Hard Rock

Intervista Motley Crue (Mick Mars – 1986)

Di Stefano Ricetti - 29 Novembre 2017 - 0:00
Intervista Motley Crue (Mick Mars – 1986)

Intervista a Mick Mars dei Motley Crue da parte di Piergiorgio “PG” Brunelli tratta dalla rivista H/M numero 3 del marzo 1986. Il periodo è quello successivo all’uscita di “Theatre of Pain”, ultimo album prima dello scintillante “Girls, Girls, Girls” del maggio 1987, che li proietterà definitivamente verso l’Olimpo dell’hard rock.

Buona lettura.

Steven Rich

 

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Mick Mars, Motley Crue

 

Stavolta non sono venuti in Italia, nonostante le attese dei kids: li abbiamo intervistati a Londra. Mick Mars ha risposto all’inviato di HM senza nascondere nulla: nemmeno la paura delle bombe!

Londra — Per qualche illusorio scherzo ottico la visione di Mick Mars presuppone un avanzato stato di decadimento fisico. Se trattasi di età, droghe, alcool o altro non è dato sapere, ma il processo mentale è automatico. Trovarselo davanti, senza trucco, rilassato e assolutamente normale ha suscitato invece non poco stupore. Che ‘The Bad Boys of Rock’n’roll’ non siano poi tanto cattivi? È certo che la morte di Razzle degli Hanoi Rocks ha un attimo ridimensionato lo stile di vita della band.

FUCKED UP

Mick — Non ci ha rallentato, non abbiamo smesso nessuna abitudine, ma stiamo più attenti. Non siamo più ‘fucked up’ ed in giro pericolosamente: adesso prendiamo le Lymousines.

Si potrebbe dire che con il denaro si comprano tutte le scappatoie possibili, a porte il fatto che i Motley a Los Angeles hanno Io fama di distruttori di Lymos.

Mick — È meglio che disfare la mia macchina!

In che modo quell’episodio ho influenzato la band?

Mick — Ci ha avvicinato l’un l’altro. C’è più fratellanza ed amicizia tra di noi. E’ la cosa più devastante che ci sia mai successa. Poteva succedere a chiunque di noi quando eravamo veramente fuori ed invece è successo a Vince quando non lo era. Ci siamo molto sentiti partecipi. Vince deve scontare 30 giorni. Non influenzerà la preparazione del nuovo album, in quanto un po’ tutti partecipiamo alla composizione dei brani. All’inizio era solo Nikki a comporre, ora è diverso. Non puoi chiedere più di tanto al tuo cervello, anche i poeti sono in secca, a volte. Il mese di inattività di Vince non ci ritarderà nella pubblicazione del prossimo album che è prevista per la fine dell’estate, intorno a settembre, ottobre.

 

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Vince Neil e Mick Mars

 

Solo sei mesi tra la fine del tour e l’album?

Mick — Non si può spendere troppo tempo a casa ad annoiarsi, sei mesi sono più che sufficienti. In genere, una band impiega un mese ad essere afflitta dalla febbre della tournée e vuole tornare on the road. Sarà poco più di un anno da ‘Theatre of Pain’. Normale, no?

Questo andare sempre in giro in Lymos, sempre guardati a vista da una guardia del corpo, riconosciuti per la strada, porta ad una certa pressione psicologica?

Mick — In effetti quando siamo a Los Angeles non facciamo mai apparizioni in clubs tipo il ‘Rainbow’ come una volta. lo personalmente trovo il locale un covo di prostitute e sniffatori di cocaina. È tutto un ammasso di merda. Non mi interessa mescolarmi con quel tipo di gente. Per quello che riguarda la pressione psicologica, l’unico momento in cui mi sento soffocato dalla popolarità è quando ad alcuni concerti ci sono duecento kids di fuori che vogliono il mio autografo. Non mi è possibile accontentarli tutti. Sono così eccitati che ho paura di essere travolto, soffocato. Quando sono a Los Angeles non faccio la vita del recluso, non mi dispiace essere riconosciuto in un ristorante.

 

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Paure che svaniscono nel momento del concerto. L’assolo di Mick non è immune da critiche.

Mick — Durante l’assolo inserisco un paio di riffs tratti da ‘Physical Graffiti’ dei Led Zeppelin che hanno un certo sapore nostalgico, soprattutto per un pubblico inglese. Jimmy Page era un mio eroe fino a ‘Physical Graffiti’. A me piace molto il blues e la mia devozione verso di lui parte dai giorni degli Yardbirds. Il mio assolo è diverso da quelli standard delle altre band. Ci sono alcune cose che io faccio che ogni altro chitarrista al mondo può affermare di aver già sentito prima, ma a me piace mantenere le cose semplici, per far sì che la gente le ricordi alla fine del concerto. Non serve suonare centinaia di note: sono difficili da capire e, conseguentemente, da ricordare. In genere, ripeto lo stesso assolo con strane improvvisazioni qua e là. Non è sempre lo stesso, c’è molta slide guitar.

BAD GUYS

L’impatto che “Theatre of Pain” ha avuto sul mercato europeo non è stato equivalente ai risultati ottenuti in USA dove l’album è ancora nei Top 50 dopo 8 mesi e questo nonostante l’anno scorso abbiate fatto numerose date in Europa con Maiden, AC/DC e, poi, da soli in Inghilterra. Quali credi che siano le ragioni?

Mick — Non credo che le date dell’84 siano state sufficienti per affermarci in Europa, inoltre qua ci sono una marea di bootleg dove il suono grezzo della band, quello che più ci rappresenta, salta fuori deciso. Il suono dei nostri albums è sempre un po’ troppo pulito per questo mercato. lo ho visto tanti bootlegs in giro.

 

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Un suggerimento verso un cambio di produzione nei prossimi albums, forse?

Mick — Credo di poter dire che il nostro prossimo album sarà una vera sorpresa per molti. Sarà più aggressivo. La qualità sarà la stessa, ma con un piglio diverso.

Tanto per affermare musicalmente la fama di “Bad Guys”?

Mick — Non mi sembra di ricordare che nessun “buono” abbia mai avuto particolare successo suonando hard rock. Il rock’n’roll è fatto per i bad quys. Certa gente cerca di farci passare per “devil music” ma si sbaglia di grosso. Non abbiamo mai parlato di demoni in modo positivo, non li abbiamo mai evocati, gli abbiamo urlato contro, semmai. La gente è facilmente influenzabile, ma non posso credere che un ragazzo possa uccidere o suicidarsi solo perché ascolta un disco di Ozzy o degli AC/DC o dei Metallica. La generazione precedente fa le stesse cose, ma non ha mai sentito né Ozzy né gli AC/DC.

 

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Il vostro approccio in Europa verso il pubblico è piuttosto diverso rispetto o quello americano, come mai?

Mick — Gli americani impazziscono quando Vince parla di ‘pussy’, si eccitano. Se un tipico kid americano va in giro a raccontare che Vince ha detto quella parola dieci volte in una sera, si becca uno schiaffo dalla madre. In Europa c’è un po’ di libertarismo in più. Una ragazza in topless sulla spiaggia non fa notizia. E poi i kids europei non vogliono sentire bullishit, vogliono solo musica per le loro orecchie senza tante manfrine.

In Italia questa volta non verrete. C’è chi dice che lo show è troppo costoso ed avete dovuto tagliare fuori anche la Spagna.

Mick — Ho paura degli aeroporti italiani, ci mettono troppe bombe ed in Spagna c’è troppo terrorismo. Già ritornare negli States partendo da Parigi non mi riempie di entusiasmo, figuriamoci se dovessimo farlo da Roma.

 

Piergiorgio “PG” Brunelli

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti