Maestri di giornalismo HM (Beppe Riva)

Di Stefano Ricetti - 30 Aprile 2020 - 12:26
Maestri di giornalismo HM (Beppe Riva)

Intervista a Beppe Riva, il decano dei giornalisti heavy metal italiani. Per molti “il giornalista” per antonomasia della musica dura del Belpaese, l’unico e  vero sublime cantore della guerra dei watt.

Buona lettura, Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

Prefazione.
Preghiera per chi legge: consiglio vivamente chi si appresta alla lettura di questa lunga intervista di ritagliarsi il tempo necessario per poter arrivare fino in fondo e di gustarsela passo passo. Salvatela, stampatela, lavorate “fuori linea”… insomma, fate quello che volete ma non rinunciate alla lettura! Contiene i capitoli fondamentali dell’inizio del movimento HM in Italia: per ora è ancora considerata storia, fra qualche anno si parlerà di leggenda!
Vi assicuro che ne vale la pena.

Presentazione.
Cari lettori di TM, ho l’onore di intervistare quello che da sempre considero l’eroe del giornalismo HM in Italia, un uomo che con le proprie recensioni ha fatto sognare un’intera generazione di metallari, uno che ha spronato e aperto gli orizzonti del metallo sulla penisola con la sola forza dei propri scritti. Sto parlando del mitico Beppe Riva, già scrittore su Rockerilla poi passato a Metal Shock e poi… non vado più avanti per non anticiparvi niente.

Nota di Beppe
Mi ha detto di riferire al pubblico di TM che di interviste in passato ne ha fatte altre, ma questa la considera un autentico “testamento”, sia per il numero degli argomenti trattati che per il tempo dedicato alle risposte.

 

Beppe Riva “gazzato”, 2005

Intervista.

Periodo Rockerilla.
Allora Beppe, per prima cosa ti chiedo di spiegare ai lettori di TM il tuo cammino artistico dagli albori ai giorni nostri elencando secondo te i passi fondamentali della tua carriera nell’editoria.

– Cercherò di non esser troppo prolisso a riguardo; quando cominciai a leggere le riviste musicali, all’inizio del liceo, provai quasi subito a scrivere a mia volta delle recensioni; così, quando Ciao 2001 indisse un concorso settimanale fra i lettori, inviai una mia recensione sui Blue Oyster Cult, che venne pubblicata. Anni dopo, fui contattato da Rockerilla proprio perché il suo fondatore, Badino, aveva conservato quel numero di Ciao 2001, dov’era riportato il mio indirizzo. L’idea di istituire una rubrica Hard’n’Heavy su Rockerilla fu senz’altro la mia mossa vincente (se così si può definire…). Nata sulla scia della NWOBHM, a cui nessuno in Italia sembrava dar troppo credito, aumentò progressivamente le pagine a disposizione e divenne un importante punto di riferimento per gli appassionati. Infatti fui chiamato, senza alcuna raccomandazione, a “difendere” l’HM nel Processo di una popolare trasmissione della Rai, “Mr. Fantasy”.

Successivamente condussi anche una serie di trasmissioni radiofoniche sulla radio nazionale, e feci episodiche apparizioni su Italia 1 e Videomusic. Intanto era nato Metal Shock, che a sua volta ha rivestito un ruolo determinante nella “cultura metallica” italiana. Fra i libri, le esperienze più significative e impegnative (troppo…) sono state la collaborazione all’Enciclopedia Rock anni ’80, e l’edizione italiana dell’Enciclopedia Hard’n’Heavy, della quale ero il curatore. Entrambe uscirono per l’editrice Arcana. Negli anni ’90 sono tornato a collaborare con Rockerilla, perché lì potevo scrivere ciò che mi pareva. Non sopporto l’idea di ricevere ordini in quest’ambito, non vedo chi possa esser in grado di darmeli, inoltre non ho un carattere piacevole.

Se possibile spiega dettagliatamente i retroscena del tuo passaggio da Rockerilla a Metal Shock; quali furono i presupposti?

– I tre numeri speciali di Hard’n’Heavy, in pratica un’estensione della rubrica omonima, erano andati molto bene, ma nell’ambito editoriale di Rockerilla non si poteva andar oltre, perché non c’erano i mezzi e neppure la volontà; la rivista era nata con l’intento di promuovere la new wave ed in generale le nuove tendenze, non si poteva discostare da quella linea. Ma nella seconda metà degli anni ’80 l’heavy metal era un fenomeno tale che le dieci pagine a disposizione non erano più sufficienti, inoltre era uscito il periodico specializzato HM, ed occorreva fronteggiarlo ad armi pari. Fu l’amico Giancarlo Trombetti, che collaborava da tempo con Rockerilla e nel frattempo si era trasferito a Roma, a convincere l’editore di Tuttifrutti ad investire su una rivista metal; eravamo d’accordo sul fatto che io avrei svolto mansioni di redattore “esterno”, portando con me collaboratori di Rockerilla come Bergonzi e Cossali.

Il primo numero di Metal Shock uscì nell’aprile ’87, poco dopo il terzo di Hard’n’Heavy. Ci impegnammo comunque affinché quest’ultimo fosse un numero di elevato contenuto, anche se non potevamo avvertire con troppo anticipo la redazione di Rockerilla della decisione di andarcene. Metal Shock venne pubblicizzato come “il metallo da leggere”: ci interessava creare una rivista di qualità, scritta con adeguate basi culturali. Non condividevamo l’impostazione di HM, che ci sembrava focalizzato più sulle immagini che sui contenuti.

 

Paul Di’Anno e Beppe Riva

Hai avuto qualche influenza o in qualche modo qualche maestro spirituale che ti ha ispirato e dal quale hai ricavato il tuo stile epico e magniloquente di scrittura oppure no? Che so, qualche lettura che ti ha guidato… insomma il tuo background.

– Una domanda interessante! Da quattordicenne, iniziando ad acquistare Ciao 2001, leggevo i pezzi dei suoi critici, specie Caffarelli, Baiata ed Insolera, e penso di esser cresciuto imparando qualcosa da loro. Subito dopo, ho conosciuto altri pionieri della critica italiana quali Bertoncelli (che è tuttora il veterano più apprezzato del nostro giornalismo rock) e Mauro Radice. Ho sempre stimato il loro linguaggio intellettuale, nonostante stroncassero spesso e volentieri i miei gruppi preferiti, hard rock e progressive! Ricordo che nei miei primi scritti, utilizzavo in positivo una terminologia che Bertoncelli usava come spregiativa, del tipo “sventagliate di chitarre e violenza”… Con questo, voglio dire che è molto limitativo confrontarsi solo con chi opera nello stesso raggio d’azione, ed è sempre costruttivo trarre spunti altrove, come nella musica.

Nell’ambito della critica inglese, stimo moltissimo Chris Welch, grande testimone dell’originale era progressive ed hard rock, ed il pioniere del giornalismo metal, Geoff Barton. Giungendo però a conclusione: per trattare l’heavy metal, credo di essermi ispirato soprattutto ai magnifici racconti del soprannaturale di Edgar Allan Poe e di HP Lovecraft, che molto si prestavano a definire le atmosfere fantasy e horror di questo genere musicale. Non oserei mai considerarmi nemmeno un discepolo, poiché la loro creatività nell’ambito del fantastico era semplicemente immane. Ho solo cercato di adattare, in tutta umiltà, la lezione di questi scrittori “visionari” alla nicchia musicale nella quale mi davo da fare.

Quando e come è nata la tua “chiamata” sulla via del metallo?

– Ciò che mi ha spinto con convinzione sulla via del rock duro è stato l’ascolto di “Paranoid” dei Black Sabbath nel 1970. Nonostante fossero avversati dalla stampa, li trovavo stupefacenti. Subito dopo, ovviamente, ho allargato la mia sfera di conoscenza agli altri grandi nomi dell’hard inglese: Zeppelin, Uriah Heep, Deep Purple, Warhorse, Atomic Rooster etc. Da allora non ho mai smesso di seguire l’evoluzione del rock duro; l’interesse per le formazioni americane, dai Grand Funk agli Aerosmith, dagli Angel agli Starz, sono state una logica conseguenza di quella mia passione, così come Van Halen, Nugent, Judas Priest, Motorhead, fino all’avvento della NWOBHM e del boom negli anni ’80, che i lettori di True Metal senz’altro conoscono benissimo. Nel corso del tempo ho cercato alacremente di recuperare tutto il materiale possibile delle formazioni cosiddette minori dell’hard rock seventies che allora, giova ricordarlo, era chiamato appunto “heavy metal”.

Sempre rimanendo in ambito Rockerilla, che fine hanno fatto i vari Tiziano Bergonzi, Piergiorgio Brunelli, Giancarlo Trombetti, Alex Solca, Claudio Sorge, Paolo Cossali, Adriano Bosone & Co., sono ancora coinvolti in ambito musicale o no? Hai ancora contatti con loro?

– Mi fa piacere che ti ricordi di loro, perché ritengo che avessero dei “numeri” superiori rispetto a tanti critici metal che oggi vanno per la maggiore. Sorge però è fuori tema in quest’ambito, perché ha tutt’altre radici musicali, ed attualmente dirige un mensile ben noto, che non ha bisogno di pubblicità, tanto meno da parte mia. Dopo l’esperienza con Metal Shock, Bergonzi ha lasciato l’attività giornalistica, pur restando un grande appassionato specie di AOR/hard melodico, così come Cossali, che è titolare di un mail order specializzato. Eravamo amici, ma ormai ho contatti davvero sporadici, e lo stesso discorso vale per Trombetti che a sua volta non s’occupa più di stampa musicale, peccato…Da 15/20 (!) anni non sento più Solca, Brunelli e Bosone.

Lasciami però aggiungere che le interviste da me volute e realizzate da Brunelli con gli High Tide e Kip Trevor dei Black Widow (pubblicate da Rockerilla negli anni ’80), sono state un’autentica opera di preservazione culturale a favore di queste geniali formazioni, in un’epoca in cui nessuno si ricordava più di loro! Inoltre devo render merito anche a Bosone, che è stato l’autentico precursore della specializzazione in black metal, con i suoi pionieristici scritti su Venom, Bathory, Bulldozer etc. Ricordo che ha sempre desiderato di occuparsi specificatamente di quest’ala estrema del metal. Però la prima recensione italiana di singolo ed album d’esordio dei Venom la feci io; Adriano mi contattò proprio di conseguenza.

In quegli anni pionieristici esisteva già un carta pressione da parte delle etichette per spingere questo o quel gruppo oppure si trattava delle solite storie messe in giro dalle immancabili malelingue?

– Nei primi anni ’80, la promozione in materia hard’n’heavy era limitata ad alcuni distributori, e le major se ne interessavano ben poco…Arrivavano invece dischi dall’estero, perché il nome di Rockerilla era circolato nei circuiti specializzati, ed anche i primi demo, dai gruppi minori della NWOBHM agli allora sconosciuti Virgin Steele o Poison! Era tutto a livello molto underground, ma c’era grande entusiasmo in quegli anni pionieristici, come tu li hai giustamente definiti. Le cose sono cambiate quando il metal è assurto a posizioni commercialmente interessanti, e all’epoca di Metal Shock, sicuramente le case discografiche avevano iniziato a condizionare la linea delle riviste con le loro strategie promozionali. Allora io ero stato esplicitamente invitato a non intralciare i contatti fra redazione e label, quindi ne sapevo ben poco. Di certo però le copertine non erano solo una scelta di merito…

 

