Intervista Scorpions (1986)
Intervista agli Scorpions da parte di Roberto Gandolfi tratta dalla rivista H/M numero 3 del marzo 1986. Il periodo è quello successivo all’uscita del pluridecorato “Love at First Sting”, album che li mandò definitivamente in orbita e del disco dal vivo “World Wide Live” che consolidò quel loro momento magico.
Buona lettura.
Steven Rich
NEW YORK – Molto spesso i titoli dei libri, o dei dischi, hanno la capacità di riassumere perfettamente delle situazioni reali. Ultimamente questo si è verificato con “Love at First Sting” degli Scorpions, frase-intestazione che ha rispecchiato fedelmente quanto è avvenuto tra il pubblico statunitense e questa band un paio di anni fa. Allora, poco dopo l’uscita di quell’album, scoccò una scintilla e fu amore a prima vista per i kids americani, che in breve tempo fecero di “Love at…” uno dei 33 giri più venduti di quell’anno e mostrarono, in seguito, di gradire anche “World Wide Live”, testimonianza fedele di quanto si trasformi, indurendosi, il loro suono su di uno stage. Alla base del successo del gruppo teutonico sta l’abilità di sposare melodie accattivanti a sonorità dure, senza dimenticare poi che queste capacità compositive risaltano maggiormente nella dimensione-live, dove i brani vengono riarrangiati ed arricchiti dai tecnicismi dei cinque abilissimi formers.
La popolarità da loro raccolta, è stata documentata ottimamente nel doppio, filmato-disco, dal vivo, realizzato lo scorso anno in tre diversi continenti e promosso qui negli States con un mini-tour composto da sole cinque esibizioni, nel Texas, Alaska, Washington, California ed Arizona, al termine delle quali gli Scorpions sono tornati in patria per incidere il nuovo 33. Questa chiacchierata esclusiva, è invece avvenuta in un momento di pausa della lavorazione, nel corso di uno splendido ma freddo pomeriggio del “Village” tra le caratteristiche pareti di legno dell’Uno Pub, sito al 391 di Avenue of the Americas, e noto per la sua ottima birra tedesca.
AFTER LOVE
Per qual motivo avete deciso di sospendere la produzione del nuovo album e siete venuti negli States?
Klaus Meine — Prima di tutto perché il 33 è praticamente terminato e poi perché dobbiamo rifinire alcuni accordi per la tournée mondiale che seguirà il disco. Se tutto va come pensiamo vorremmo iniziare da qui, al limite faremo un paio di date prima nel giardino di casa nostra per vedere come reagisce il pubblico.
Partiamo del successore di “Love at First Sting”: come lo avete realizzato e che differenze presenta rispetto o quest’ultimo? (Dopo un po’ di confusione generata do più risposte simultanee, è ancora Klaus che prende parola).
K.M. – Vedi, nel corso dell’ultimo tour, che era durato 12-13 mesi, avevamo deciso che lo scorso anno lo avremmo passato in modo diverso: poche date, maggior tempo a scrivere ed incidere demos, ecco perché abbiamo suonato solo in cinque occasioni qui, lo scorso anno, il motivo è che siamo stati parecchio in Germania a lavorare. Forse è anche per questo che il doppio-live non ha bissato pienamente il successo di “Love…”, ma ci è stato impossibile supportare di più il disco, eravamo tutti concentrati per il nuovo album che sarà splendido.
Accentuerete il lato melodico? (Stavolta è Jabs che riesce a rispondermi, chiudendo la bocca di Klaus con le sue mani).
Mathias Jabs – Ci tengo a rispondere a questa domanda perché voglio specificare che gli Scorpions saranno sempre tali. Questo significa che il suono sarà quello che ci ha contraddistinto negli ultimi lavori, anche se ci siamo sforzati a rinnovare il nostro repertorio; abbiamo sfruttato un po’ di più la tecnologia senza snaturare il tutto, ma non ne è uscito nulla che assomiglia al tecno-pop o a scemenze del genere. Anche questo sarà un buon album di rock’n’roll.
Avete un contratto che vi lega alla produzione di Dieter Dierks per altri cinque album, che intendete fare al termine?
K.M. — Innanzitutto ci siamo legati a lui perché lavoriamo benissimo assieme e poi a noi piace incidere sotto la direzione di un produttore… questo perché vogliamo una persona esterna, in grado di darci un’opinione obbiettiva e competente. Ecco perché anche in seguito lavoreremo con un produttore esterno, e non vedo perché non dovrebbe essere ancora Dieter.
Il grosso successo di “Love at First Sting” vi ha condizionato in qualche modo?
Rudolf Schenker — Non ci ha dato alla testa se è questo che intendi, e poi più che “pressione” o “condizionamento”, io direi “stimolo” perché noi abbiamo vissuto tutto così, come una sfida per riuscire meglio.
Oltre alla diversa formazione, che differenze ci sono tra “Tokyo Tapes” ed il vostro ultimo live?
Mathias Jabs — Beh, siamo cresciuti, e poi allora era come se al nostro interno esistessero due bands contemporaneamente; c’era Ulrich Roth alla chitarra che era hendrixiano come sonorità, dall’altra parte invece Rudolf e Klaus scrivevano pezzi molto melodici, dal mio arrivo in poi siamo diventati un vero collettivo.
Per qual motivo nel live è presente la vostra produzione più recente?
M.J. — Principalmente perché è dedicato ad un periodo di tempo recente, cioè gli ultimi quattro album e poi perché il vecchio materiale l’avevamo suonato troppe volte; e poi i pezzi recenti erano tantissimi e tutti validi quindi era difficile scegliere. Se questo può accontentarti anticipo che nel prossimo tour dedicheremo un momento piuttosto prolungato al passato, in questo suoneremo un medley che raccoglierà le nostre cose più note, come “In trance”, “Pictured Life”, “We’ll burn the sky” ed altre.
Qual è il motivo della realizzazione del doppio live invece di sfruttare il momento favorevole, proponendo materiale nuovo?
R. Schenker — Perché sul palco ci sentiamo a nostro agio e ci esprimiamo meglio; poi perché abbiamo realizzato il nostro ultimo live nel ’78 con Roth alla chitarra, un po’ come la fine di un capitolo; adesso stiamo vivendo un’altra era stupenda che doveva essere regalata al pubblico e poi le nostre ultime tournée sono state il massimo, era un peccato non farne partecipi tutti.
HOME METAL VIDEO
Che mi dite del video?
K. Meine — Beh, siamo stati in giro per tanto tempo ed abbiamo filmato tutto, anche perché al termine del “Blackout tour”, ci dispiacevamo di non esserci portati dietro una troupe per videoregistrare gli show. In questo caso invece l’équipe di cameraman ci seguiva ovunque, dalla mattina, non appena aprivamo gli occhi, fino al momento in cui si andava a dormire; è stato anche terribile, perché non potevamo fare nulla di privato, dietro ogni angolo c’era una telecamera che riprendeva quello che facevamo… ecco perché alla fine ci siamo trovati con tonnellate di materiale da visionare. Dei filmati ne abbiamo fatto anche una versione home, per entrare nelle case dei nostri fans, così d’ora in poi potranno sopportare alla nostra musica le immagini dei nostri concerti.
Rudolf, cosa sta facendo Ulrich Roth in questo momento e soprattutto, tuo fratello Michael potrà tornare in futuro a collaborare con voi?
R. Schenker — Ulrich l’ho visto la settimana scorsa a Los Angeles, stava organizzando la tournée per la promozione del suo nuovo disco; per quanto riguarda mio fratello invece il discorso è diverso proprio perché è del mio stesso sangue; in ogni caso non credo che ci sia più posto per lui qui tra noi. In un lontanissimo futuro, forse potrà anche nascere una qualche forma si collaborazione, ma gli Scorpions sono un’entità fissa oramai, stiamo perfettamente assieme e così andremo avanti per molti anni ancora.
Klaus, come hai fatto a sviluppare tonalità vocali così alte?
K.M. — Hai colto nel segno, ho proprio sviluppato la mia voce, e l’ho fatto con tanto impegno e volontà; il mio problema in passato era che io volevo diventare un rock’n’roll singer, ma la mia voce era troppo limpida e pulita, mentre le voci per questo genere erano tutte roche, aggressive, un po’ come dei ruggiti di leone… ecco perché ho lavorato parecchie ore al giorno per arrivare molto in alto e per renderla cattiva quando serve.
MOTLEY & FRIENDS…
Prima del successo di “Love…” vi sentivate un po’ frustrati, forse anche perché bands molto più giovani della vostra lo avevano raggiunto in pochissimo tempo?
M. Jabs — Se ti riferisci ai Motley Crue ed affini ti posso raccontare che sia loro che i Quiet Riot ci hanno chiesto più di una volta di produrli… trai quindi le tue conclusioni.
Herman, cosa ne è del tuo lavoro solista? (Il batterista finora silenzioso smette di sorseggiare la sua birra ed illumina il suo viso)
Herman Rarebell – Come fai a sapere di “Herman the German”? Beh, ti posso dire che l’album era già pronto da un anno, ci sono stati solo dei problemi con le etichette discografiche, per via di tutti i musicisti che vi partecipano…
Vuoi elencarcene qualcuno?
(H. Rarebell) — Beh, c’è Don Dokken che ha cantato qualche pezzo, poi c’è il bassista dei Ratt, Steve Marriott degli Humble Pie e tanta altra gente nota, ecco perché non lo definirei un disco “solista”, ma una specie di grande Jam.
Ti piaceva Steve Marriott, lo seguivi?
H.R. — Sì, mi faceva impazzire la sua roba, ma sono legato ancor di più a Charlie Huhn, che conoscevo da tanto tempo… lo rividi alla “Texas Jam” lo scorso anno quando cantava per Ted Nugent. Lui lavora con una sua band personale, i Victor, un gruppo tedesco che noi riteniamo bravissimo; ha inciso il loro primo album ed aveva bisogno di aiuto ecco perché ha aperto i nostri spettacoli e forse lo farà anche nel prossimo tour.
Pensate di aver già raggiunto l’apice della popolarità?
M. Jabs — Assolutamente no, avremo sempre sfide da affrontare, con le nostre influenze passate, con il mercato, con noi stessi… ma finché resteremo sempre assieme non potremo far altro che salire sempre più in alto, rockegiando.
Roberto Gandolfi
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti