dall’inizio alla fine, bisogna però dire che le due
songs di apertura di Demigod (Sculpting the Throne ov Seth
e la title-track) sono eseguite una in fila all’altra, con tanto di
campionamenti delle parti acustiche ed introduttive, e che l’energia trasmessa
è semplicemente indescrivibile, specie sulla prima. Splendida anche
l’esecuzione dei pezzi di Zos Kia Cultus (come Blackest ov the
Black
, una delle più riuscite della serata, o Heru Ra Ha: Let There Be Might,
con la presenza persino dell’intermezzo registrato Hekau 718) e di Thelema.6,
su tutte l’inno Christian to the Lions, la cui frase di apertura viene
cantata in coro dal finalmente folto pubblico.

Sono comunque i pezzi di Satanica, a quanto sembra, a
riscuotere il maggiore successo; Decade Of Therion è praticamente
cantata a piena voce dalla folla, mentre sull’altro anthem Chant For Eschaton 2000,
posta in chiusura di concerto, si ha il colpo di teatro: Nergal scompare
nel backstage mentre chitarrista e bassista (ottima la loro presenza sul palco,
oltre all’indubbia precisione tecnica) lasciano i propri strumenti in un
feedback stridente e prolungato. Qualche minuto di attesa ed il cantante torna
sul palco indossando una sorta di tunica in PVC e con il volto coperto da una
maschera metallica in stile “gladiatore”, anch’essa presente sulla
cover di Demigod. Con questa tenuta il singer esegue quella che
forse è una delle canzoni più immediate (ed importanti) mai composte dai Behemoth,
per poi ricevere le acclamazioni dei presenti.

Uno show tutto sommato corto, un’oretta circa, ma intensissimo; funestato
solo dagli errori del tecnico delle luci (che lascia la band totalmente al buio
per un paio di canzoni, sino a quando Nergal non lo insulta direttamente
dal palco). Per il resto ottimi suoni ed una band di classe al top della forma:
anche solo vedere il batterista Inferno far roteare la chioma sui passaggi
più veloci sul rullante meritava l’acquisto del biglietto… uno degli shows
più riusciti della stagione, indubbiamente.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli