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Intervista Ross The Boss (Ross “The Boss” Friedman)

Di Davide Sciaky - 13 Settembre 2021 - 10:00
Intervista Ross The Boss (Ross “The Boss” Friedman)

Non capita tutti i giorni di avere l’opportunità di ripercorrere l’epoca d’oro di una band leggendaria proprio con chi l’ha vissuta da protagonista, ma pochi giorni fa abbiamo avuto l’occasione di parlare a lungo del primo decennio dei Manowar con Ross “The Boss” Friedman, fondatore e primo chitarrista della band. 
Recentemente Ross è stato al centro di una piccola polemica dopo la pubblicazione di un’intervista dove si è lasciato andare a dei commenti negativi sul suo ex gruppo, in seguito alla quale ci aveva contattati per pubblicare un messaggio di scuse. Ne abbiamo approfittato per fare una lunga conversazione con il chitarrista che ci ha raccontato del suo periodo con i Manowar, svelando anche tante curiosità e dettagli inediti sulle origini della band.

In fondo all’articolo è possibile vedere il video completo dell’intervista.

Ciao Ross, come stai?

Bene!
Non mi posso lamentare, sto lavorando a della musica per i Dictators, musica per i Ross the Boss; i Dictators suoneranno questa domenica alla cerimonia di premiazione della Metal Hall of Fame in New Jersey, faremo quattro canzoni in acustico, che tu ci creda o meno non suoneremo in elettrico.
E’ pazzesco ma è l’unico modo in cui possiamo suonare questo show per motivi di produzione, quindi porteremo un piccolo sistema di amplificazione e… sarà grandioso!

Bene, e se non sbaglio sarà il debutto del vostro nuovo chitarrista.

Sì, esatto.

 

Magari possiamo cominciare parlando di quello che è successo qualche giorno fa, giusto per chiarire la faccenda.

Mi piacerebbe.
Sei il primo con cui ne parlo.

Allora, una tua intervista è andata online e diversi siti di musica hanno riportato delle cose che hai detto sui Manowar. Come mi dicevi l’altro giorno probabilmente eri stanco, alcune frasi non ti sono uscite bene e volevi chiarire che quelle frasi non riflettono quello che pensi davvero.

Lascia che inizi così, quelle parole sono uscite dalla mia bocca e mi assumo tutta la responsabilità di quello che ho detto.
Ma, normalmente io ricontrollo tutte le mie interviste, i giornalisti me le mandano indietro, Jason Green è una brava persona e mi ha detto, “Te la manderò così possiamo riguardarla insieme”, perché non si sa mai!
Per qualche motivo non l’ho mai fatto, l’ho fatto con la prima parte dell’intervista ma per qualche motivo con la seconda non l’ho fatto. Ora, se l’avessi vista pensi davvero che avrei lasciato che quelle frasi venissero pubblicate?
Ma sai cosa? Le persone dicono cose e io sicuramente ho detto quelle cose. Diciamo semplicemente che la musica dei Manowar oggi è diversa, non ripeterò le cose che ho detto nell’altra intervista, chiamiamola semplicemente “diversa”, è diversa dai sei album che io ho fatto con la band.
Questo è quanto voglio dire ora. Per quanto riguarda il mio attacco a Mr. [Joey] DeMaio, quella è una questione tra me e lui, ne ho parlato quando non avrei dovuto farlo, l’ho chiamato uno stronzo ed è stato molto poco professionale da parte mia. Ho violato la mia regola, una cosa che ho sempre saputo e che mi diceva mio padre, Dio lo benedica, quando ho iniziato la mia carriera, “Ross, se non hai niente di buono da dire su una persona, non dire niente, la tua vita andrà meglio”.
Non avendo niente di buono da dire sarei dovuto stare zitto, è stato poco professionale da parte mia. Continuo a pensare che i Manowar siano diversi e ho i miei problemi con Joey, ma per il resto mi scuso per la mia mancanza di professionalità.

