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Dezperadoz (Alex Kraft)

Di Fabio Vellata - 12 Aprile 2008 - 0:41
Dezperadoz (Alex Kraft)

Quattro chiacchiere con Alex Kraft deus ex machina dell’originale progetto Dezperadoz, gruppo che mescola chitarre heavvy di scuola teutonica con le atmosfere polverose ed antiche delle pellicole del grande Sergio Leone.
Non un “duello all’alba”, ma una gradevole conversazione con un musicista davvero disponibile e di assoluta simpatia.




Ciao Alex, questa è la prima volta che i Dezperadoz sono ospitati sulla nostra webzine.
Direi che non è per nulla una brutta idea, quella di lasciarti tutto lo spazio che desideri per presentare il tuo progetto e la sua biografia ai nostri lettori.

Ok!
Ho fondato il gruppo nel 1998 insieme a Tom Angelripper dei Sodom, un mio grande e fedele amico. Insieme avevamo lavorato già negli Onkel Tom, gruppo nel quale ricoprivo il ruolo di chitarrista. In quel periodo avevo composto qualche brano nello stile che sarebbe stato poi quello dei Dezperadoz: atmosfere alla Ennio Morricone miste a thrash ad heavy metal, una cosa molto originale che è immediatamente piaciuta anche a mr. Angelripper.
Abbiamo deciso così di dare subito il via alla produzione di un debut album (“The Dawn Of Dying” NdA), uscito nel 1999, dopo la pubblicazione del quale, ho poi purtroppo avuto dei gravissimi problemi di natura familiare, tali da dover sospendere ogni tipo d’attività al di fuori di qualche comparsata con gli Onkel Tom.
Fortunatamente quei brutti mesi sono passati, anche grazie al contributo di veri amici come lo stesso Tom, compagni che mi hanno aiutato a ritornare in pista e a dare continuità al progetto Dezperadoz.
Quando ho terminato le fasi di pre-produzione del secondo disco, Tom ha però preferito assumere una posizione più defilata: mi disse che il project era una creatura che doveva riguardare solo me e che la parte del protagonista spettava esclusivamente al sottoscritto.
A quel punto, ho iniziato a concentrarmi sempre più sui Dezperadoz, realizzando un buon album con “The Legend And The Truth” (2005) e proseguendo il cammino con il nuovo “An Eye For An Eye”
.

Parlami di “An Eye For An Eye”. Il tuo precedente disco era incentrato sulla figura di Wyatt Earp: c’è qualche personaggio cardine anche questa volta?

L’ispirazione per “An Eye For An Eye” mi è venuta durante un viaggio a Phoenix in Arizona. Mi trovavo in un museo, proprio per ammirare alcuni cimeli appartenuti a Wyatt Earp.
In questo museo notai però una cosa più delle altre. Si trattava di una lettera – scritta nel braccio della morte, alla propria madre scomparsa – di un giovane pistolero, Hank, di solo venti anni. Il ragazzo era condannato in seguito all’assassinio del migliore amico, avvenuto per vendetta.
In questo disco il protagonista è lui, e nelle varie canzoni, narra la storia della sua vita come se le stesse raccontando direttamente dalla cella, poco prima dell’esecuzione.



Mi hai nominato tutti e tre gli albums che compongono attualmente la discografia dei Dezperadoz.
Quali sono, a tuo dire, le maggiori differenze tra di loro?

Sicuramente c’è un’evoluzione nel corso dei tre dischi. Il mio songwriting è migliorato, così come, a detta di molti, anche la mia abilità dietro al microfono: “An Eye For An Eye” è il più “Dezperadoz” dei tre, quello che meglio identifica lo spirito e la natura del progetto.
Se ci fai caso, è più “dark” ed oscuro, nelle tematiche e nello stile, dei precedenti, proprio perché la band sta, via via, assumendo una personalità sempre più ben definita.
In questo nuovo disco inoltre, ritengo importante sottolineare, come lo spirito sia mutato anche in termini di comunicatività. Il “wild west” è sempre una componente fondamentale, ma è divenuto anche uno strumento importante per comunicare un messaggio. La vendetta è una debolezza imperdonabile: non riesco a tollerare chi, in questo mondo, continua ad uccidere per forzare e condizionare le idee degli altri, chi ammazza per vendetta, in nome di una presunta giustizia, di una ideologia, della politica, o di una “guerra santa”. Uccidere non ha niente di sacro in nessuna religione!

Condivisibile e sacrosanto! Ma per restare in tema, da dove nasce questo tuo interesse per il vecchio e selvaggio west?

Eh eh eh, è una storia strana e molto singolare che risale a molti anni fa. Ero in viaggio negli Stati Uniti, precisamente tra Los Angeles e Las Vegas. Durante il viaggio, come puoi immaginare, ho avuto necessità di un “bagno”: non c’era nulla in zona e quindi mi sono dovuto accontentare di un vecchio albero. Dopo aver “fatto”, il mio sguardo è caduto sulle mie scarpe.
Erano piene di polvere e sabbia. Ho pensato che quella polvere, poteva essere in quei luoghi da tantissimi anni ed ho ricollegato l’idea al concetto di “polvere del tempo”…qualcosa che viaggiava nel vento ed aveva un fascino antico, che aveva magari visto storie proprio legate al vecchio e selvaggio west…e da questo pensiero è partito tutto…
Strano vero?

Beh, strano è dire poco. Alquanto singolare come scintilla per la nascita di una passione!
Domanda a bruciapelo a questo punto. Dezperadoz: che significato profondo assume nella tua vita, relativamente a tutto ciò che mi hai detto sinora?

Woa…domandone…!
Beh per me Dezperadoz è, anzitutto, l’esternazione di me stesso e del mio bisogno di far musica, senza assolutamente pensare ai dati di vendita ed alle eventuali esigenze commerciali.
Ti confesso che il metal classico, quello con le voci acute per intenderci, non è affatto una cosa che mi piace: non vorrei mai fare qualcosa di “tipico” o tradizionale.
Il mio progetto quindi, è essenzialmente un modo per affermare la mia personalità, cercando di costruire uno stile diverso ed assolutamente fuori dagli schemi. Lo so, ogni nota del pentagramma è già stata scritta ed usata in tutti i modi, ma quello che cerco di fare ed il significato che do alla mia musica, è qualcosa di “differente”, nuovo ed originale, qualcosa che possa essere ricco di personalità e di una propria ragione di esistere.
Il mio desiderio è di creare qualcosa di “mio”, senza copiare nulla e nessuno.

Come è nata invece l’idea di coverizzare un brano come Riders On The Storm?

Anzitutto c’è da dire che “Riders On The Storm” è un brano dei Doors che ho sempre amato tantissimo, ma soprattutto è inevitabile notare come l’atmosfera che evoca sia davvero perfetta per il mio album.
Voglio dire, l’ambientazione e le immagini che richiama alla mente, sono molto affini al tema del disco, ma desidero anche sottolineare come ho cercato di non fare una semplice cover.
Il mio tentativo è stato quello di risuonare il pezzo nel mio stile, dandogli una connotazione ancora più vicina ai Dezperadoz.

Parlando invece delle collaborazioni importanti di cui è disseminata la tua carriera, c’è qualche artista con cui avresti piacere di lavorare in futuro?

Mhhh, vedi, le collaborazioni per me sono sempre qualcosa di molto spontaneo ed immediato.
Ti faccio un esempio: nell’album precedente avevo qualche ospite famoso come Tobias Sammett e Doro Pesch.
Il fatto che avessero partecipato tuttavia, non era dovuto ad una precisa volontà da parte mia o dell’etichetta: loro avevano sentito qualcosa in pre-produzione del disco e ne erano rimasti colpiti. Mi dissero che gli sarebbe piaciuto prendervi parte ed io non ho esitato ad inserirli come protagonisti in alcune canzoni, giacché la storia si svolgeva con un certo numero di personaggi diversi.
Quella delle guest stars, è una cosa che non prendo spesso in considerazione, a meno che non si verifichino situazioni come quella che ti ho appena descritto. Non desidero promuovere i miei dischi sulla base di “ospitate” illustri, ma preferisco offrire un contenuto vero e proprio, al di là di tutto!



Che passi in avanti ti sei proposto di compiere con “An Eye For An Eye”?

Non ho un’idea precisa, ti confesso. Prima di tutto voglio vedere l’album nei negozi che è la cosa che più mi da soddisfazione. E poi spero che il pubblico abbia voglia di ascoltare le mie canzoni ed approfondire la conoscenza del progetto Dezperadoz. Questo, prima di ogni altra cosa, in realtà.
Ho in progetto poi, anche un po’ di cose interessanti a livello di promozione e concerti.
Nei prossimi mesi, infatti, abbiamo in programma, qui in Germania, un “Jailhouse” tour…

Come scusa?

Si, hai capito bene! Un tour fatto di concerti tenuti esclusivamente in carceri e prigioni di stato…

Lasciamelo dire, davvero singolare come scelta!

Alla mia maniera!!!
E poi, proseguiremo con un bel tour mondiale ed una serie di festivals che, molto probabilmente, ci porteranno in giro per l’Europa, arrivando sino in Russia e anche dalle vostre parti in Italia!
A fine anno quindi, sosterremo un’ulteriore serie di date, questa volta però come gruppo di supporto di qualche band più famosa.

Siamo in conclusione Alex! Ti lascio campo libero, non prima però di avermi dato una definizione “promozionale” del tuo progetto, usando tre semplicissime e dirette parole…bada bene, solo tre!

OK! “Spaghetti Western Metal” direi che può andare benissimo!

Perfetto, aggiungi tutto quello che vuoi, ora!

Null’altro che un sentito e doveroso ringraziamento a tutti coloro che vorranno ascoltare la mia musica, sperando che possano apprezzarla e capirla al meglio!

Ehmm, scusa Alex, ma prima di chiudere una domanda te la devo proprio fare…mi sa che sei un appassionato di cappelli da cowboy…sbaglio?

Non sbagli…

Beh, qual è il tuo tipo di cappello preferito? Stetson, Resistol…?

Wow, che domanda particolare…

Eh eh, sai, te lo chiedo dato che sono un pò di parte, sono un grande collezionista anche io ed anche io ho questa passione per il vecchio west…

Wow!!! Fantastico, beh questo è sicuramente un bel modo di chiudere un’intervista!
Diciamo che il mio preferito è uno Stetson, di quelli a tesa larga, che ho acquistato negli USA anni fa, poi beh, quello che ho su in questo momento…un bellissimo Golden Tate!

Direi che siamo davvero in conclusione ora…non mi resta che salutarti e farti il mio in bocca al lupo…

Ti ringrazio Fabio, è stato un piacere! Ci vediamo presto per qualche concerto dal vivo!

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La storia di “An Eye For An Eye” nelle parole dell’autore, Alex Kraft:

“AN EYE FOR AN EYE” tells the story of Hank, a young man on death row in 1901. While sentenced to death by hanging, he is waiting in the cell and narrates his sad and antithetic life.
He was born 1878 on a farm somewhere east of the Great Plains.
His father, a strict and devout man, used his horsewhip and his hand to educate his son and wife. After his mother died in 1894, Hank ran away to begin a new life and he joined a bunch of cowboys
The craziest was Frank, a young gunslinger who didn’t know fear or mercy. Both became close friends and made plans to earn some money with small felonies. While they were playing cards in a Saloon one august night in 1897 Frank introduced Hank to Rosie. She was one of the saloon’s hookers. After she did her job, Hank was overcome with his emotions. He wanted her to quit work and become a family together. Everything went well for Frank and Hank. Shortly they got more power and control in their area as they grew stronger in numbers. They were known as the “Wild Bunch”, a syndicate of young gunmen. Frank was also a punter of Rosie, while Hank “bite on the bit”. On December morning in 1899 when Hank walked into Rosie’s room, he found her, nearly dead, whispering Franks name before she past away. Frank had fled hours ago because he knew Hank and his rage very well. From this point on Hank had only one thought: To hunt and kill Frank. His soul was filled with hate and the desire to avenge Rosie, to cleanse of sins and to praise the Lord. Early next morning Hank saddled up his horse and went on his way. He knew that Frank’s family worked at the west coast circus, near Sacramento.
This ride through deserts, coldness and rain, forced Hank to face his own demons which day after day chewed up more of his sanity.
The country, villages, towns and cities seamed strange compared to Hanks “old wild west”. All the tall buildings, automobiles, clothes and different languages were like an unknown world to Hank.
In this abstract scenery he finaly reached the signs of the West Coast Circus. A freak show and funfair with “wild west shows”, cowboys and Indians, an elephant man, absurd attractions and the madness of new ideas in times of change. It was the year 1900.
On a bright lighted, crowded place, in front of a big colourful circus tent, Hank espied his rival and shot a bullet straight between the eyes.
Franks body hit the floor before the cartouche was cold.
While the crowd cheered and applauded, Hank lifted his hat and took a deep bow. The audience considered it as a part of the circus’ show until the police applied the cuffs on his hands and took him away.
Back in his cell in 1901 Hank, still waiting for the headsman and remember the words long written down in Exodus 21:23-21:27, but also the words in Exodus 20:13, the fifth commandment: “You shall not to kill”. He was sentenced to death in the name of god.

Discografia

“The Dawn Of Dying” (1999)
“The Legend And The Truth” (2006)
“An Eye For An Eye” (2008)

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