Intervista Bible of the Devil (Alberto Bia)
Resoconto di una chiacchierata con Alberto Bia, autore del M O N U M E N T A L E libro Bible of the Devil (Qui la recensione) The Essential Obscure Hard Rock Encyclopedia 1967 – 1980, un volume di oltre trecento pagine che lo ha impegnato, notte e giorno, per svariati anni, prima del “parto” ufficiale in modalità “do it yourself” avvenuto nel 2015.
Buona lettura,
Steven Rich
Quando è nata l’idea di concepire un libro come Bible of the Devil?
Dopo decenni di ascolto di band, soprattutto del periodo Sessanta e Settanta, nel 2008 ho deciso di impegnarmi per far conoscere questi gruppi, ignoti ai più in Italia, anche se, materialmente, ho iniziato a buttare giù le prime righe nel 2009.
Quanto ci hai messo a realizzarlo?
Sei anni… Notti e notti a scrivere.
Da dove è scaturito il titolo?
Dopo qualche anno di lavoro mi sono reso conto del volume delle informazioni raccolte, così ho avuto l’impressione che stesse prendendo corpo una sorta di Bibbia… la Bibbia del Diavolo!
Quali fonti hai prevalentemente consultato per allestirlo?
Le più disparate. A prescindere dalla curiosità che nel corso degli anni mi ha portato a scavare sempre più a fondo negli anfratti musicali di mio interesse, non posso non citare i consigli fornitemi da Roberto Mokka, gestore del negozio di dischi W Dabliu di Alessandria, da Nicola, collezionista di dischi nonché grande chitarrista/polistrumentista (Mortuary Drape, Eroded, Bhopal, Enthroning Silence, etc.) e da Massimo Gasperini (Black Widow Rec.). Ho consultato anche una miriade di forum di collezionisti e, in più casi, di fronte a notizie incerte o fasulle, ho contattato direttamente gli interessati, a cui ho sottoposto interviste o domande specifiche: ad esempio ho contattato Bob Steeler, batterista degli Hot Tuna attivo sotto false spoglie nei Ram, il quale mi ha spiegato che per questioni contrattuali non poteva usare il suo vero nome, oppure Vic Vergeat (chitarrista e cantante dei Toad), che mi ha chiarito i dubbi sugli inizi della sua carriera in una band Beat italiana a metà anni Sessanta, oltre che sulla sua militanza per un breve periodo negli Hawkwind; o ancora potrei menzionare il caso di W.Rossi, su cui gira una storia, da lui smentita, circa la sua partecipazione in una delle tante garage band americane.
Ritieni che Bible of the Devil sia un prodotto “unico” nel suo genere?
Direi sì, è un prodotto “unico”, sia in Italia che all’estero, perché non mi risulta che esistano pubblicazioni specifiche sull’Hard Rock come questa. Del resto se Ron Quintana ha lasciato un post sulla pagina del libro quale “AWESOME! You will make an English version for us, too?”, penso che tanto basti per definirlo un lavoro “unico” nel suo genere. A questo proposito mi permetto di fornire il link facebook dell’opera: https://www.facebook.com/Bible-of-the-Devil-1457642777861911/
Per l’immagine di copertina hai fornito tu le linee guida – soggetto, ambientazione, etc etc – a Francesco dei Premarone oppure è andata in modo diverso?
Quando Francesco Ugazio è venuto a conoscenza del mio lavoro, si è proposto per la realizzazione della copertina. Considerando il titolo, abbiamo deciso di sviluppare il progetto partendo dalla figura significativa di un caprone, così, dopo diversi bozzetti, è nata quella che ora è l’immagine definitiva. Per precisione si tratta di un dipinto ad olio su tela, che poi Francesco ha scannerizzato e trasportato su file vettoriale, su cui ha aggiunto il titolo e sottotitolo dell’opera, scegliendo caratteri che, a mio parere, rispecchiano appieno lo spirito del libro. Sono molto contento del risultato e ovviamente colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta l’autore per il lavoro eseguito. La quarta di copertina, invece, oltre a una breve presentazione dell’enciclopedia, presenta un disegno che ritrae l’albero della vita secondo la condizione celtica e, ai suoi piedi, il numero progressivo di ogni copia.
Secondo te, a livello di ascoltatore, quali sono le band che hai trattato all’interno del libro che avrebbero meritato di più in termini di visibilità e successo sulla base di quanto da loro realizzato in carriera?
Senza esitazione ti rispondo i Budgie! Un mix perfetto fra le sonorità oscure dei Black Sabbath e i Rush, ovviamente senza dimenticare gli opportuni riferimenti a Deep Purple e Led Zeppelin! Di questo grande gruppo consiglio di comprare almeno i primi cinque album, anche se ancora nei primi anni Ottanta hanno pubblicato ottime cose. Che dire dei loro straordinari riff? Basti pensare ai giri briosi di “In The Grip of Tyrefitter’s Hand”, o all’assalto HM di “Breadfan”, ma anche alle ballate “strappapalle” come “Napoleon Bona Parts 1 & 2”, che poi esplode in una cavalcata alla Iron Maiden (e siamo solo nel 1975…). Indubbiamente il chitarrista Tony Bourge (che personalmente ho studiato e ristudiato) può essere definito una delle asce più importanti dei Settanta, mentre lo stile vocale, definibile pre-Rush, di Burke Shelley, pure bassista della band, ha dettato i canoni del cantato Heavy Metal, tanto che tecnicamente, a mio parere, risulta migliore di quello di Ozzy. Certo sono paragoni forse inutili e alla fine i gusti son gusti… del resto è un dilemma anche per me scegliere tra la voce marcia di Ozzy e quella onirica di Shelley. In definitiva ciò che conta è che, quando ascolto i dischi di tutti i musicisti sopra citati, la mia fantasia viaggia all’infinito: ecco il motivo per cui ho scritto questo libro, per dare la possibilità ad altri di conoscere band molte volte sconosciute al pubblico italiano.
Tornando alla tua domanda, senza entrare troppo nei dettagli (comprate il libro se volete saperne di più! Ah,ah,ah!), ritengo che ci siano decine di band che avrebbero meritato maggiore fama. Potrei citare Sir Lord Baltimore, Buffalo, May Blitz, Yesterday Children, in alcune canzoni dei quali si possono rintracciare elementi che venti anni dopo avrebbero sviluppato i Soundgarden; ma l’elenco potrebbe ancora proseguire con After Tea, Tin House, Jericho Jones, Night Sun, Masters Apprentices, Rovescio Della Medaglia, Lucifer’s Friend, Captain Beyond, oppure con i Dust che, con M. Ramone aka Marc Steven Bell seduto alla batteria, nel 1971 furono autori dell’album “Hard Attack”, la cui copertina rappresentava lo scontro di tre vichinghi bardati con asce e spade in cima a un monte innevato, secondo un’iconografia che penso possa facilmente richiamare alla memoria certi sviluppi successivi; impossibile non ricordare anche Randy Holden, chitarrista dei Blue Cheer e autore di un disco fantastico (consigliato a tutti ma soprattutto ai fan della suddetta band californiana) come “Population II”, la cui potenza sonora fa sbiadire tutte le precedenti produzioni. Mi è anche capitato di scoprire musicisti così avanti che forse oggi non siamo ancora arrivati a quel punto. A questo proposito mi vengono in mente i Silberbart, trio tedesco dalle metriche strampalate e dai suoni atipici: ascoltatevi “Brain Brain”, un pezzo di 16 minuti dall’andamento assurdo, oppure la granitica “God”; è come se i Blue Cheer a un certo punto del loro percorso si fossero innamorati dei suoni kraut! Vorrei concludere con il gruppo forse più strano dell’enciclopedia, i German Oak, autori di un lavoro claustrofobico all’inverosimile, registrato all’interno di un bunker tedesco della Seconda Guerra Mondiale con la volontà di ricreare il senso di angoscia e l’odore di morte provato dai soldati tedeschi. Li definirei proto-industrial!
Quali invece quelle che, sempre secondo te, hanno raccolto più di quanto seminato?
Non ci sono nel libro quel tipo di band! Ah, ah, ah! Beh, permettimi un po’ di polemica: gli AC/DC. Non perché non mi piacciano, ma Bon Scott era Bon Scott, poi negli anni Ottanta con l’avvento di Brian Johnson hanno prodotto una manciata di buoni album… il resto una menata. Chi più ci ha guadagnato maggiormente comunque è Johnson che, prima di entrare negli AC/DC, finita l’avventura dei Geordie, sbarcava il lunario cantando jingle pubblicitari di lavatrici… insomma, ho detto tutto! Inutile dire che fuori dal contesto analizzato dal libro c’è una miriade di merda da mass media, ma non mi voglio esporre, del resto i tuoi lettori sanno di cosa sto parlando.
Non pensi che 40 Euro sia, tutto sommato, una bella “cifretta” per accaparrarsi il tuo libro?
Già, con la crisi odierna può essere un bel costo, ma forse, invece di spendere soldi inutilmente in smartphone per inseguire i Pokemon, non sarebbe male investirli in una pizza, una buona birra consumata insieme a una/un compagna/o e buoni amici, un bel viaggio in macchina con della buona musica, oppure del vinile e questo libro. Ho impiegato sei anni per partorirlo, me lo sono scritto, impaginato, curato nei dettagli, inoltre è autoprodotto (la tipografia non lavora gratis), quindi è unico, non prevedo di ristamparlo e, se ciò dovesse accadere, non sarà a breve, né in questo formato (A4, 350 pag. per quasi un chilo e mezzo di carta) e tanto meno diverrà un Ebook! In definitiva 40 euro mi sembrano il minimo per una pubblicazione del genere: se vuoi delle cose buone le devi pagare, se no, vai al supermercato e compra il solito libro di musica con le solite cose trite e ritrite.
Dalla data di pubblicazione a oggi hai “scoperto” altre band che potevano entrarci?
Sì, un domani in una eventuale futura revisione le aggiungerò. Come già sai, mai si finisce mai di apprendere.
Vi sono anche degli esclusi illustri, tipo la PFM…
Come avrai notato, le band italiane incluse non sono numerose, non perché non le apprezzi, ma formazioni quali la PFM, Le Orme, Il Banco, etc., sono tipicamente progressive, dunque hanno dei connotati musicali specifici per ciò che concerne concezione e approccio; insomma, si muovono entro confini ben definiti, sia nella struttura dei brani, sia nell’uso e nel tipo di strumenti, oltre che nell’utilizzo della voce, fondamentale per riconoscere uno stile. Ebbene, dal libro ho escluso i gruppi propriamente progressivi, kraut, garage, beat, etc., favorendo chi ha dimostrato di avere nel proprio dna l’Hard Rock inteso nelle sue varie declinazioni, cioè heavy progressive, dark-sound, glam, AOR e, soprattutto, proto-doom e proto-metal. Ti faccio un esempio: se nell’enciclopedia avessi inserito gli Osanna o i Campo Di Marte, per logica avrei dovuto fare lo stesso con King Crimson e Van der Graaf Generator, con un notevole sbilanciamento sul versante progressivo; se invece avessi incluso i New York Dolls, sarei poi passato a considerare gli Heartbreakers, dunque spaziando notevolmente verso il punk, pur trattandosi di band con desinenze glam e hard rock.
Però sono presenti gli Stooges e gli MC5, entrambi riconducibili al punk…
In effetti questi sono gruppi punk dal punto di vista concettuale, ma rimango convinto del fatto che abbiano un sound tipicamente HARD, mentre ‘Dolls e Heart, oltre all’attitudine, presentano anche la sguaiatezza di chitarre e batteria propria di quel genere. Del resto se un neofita della chitarra leggesse graficamente la composizione del riff principale di NIB o di IRON MAN, troverebbe quella partitura molto simile a decine di pezzi punk o anche pop, il che dimostra l’importanza non del mezzo, ma del modo in cui lo si usa. Non dimentichiamoci poi delle tastiere, con particolare riferimento all’Hammond, che tanto ha dato al rock e all’hard rock: basti considerare alcune canzoni dei Deep Purple, dove quello strumento detta legge più della chitarra tanto da metterla quasi in secondo piano; se poi usato insieme al Leslie diventa l’apoteosi dell’hard! Ma parti di tastiera si trovano anche in Led Zeppelin e tanti altri, dunque, in conclusione, il suono hard rock si riconosce tipicamente per il cantato e i riff della chitarra che viaggiano sopra distinte sezioni ritmiche di batteria e basso, ben differenti da quelle di altri generi come il punk, il jazz, il progressive, l’hardcore o il black metal, tanto per fare alcuni esempi. Insomma penso di aver centrato appieno la scelta dei gruppi coerentemente con il titolo del libro, perché ritengo di aver trovato un equilibrio che giudico perfetto e che mi ha permesso di non sconfinare in altri territori. Del resto così mi è stato detto anche da parte di chi acquistato il libro.
Come sempre accade, per qualsiasi libro, una volta stampato e riletto ci si accorge che si avrebbe potuto fare meglio questo, tagliare quell’altro, approfondire di più un determinato passaggio, correggere il tal refuso etc etc. In quest’ottica cosa cambieresti, se fosse possibile, di Bible of the Devil?
Guarda, come ben saprai correggere un tomo del genere non è affatto una cosa semplice, visto che è composto da circa 1.300.000 caratteri. Della correzione si è occupato un amico (tra l’altro anche batterista dei Premarone), Alessandro Lugano, che si è riletto il libro più volte e che per questo non finirò mai di ringraziare. Nonostante ciò, è evidente che qualche refuso salterà ancora fuori. Il fatto di non aver approfondito alcuni passaggi è stato dettato dalla mole dell’enciclopedia, comunque ho cercato di fornire una buona visione di tutte le band, imponendomi allo stesso tempo di rimanere al di sotto delle 400 pagine totali, anche per una questione di costi, miei e degli acquirenti. Se infatti 40 euro sono già una cifra notevole, l’aggiunta di altre pagine avrebbe fatto ulteriormente lievitare il prezzo finale del prodotto: più il tipografo stampa, più aumenta la spesa.
Da dove deriva la scelta di uscire in modalità “Punk – fine anni Settanta/Do it Yourself”, cioè senza casa editrice né distribuzione nelle librerie ma affidandoti alla sola Black Widow Records?
Fin da subito ho pensato a una versione numerata e limitata a 222 o 333 copie, ovviamente da me prodotta; insomma miravo a un oggetto molto personale, provvisto di immagini a colori delle più belle copertine dei dischi, di tavole fotografiche delle band (per inciso, alcuni degli scatti che ho rinvenuto sono molto rari), di interviste e altro ancora. Quando ho contattato alcuni editori, sicuramente il fatto di proporre un tomo del genere ha motivato la loro mancanza di disponibilità alla pubblicazione del mio lavoro, ma purtroppo, ragionando anche come musicista, mi rendo conto che forse molta gente fa il mestiere sbagliato. Mi voglio spiegare meglio: se io fossi stato un editore, avrei comunque prodotto il libro, perché la versione dell’autore non avrebbe inciso sul mercato editoriale, anzitutto per via del costo del prodotto e poi per il fatto che avrebbe usufruito di canali di distribuzione differenti. Per intenderci, se uno conosce il mondo della musica indipendente, sa che è normale che una band possa chiedere al proprio editore di far uscire il CD e di consentire contemporaneamente l’autoproduzione di una serie numerata di vinili o una simile produzione da parte di un’altra etichetta; il CD e il vinile, infatti, seguono molte spesso distribuzioni diverse, il che implica la messa in gioco di soggetti diversi. Infine credo che questi editori si siano persi una bella occasione, ma non io, come dimostra il fatto che i maggiori collezionisti italiani e gli addetti ai lavori seri e autorevoli come te possiedono il libro e lo apprezzano. Questo è quello che conta! In buona sostanza ho visto riproporsi la stessa storia che ho riscontrato quando avevo una label punk-garage (ecco la ragione del DIY). L’Italia è un paese di morti di fame e di ignoranti! Concludendo, chi ha il libro se lo tenga stretto e chi vuol intendere intenda! Colgo l’occasione per salutare e ringraziare i ragazzi della Black Widow: Alberto, Massimo e Pino. Sanno il fatto loro, infatti non si sono fatti sfuggire una chicca così prelibata! Scherzi a parte, sono molto grato loro per l’aiuto offertomi nella distribuzione, GRAZIE!
Entrando in clima più tipicamente HM, quali sono/sono state le band più influenti all’interno del genere di tutta la storia, secondo te?
Seguendo l’ordine cronologico partirei dalla triade Sabbath, Zeppelin, Purple, a cui aggiungerei anche i Budgie. Considerando il termine HEAVY METAL in senso più specifico, sicuramente mi riferirei a tutte quelle band nate fra la metà e la fine degli anni Settanta, senza dimenticare diverse formazioni degli anni Ottanta e Novanta quali Venom, Saxon, Angel Witch, Iron Maiden, Judas Priest, Slayer, Metallica, Sadus, Anthrax, Exodus, King Diamond, Mercyful Fate, Manilla Road e via dicendo. Senza nominarli, un pensiero particolare va ai molti gruppi italiani che, per nulla inferiori a quelli stranieri, sono solo stati un po’ sfortunati per il fatto di essere nati in un paese di morti di fame malpensanti.
Come stanno andando le vendite di Bible of the Devil? Sei soddisfatto o ti attendevi un maggior riscontro? Sei quantomeno riuscito a rientrare dalle spese vive?
Sia delle vendite che del riscontro sono molto soddisfatto. Per quanto riguarda le spese vive le ho quasi coperte all’80%, dunque, visto che ho ancora alcune copie a disposizione, direi che rientrerò del tutto.
Come mai ti sei fermato a 222 copie? Il 222 ha un significato particolare?
Ho scelto di pubblicare il libro in 222 copie perché è la terza parte di 666, un numero significativo visto il titolo che ho scelto! Anche l’arco temporale considerato, ovvero 13 anni, dal 1967 al 1980, ha un valore simbolico…insomma nella numerologia adottata si possono trovare tracce di occultismo.
Pensi che esista ancora un pubblico numericamente consistente interessato a un libro come questo? Se si, secondo te fino a quando durerà, proiettato nel tempo, questo interesse?
Sì, c’è ancora un pubblico interessato a questo e ad altri libri. Forse con il nuovo millennio è rinato l’interesse verso la pagina stampata, che ben difficilmente, penso, verrà definitivamente sostituita da uno schermo o da un Ebook. Il libro è un oggetto che fa parte della nostra essenza umana, almeno per quanto riguarda una buona fascia di persone: lo si compra, lo si legge, lo si riprende in mano e dopo un po’ lo si riprende in considerazione, magari passandolo a qualcun altro. Credo quindi che nei prossimi decenni la Bibbia continuerà il suo percorso!
Rimanendo in tema, come ti prefiguri la situazione hard’n’heavy fra dieci anni? Intendo a tutti i livelli, ossia concerti, band esistenti, vendite, seguito di fan, locali dove suonare…
E’ una bella incognita, non so dove saremo fra dieci anni, ma di una cosa son sicuro: anche se vedremo band composte da soli androidi in grado di riscuotere un grande successo, ci sarà sempre un ragazzino curioso che imbraccerà qualche strumento per divertirsi e un nuovo ciclo partirà nuovamente.
A oggi, in Italia, sono rimaste due sole riviste definibili heavy metal disponibili presso le edicole. Secondo te sino a quando ce la faranno a resistere e ad uscire regolarmente visto l’andazzo?
Ho due amici nella mia città che gestiscono due edicole e che in modo differente hanno ottime conoscenze musicali. Ebbene, alcuni mesi fa, parlando con loro proprio a questo proposito, mi hanno detto che nel nostro territorio le riviste metal non vengono più distribuite, ovviamente per mancanza di pubblico; quel che ancora si trova sono Il Mucchio, Rumore, Classic Rock, Rock Hard, Rockerilla, ovvero i giornali, per stessa definizione dei suddetti edicolanti, più commerciali e meno di nicchia. Penso che effettivamente la crisi di certe riviste specializzate soffra indirettamente di quella della musica, ma mi auguro che questo sia un problema particolarmente evidente solo nelle piccole realtà urbane come la mia città, dove comunque, anche negli anni d’oro, i seguaci di generi specifici come l’HM erano sempre i soliti quattro gatti, ora ridotti a zero anche per mancanza di ricambio generazionale.
Hai in cantiere altre uscite a livello di libri musicali?
Sì, sto lavorando ad un altro libro di musica, in collaborazione con un ragazzo russo.
Secondo te in ambito hard rock e heavy metal è già stato detto e scritto tutto oppure esistono ancora margini di evoluzione?
Ti rispondo con un esempio. Tra il ‘500 e il ‘600 Monteverdi, in un certo senso, poteva essere considerato heavy metal dai suoi contemporanei: ciò vale a dire che siamo noi che, come in passato, vivendo nella nostra contemporaneità, fatichiamo a scrutare le generali evoluzioni della musica, anche nella mera quotidianità. Chissà tra un secolo cosa penseranno le persone degli Iron Maiden o dei Black Sabbath? Come concepiranno la loro musica? Ma soprattutto cosa ascolteranno? Devo ammettere che questo tipo di pensiero mi intriga… In conclusione certamente l’evoluzione musicale non finirà mai, anche se non sapremo come avverrà.
Spazio a disposizione per chiudere come meglio ritieni l’intervista, Alberto.
Anzitutto ti ringrazio per lo spazio che mi hai dato, poi saluto tutti quelli che in qualche modo mi hanno aiutato nella pubblicazione di questo libro, infine ringrazio le persone che hanno acquistato le loro copie e che mi hanno fornito delle belle recensioni: quelle dei lettori sono le più belle, perché vengono dal cuore e ti senti appagato per aver fatto conoscere a qualcuno cose nuove.
Stefano “Steven Rich” Ricetti