 

Ho ascoltato l’intervista di Jason Green che è un riassunto molto interessante del tuo periodo con i Manowar, e vorrei partire da quell’intervista per approfondire un po’ di cose. Cominciando dall’inizio, tu e Joey cominciate a scrivere canzoni, siete solo voi due, e tu inviti ad ascoltarvi il capo del A&R [“Artists and Repertoire” la divisione di un’etichetta che si occupa di scoprire e mettere sotto contratto nuovi talenti] di EMI Liberty che è subito colpito. Siete solo chitarra e basso e già fate questo effetto sulla gente, ma ovviamente un altro elemento importante per il vostro successo è stato anche Eric Adams che si unì poco dopo alla band. Oggi è considerato universalmente come uno dei cantanti più talentuosi del Metal, come lo trovaste?

Prima di tutto, mia moglie di allora, Jane, aveva un’amica, Jean, che usciva con Bob Currie, il capo del A&R, e alla fine si sono sposati. All’epoca io, Jean, Jane e Bob ci vedevamo, uscivamo a mangiare e quindi io ero diventato un buon amico di Bob Currie prima ancora che i Manowar nascessero. Un giorno suonai un concerto con i Shakin’ Street sulla passerella di Asbury Park, Bob ci vide e mi disse, “Un giorno farò un progetto con te!”, sai come fanno questi del A&R!
I Shakin’ Street andarono in tour in Inghilterra, aprivamo per i Black Sabbath, ero sul palco a finire il soundcheck e, sai, la storia ormai è leggenda, Ronnie [James Dio] venne da me e mi disse, “Ross mi piace un sacco come suoni, mi piace la tua band, mi piace il CBGB…”, era una persona davvero intelligente Ronnie Dio, gentilissimo, una persona bella dentro e fuori, e mi disse, “Abbiamo questo ragazzo nella nostra crew, si chiama Joey, suona il basso in modo davvero particolare, dovresti incontrarlo!”. Io gli risposi, “Sissignore signor Dio”, misi via la mia chitarra, mancava un’oretta al concerto, eravamo a Manchester o Newcastle, e trovai Joey; iniziammo a parlare di musica e scoprimmo di avere molti interessi in comune: entrambi amiamo band con tre membri, amiamo i Black Sabbath, ovviamente, Cream, Led Zeppelin, The Who, Jimi Hendrix, Grand Funk Railroad, tutte queste grandi band con tre strumenti e la voce. Gli proposi di jammare insieme, chi chiedemmo dove potevamo suonare e ci dicemmo, “Perché non nel camerino dei Black Sabbath mentre loro sono sul palco a suonare?” [ride].
Io avevo la mia chitarra dato che ero in tour, ma Joey non aveva un basso quindi gli suggerii di prendere in prestito un basso di Geezer [Butler], quindi fece così: i Sabbath sono sul palco, noi nel camerino a suonare con gli ampli con cui loro facevano pratica – non me lo dimenticherò mai – e cominciamo a buttare giù idee e a suonare a volumi altissimi. Quando i Black Sabbath si fermavano tra una canzone e l’altra sentivano sto casino venire dal backstage e dicevano, “Che cazzo succede?!” e Ronnie diceva, “Sono solo Ross e Joey” e gli altri, “Ah ok, nessun problema”, erano gentilissimi.
Arrivati a fine tour era deciso che avrei lasciato i Shakin’ Street e che noi due avremmo formato una band. Il mio ultimo concerto con loro fu al Aloha Stadium alle Hawaii, e io e Joey avevamo un amico, Doug McDonald, che suggerimmo come mio rimpiazzo per non danneggiare la band. Quello show, tra l’altro, era il primo dei Sabbath con Vinnie Appice e Tony [Iommi] era davvero nervoso perché era il primo batterista diverso da Bill [Ward] con cui suonava da anni. Il primo show di Vinnie Appice con i Sabbath, il mio ultimo con i Shakin’ Street, lasciammo il tour e andammo a Mount Vernon, in Westchester, New York, a casa mia, Joey venne a vivere con noi, con me e mia moglie, e cominciammo a scrivere canzoni.
Penso che scrivemmo ‘Shell Shock’, ‘Gates of Valhalla’ e qualcos’altro e poi ricevetti dei soldi per registrare una demo da Bob Currie. Così andai da Joey a Auburn, New York, e trovammo Carl Canedy, dei The Rods, per suonare la batteria e Eric Adams, o meglio, all’epoca non era Eric, era Louis Marullo. Noi quattro entrammo in studio e registrammo il nostro primo demo, quello con il quale ottenemmo il contratto con la EMI.
Poi andai da Louis e gli dissi, “Non puoi chiamarti così [ride] non funziona”; i suoi figli si chiamano Eric e Adam, quindi gli dissi, “Louis, fratello, penso che dovresti chiamarti Eric Adams”. Ecco come nacque il nome Eric Adams.

 

E come lo trovaste?

Veniva dalla città di Joey, Auburn, Eric aveva una band chiamata The Kids, era una leggenda locale. Tutti lo conoscevano, Joey disse, “Questo è l’uomo che fa per noi”. Però avevamo un po’ un problema con lui all’inizio, perché Joey gli disse che doveva urlare, ma Eric aveva paura di rovinarsi la voce. Joey gli disse, “Se non urli non avrai una carriera, dacci retta”. Joey è stato praticamente il suo vocal coach in studio, devo concederglielo, è riuscito davvero a tirare fuori il meglio da Eric.
Quindi divenne davvero Eric Adams in studio, grazie a Dio lo divenne, è uno dei cantanti più dotati al mondo. Questo fu l’inizio, poi la EMI ci offrì un contratto ed il resto è storia.

 

Il tema della band, una band di guerrieri, senza compromessi, era decisamente chiaro fin dall’inizio. Guardavo nel libretto di “Battle Hymn” e c’è scritto, “Tutte le armi sono stato costruite e curate dal Genio di Dawk Sound”, quindi anche gli strumenti sono armi e via dicendo. A chi venne questa idea, a te, a Joey, o vi venne insieme?

Il suo nome era John Stillwell e tutti lo chiamavano Dawk. Quel tizio era un genio, un uomo grande e grosso, adorabile, ed era come Les Paul, come Leo Fender, un incredibile talento con gli strumenti.
Modificava amplificatori Marshall, modificò una testata Marshall per Tony Iommi e se ascolti “Heaven and Hell” puoi vedere come il suono delle chitarre è completamente diverso: quella fu la prima testata modificata da Dawk per Tony. Quando firmammo con la EMI glie ne comprai sette, comprai un sacco di strumenti il giorno in cui ricevetti l’assegno, così come fece Joey.
Dawk era un personaggio incredibile, fece lavori per Bruce Springsteen, per un sacco di gente, è una leggenda. Ogni tipo di strumentazione che avevamo era stato rimaneggiato o costruito da Dawk.
Per questo quella frase nel libretto.

 

Quello che ti chiedevo era più sull’immagine della band, come nacque questo tema della band di guerrieri?

L’idea venne da noi, Joey e io, io sono un super appassionato di storia.
Sono appassionato del Terzo Reich, sono appassionato di vichinghi, sono appassionato di Antica Grecia e di tutte queste cose, e Joey pure, eravamo tutti affascinati da queste cose.
Il nome, Manowar, ci mettemmo un po’ a trovarlo: avevamo un paio di nomi in mente, ma scegliere un nome è una delle cose più difficili che esistono.
Ci dicemmo, “Perché non ICBM (intercontinental ballistic missile)? Perché non questo o quello?” finché Dawn non disse, “Perché non Manowar?”.
Io e Joey ci guardiamo con la bocca spalancata, era il nome giusto!
Quindi fu Dawk a trovare il nome!
Poi spade, ordinammo delle vere spade, era tutto vero, noi eravamo veri, non era una sceneggiata, eravamo completamente coinvolti.
Pensavamo che tutto nella vita sia una battaglia, fino ad oggi, tutto è una battaglia, devi sforzarti per migliorare, per prepararti, per superare gli ostacoli e per diventare una persona migliore ogni giorno.
Essere buono con gli altri e duro con i propri nemici. Eravamo tutti dei Manowar, o così almeno credevo io.

Ci muoviamo avanti di qualche anno, è il 1984 e pubblicate due album molto amati dai fan e influenti sul genere: “Hail to England” in luglio e “Sign of the Hammer” in ottobre. Per com’è fatta l’industria musicale oggi pubblicare due album in meno di sei mesi sarebbe una follia, cosa successe all’epoca? Eravate così prolifici che volevate semplicemente pubblicare tutto subito?

Ogni volta che avevamo una sessione di registrazione, anche con il primo album, registravamo anche altre canzoni. Registravamo sempre più di quello che ci serviva per l’album su cui stavamo lavorando. Registrammo in eccesso in Florida, nelle sessioni di “Battle Hymn”, registrammo in eccesso a Toronto quando registrammo “Hail to England”, e quando arrivò il momento c’era interesse da parte di Virgin Record e firmammo un contratto con loro.
Quindi avevamo delle canzoni già pronte e le uniche canzoni che dovemmo registrare furono ‘Sign of the Hammer’ e, mi pare, ‘Mountains’, tutte le altre canzoni su “Sign of the Hammer” le avevamo già registrate.
Quindi, sì, eravamo molto prolifici all’epoca.
Dopo “Sign of the Hammer” firmammo un contratto con Atlantic Records e lavorammo con Eddie Kramer, il leggendario produttore che aveva lavorato con Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Joe Cocker, Frank Zappa, tutti quanti, era un genio. Lavorò alla pre-produzione con noi ma per qualche motivo non produsse l’album, aveva dei problemi con sua moglie, aveva dei problemi mentali, ma sulle demo su cui lavorammo insieme fece un lavoro fantastico. Le demo erano di ‘Carry On’ e ‘Blow Your Speakers’. Gli arrangiamenti di Eddie erano fantastici, e lui era una persona deliziosa.

 

Qualche anno dopo pubblicaste “Kings of Metal” e poco dopo Joey ti licenziò. C’erano stati dei segni premonitori o fu completamente una sorpresa per te?

Be’, abbiamo avuto i nostri disaccordi, mi ricordo una grossa litigata in Inghilterra all’epoca a proposito di qualcosa che era una tale stronzata: da un momento all’altro Joey cominciò a dirmi come dovevo vestirmi, come dovevo parlare, che gioielli usare, cosa non potevo dire… non fosse che i giornalisti con cui parlavo erano le stesse persone con cui avevo parlato per quattro album fatti prima ancora che i Manowar esistessero. La stessa gente, i ragazzi di Kerrang, tutte le stesse persone con cui parlavo dal 1977 quando ero nei Dictators.
Nessuno può dirmi come vestirmi, nessuno può dirmi come devo parlare e questo ha cominciato a creare dei dissidi; glie lo dissi, “Non mi puoi dire cosa fare, nessuno può dirmi cosa fare. Mi spiace, puoi dirlo a chiunque altro ma noi due siamo partner al 50% nei Manowar. Puoi dirlo ad Eric, puoi dirlo a Scott, puoi dirlo a Dawk, ma quando si tratta di me accetto suggerimenti ma non prendo ordini. Il mio nome è “The Boss” per un motivo, anche io sono un maschio alfa, lo sei anche tu, lo capisco, ma quando si tratta di dirmi cosa posso e non posso dire o come vestirmi… è follia”.
Joey si stava agitando per il nulla, concentriamoci sulla musica! Stiamo andando bene, la band va bene, perché preoccuparci di queste cose?
Immagino che per questo si sia sentito minacciato e, dopo “Kings of Metal”, mi chiamò in un hotel a New York e mi disse, “Guarda, mi sa che le nostre strade si devono separare”, “Perché?” gli chiesi ma non mi diede una risposta… ma io so il motivo.

Che sarebbe?

È lo stesso vecchio motivo per cui le coppie si separano, per soldi, per la direzione in cui portare la band, l’immagine da avere in pubblico… tutte le solite stronzate che portano le band a sciogliersi.
Appena prima del nostro disco più grande! Io, fuori dalla band!
Il fondatore fuori dalla band… penso che sia stato il peggior errore di sempre per i Manowar, un tempismo terribile, penso che questo li abbia danneggiati moltissimo. Se fossi rimasto con loro il tour di “Kings of Metal” sarebbe stato fottutamente incredibile, avrebbe stabilito dei record.
Hai presente il livello a cui sono oggi i Metallica? Anche noi saremmo a quel livello. NOI saremmo diventati i Metallica. Lo penso sinceramente.
Cacciare me, ME, non era decisamente il momento. E il modo in cui mi hanno licenziato è qualcosa di cui non voglio neanche cominciare a parlare, è da lì che nasce il mio risentimento. È qualcosa che ha fatto male alla mia famiglia, a me, ma a nessuno sembrava interessare.
Penso che sia stato un colpo anche per i fan, ci sono fan che ancora oggi non lo accettano, i fan old school, ancora non ci possono credere. Perché? Perché [licenziarlo] in quel momento? Perché non pubblicare il disco, andare in tour per tre anni e mezzo e solo dopo prendere questa decisione? Separatevi amichevolmente… non è successo: ok, sei fuori ed entra David Shankle.
Chi è sto tizio? Chi è sto fottuto tizio? “E’ il chitarrista più veloce di Chicago”.
Cosa?! Cosa vuol dire? C’era questa cosa che tutto doveva essere veloce, a che serve? Ci sta fare delle cose veloci qui e lì, ho sempre suonato veloce, ma suono anche lento.

 

Da quanto ho capito dall’intervista con Jason, a quel punto non portasti la cosa in tribunale dopo che un avvocato ti consigliò di lasciar perdere. Avevi già un piano B? Avevi un’idea di cosa poter fare dopo?

Guarda, era un periodo della mia vita in cui ad un certo punto ero semplicemente contento che [l’avventura con i Manowar] fosse finita, perché si era trasformata in qualcosa che non riconoscevo più. Io e Joey eravamo migliori amici, i suoi genitori mi adoravano, ero come un terzo fratello [dei DeMaio], e io adoravo i suoi genitori, Caroline e Joe, e all’improvviso… non riuscivo a crederci!
All’epoca uscivo con la mia ragazza, Judy, e le chiesi la mano, così ci sposammo nel 1989.
Poi cominciarono ad uscire delle bugie, “Ross si sta sposando e non vuole più stare nei Manowar”, bugia numero uno, poi la seconda bugia, “Ross vuole suonare Blues”, e io voglio suonare Blues, amo il Blues e uno di questi giorni voglio fare un disco Blues, ma io non ho lasciato i Manowar per… innanzitutto non sono io che ho lasciato la band, e non l’ho fatto per suonare il Blues.
Quindi hanno cominciato ad uscire tutte queste voci che non erano assolutamente vere, è stata una decisione di Joey quella di cacciarmi dalla band, poi dopo Eric e Scott hanno detto che erano d’accordo.
La peggiore decisione di sempre nel Rock.
Penso che Mick Taylor che lascia i Rolling Stones, quella è una brutta scelta. Ma il tempismo di buttarmi fuori dai Manowar in quel momento critico per la band, è stata come una pugnalata. Sarebbe stato un tour glorioso, quando ci penso… che spreco.

 

Tutta questa cosa è successa tra te e Joey, com’è stato il tuo rapporto con Eric e Scott dopo il tuo licenziamento?

Eric prese le parti di Joey dato che viveva nella stessa città di Joey e contava su di lui per ricevere i suoi compensi, ma si trattava di soldi che erano anche miei! Io non ricevevo soldi dalla band e una volta tornato a New York facevo altri lavori, lavoravo come operaio, mi davo da fare per sostentare me e i Manowar: i soldi che avevamo andavano a Scott ed Eric, erano nostri dipendenti, una nostra responsabilità.
Con Scott eravamo amici, davvero amici. Gli volevo davvero bene e alla fine, dopo tutto quello che successe, tornò a suonare con me e la mia band.
Io ero lì alla fine, sua moglie mi chiamò per dirmi, “Scott si è impiccato, cosa devo fare?”, “Beh, sicuramente non trascinarlo giù! Non tirarlo, stupida!”. Sono stato il primo che chiamò e… che cazzo di soggetto che era quella donna, ora è morta, era una tossicodipendente anche lei. Non supererò mai quella storia, mi fa piangere, dammi un paio di drink e mi vedrai piangere.
Io non vivevo lì, ma Scott avrebbe potuto essere aiutato, avrebbe potuto essere aiutato molto più di quanto lo fu. Ma questa è un’altra storia. Scott mi manca molto, gli ho voluto molto bene.
Ma il suo ultimo show, aveva suonato con noi al Bloodstock, con i Ross the Boss, la mia band tedesca dell’epoca; l’ultimo show mai suonato da Scott Columbus fu al [festival] Jalometalli in Finlandia, e quella sera fu grandioso. Avevamo suonato a Cipro e quella sera era ubriaco, non riusciva a suonare, era un disastro, rovesciò la sua batteria. Quindi per il suo ultimo show lo chiamai e gli dissi, “Scott devi suonare bene, stai cagando fuori”.
Quindi al Jalometalli fu l’ultimo show e fu magnifico e voglio che tutti lo sappiano, che Scott Columbus, nel suo ultimo show, fu grandioso. Se n’è andato come un uomo, come un vero guerriero. Indipendentemente da cosa è successo nella sua mente quando ha fatto ciò che ha fatto, nel suo ultimo show è stato fantastico.

 

Ovviamente dopo il tuo licenziamento non avesti a che fare con i Manowar per molti anni, poi nel 2005 tornasti sul palco con loro per l’Earthshaker. Si è mai parlato di fare altro oltre a quell’ospitata, o per te è stato semplicemente una questione di andare lì, suonare e poi fine della storia?

Penso che ci fossero delle voci che qualcuno nei Manowar voleva che tornassi, voleva licenziare il chitarrista all’epoca… era solo una voce, non lo so, non è mai successo.
È stato divertente tornare lì, ero ancora arrabbiato ma sono fatto così. Non ho attraversato la vita per vivere con questa rabbia, quando ero un ragazzino nel Bronx che prendeva per la prima volta in mano una chitarra per suonare il Blues non lo feci per essere sempre arrabbiato. Non ne vale la pena. Vedi, ho ancora tutti i miei capelli in testa perché sono una persona felice, sono contento di quello che ho e di quello che ho fatto nella vita, i miei più di 60 dischi parlano da soli.
Ma è stato bello suonare al Earthshaker e vedere i fan felici.

Tre anni fa il chitarrista della band è stato arrestato con l’orribile accusa di possesso di materiale pedopornografico e, come succede spesso con band molto amate come i Manowar, una volta che si è liberato il posto tanti fan hanno sperato in un tuo ritorno. Quando hai sentito la notizia hai pensato che ti potessero chiamare, hai pensato magari di contattarli tu, o il pensiero è stato più un, “Ormai non è più una questione che mi riguarda”?

Un po’ tutte le cose che hai detto. Tutti mi dicevano, “Ora ti chiamerà, ora ti chiamerà, ora ti chiamerà!”… non mi chiamerà mai, dai, perché poi dovrebbe ammettere al mondo che quello che mi ha fatto era sbagliato.
Ero scioccato con la storia di Karl [Logan], tutti eravamo scioccati. Spero che loro non lo sapessero prima del suo arresto, lo spero, spero davvero che nessuno sapesse niente ma chissà. Probabilmente davvero nessuno lo sapeva. Quello che ha fatto Karl è terribile, è una malattia, e ora sta pagando per questa cosa.

 

Dopo il tuo licenziamento dai Manowar hai fatto tantissime cose: nel 1990 sei entrato nei Manitoba’s Wild Kingdom, poi sei tornato a suonare con i Dictators, gli Spinatras, i Death Dealer, ovviamente il tuo progetto solista Ross the Boss…

Gli Heyday.

Esatto, e tanti altri. Cosa consiglieresti di ascoltare dalla tua lunga discografia a qualcuno che non ti ha seguito dopo i Manowar?

Ci sono tante cose. L’album dei Heyday, molti dicono che è un album fantastico, Rock a tinte Blues; il disco degli Spinatras è come un incontro tra Ramones e Cheap Trick, e 9 canzoni su 10 di quell’album le ho scritte io, stessa cosa con gli Heyday, sono l’autore principale di entrambi i dischi. Poi i Dictators sono tornati in attività e abbiamo fatto il disco “DFFD”. Nel 1996 abbiamo cominciato ad andare in tour in Europa e siamo diventati enormi in Spagna.
Mio figlio Jesse è nato nel 1991 e io ho continuato a pubblicare cose. Ho firmato il contratto con la AFM con i Ross the Boss nel 2007 e il primo album, “New Metal Leader” è uscito nel 2008, poi “Hailstorm” nel 2010. Poi i Death Dealer nel 2012, mi sono unito a Stu Marshall che viene dall’Australia, Sean Peck dei Cage e gli altri ragazzi… Steve Bolognese, lì è dove ho conosciuto il mio attuale batterista.
Ho continuato a lavorare, i Dictators hanno registrato e sono andati in tour. I Dictators NYC hanno smesso di suonare tre anni fa, poi i Dictators hanno avuto cambi in formazione, il nostro batterista attuale è Albert Bouchard, il batterista originale dei Blue Öyster Cult, e questa domenica presenteremo il nuovo chitarrista alla Metal Hall of Fame.
Nel 2017 sono stato tra le prime persone introdotte nella Metal Hall of Fame, un grande onore, essere inserito insieme a Randy Rhoads e tutti gli altri, un grande onore. Qualche anno fa invece a Wacken mi hanno dato il premio “Ambassador of Metal” davanti a 110.000 persone.
E arriviamo al presente, nel 2018 ho pubblicato “By Blood Sworn” e nel 2020 “Born of Fire”, un disco incredibile, dovevamo fare un tour con le Burning Witches lo scorso aprile, sarebbe stato grandioso. Abbiamo suonato l’ultimo show del tour americano il 24 febbraio 2020, torniamo a casa, dovevamo riposare per un paio di settimane prima di tornare in Europa e indovina cosa è successo?
Quindi ultimamente ho scritto nuove canzoni per i Ross the Boss, per i Death Dealer, senti qui: l’anno scorso abbiamo pubblicato il terzo album, “Conquered Lands”, ma abbiamo il quarto album e pure il quinto album già registrati! E pure un nuovo EP. Poi i Dictators sono tornati insieme e abbiamo pubblicato due nuove canzoni, e i relativi video, e una terza canzone verrà pubblicata domenica.
Quindi penso si possa dire che mi sono tenuto occupato. Poi lavoro qui nel mio batting cage [sala di allenamento per baseball e softball] sette giorni su sette, settanta ore alla settimana. Sono un malato di lavoro, è tutto quello che faccio, lavorare ogni giorno.
Non ho nulla ci cui posso lamentarmi, e grazie a dio [che ho questa altra attività] perché quando la musica si è fermata non c’erano più soldi. Fortunatamente ho questa attività che amo, amo il baseball, amo lo sport; la gente viene qui e gioca a cricket, a baseball e softball come puoi sentire di sottofondo.
Mi considero una persona fortunata ed è un onore poter suonare musica.
Non importa quello che mi è successo, quello che mi hanno fatto, io mi considero fortunato.

 

Ecco, hai anticipato la mia ultima domanda, volevo chiederti che piani hai per il futuro ma mi hai detto di quanti album hai già registrato, domenica suonerai con i Dictators, e speriamo che presto tu possa tornare in tour anche in Europa.

Esatto, teoricamente abbiamo dei concerti con i Ross the Boss a dicembre, ma con questa finta pandemia [N.D.R. Ross ha usato il termine “scamdemic” che unisce le parole inglesi “scam” (truffa) e “pandemic” (pandemia)]  ci crederò quando lo vedrò. Poi abbiamo un tour di 15 date in Russia con orchestre locali, io, Marc Lopes, Uli John Roth, Graham Bonnet, Marco Mendoza, Doogie White, in marzo.
Poi con i Ross the Boss abbiamo un intero tour in Spagna, e poi il grosso tour che è già stato rimandato diverse volte inizierà a maggio; da lì arriviamo ai festival, faremo il Sweden Rock, uno in Russia, due in Grecia.
Quindi, l’anno prossimo, se tutto va bene, sarò molto occupato.
Speriamo, gli Dei del Rock devono essere magnanimi.

 

Questa era la mia ultima domanda, grazie per la tua disponibilità Ross.

Spero di aver chiarito un po’ di cose, so che molti fan dei Manowar sono rimasti male per le mie parole ma, di nuovo, sono stato poco professionale a dire quelle cose ma, sai cosa? Ci sono stati problemi, e ho detto quello che ho detto e non lo nego.