Death SS

Toglimi una curiosità: l’ambientazione dell’intervista i Death SS da te realizzata dandovi appuntamento nella cripta sotto al cimitero era inventata o vera? (Qui il link a quella famosissima intervista)

– Preferisco lasciare che sia il velo del mistero ad ammantare l’incontro con la band in quei luoghi. Posso solo dire che in quel caso ho voluto sperimentare la mia ammirazione per Lovecraft. Leggevo a ripetizione il volume delle sue “Opere Complete”, e fra i racconti che più mi avevano colpito ce n’erano un paio che mi suggerirono l’idea di quella rappresentazione letteraria; è davvero sorprendente l’impressione che l’intervista suscitò, superiore a quelle che realizzai a gruppi ben più famosi. A dimostrazione che un pizzico di fantasia, a braccetto con fatti realmente accaduti, può giocar un ruolo fondamentale nel creare interesse fra i lettori.

Sempre riguardo i Death SS la leggenda vuole che tu sia l’unica persona al mondo in possesso del master originale di Evil Metal. Cosa mi dici in merito?

– Innanzitutto che io possedevo quello che mi era stato recapitato da Paul Chain, con il ben noto difetto d’incisione che si rilevò sul disco; inoltre non so proprio se mi affidò l’originale, perché non ero presente nello studio di registrazione. La verità la può sapere solo il doom guru di Pesaro. Comunque non ricordo proprio dove sia finita la mia copia. Adesso che me l’hai chiesto mi vien voglia di andare a cercarla in soffitta…

Negli anni di Rockerilla , praticamente agli albori di un po’ tutto il movimento, come facevate a procurarvi i contatti con le band straniere per le interviste? Il tutto costava sudore e sangue oppure vi era una certa collaborazione da parte delle label?

– No, anzi, non era troppo difficoltoso. Oggi ci sono riviste che quando vogliono puntare su certi artisti, chiedono esplicitamente alla casa discografica che l’intervista sia esclusiva e non sia concessa alla concorrenza, mentre allora questi sotterfugi non esistevano, c’era generalmente notevole disponibilità. I gruppi si muovevano anche autonomamente, senza troppi filtri: Sean Harris dei Diamond Head mi scrisse una lettera così lunga che la utilizzai come intervista. Ricordo che quando andavo ai concerti in Italia, cercavo di mettermi in contatto con i musicisti direttamente nel giorno stesso dello show, mentre Brunelli in Inghilterra aveva presto instaurato una rete di contatti che gli permetteva di intervistare qualsiasi formazione, anche di grande richiamo. Spesso le label inglesi erano molto impegnate a spingere le loro band, mentre gli operatori delle filiali italiane non si interessavano granché all’heavy metal.

E riguardo al materiale? Mi viene in mente l’articolo fiume sulla NWOBHM di Tiziano Bergonzi presente su Hard‘n’Heavy volume 1 oppure il tuo sempre sulla NWOBHM riguardante i singoli su Hard‘n’Heavy volume 2.

– La maggioranza degli album trattati, ed il 99% dei singoli erano acquistati da noi; io facevo costantemente ordini al negozio specializzato Bullet, in Inghilterra. Oggi difficilmente si dà spazio a materiale che non sia ricevuto in promozione sulle riviste a tiratura nazionale, allora la componente passionale era molto più presente.

Sei stato un grandissimo propulsore dell’HM in generale e il successo dei Manowar In Italia praticamente l’hai decretato tu osannando i loro primi dischi (a mio avviso Hail To England rimane il loro capolavoro, un disco inarrivabile!). Con il senno di poi non pensi di aver forse esagerato un po’ nei giudizi? Insomma non credi di esserti fatto prendere la mano?

– Se ho esagerato, l’ho fatto in buona fede. E’ giusto che certe conclusioni le traggano i lettori. Però tu stesso osservi che in Italia, grazie ai miei “osanna”, i Manowar hanno ricevuto un gradimento pari alle più importanti HM band, cosa che non succedeva altrove (per esempio in Germania ci misero qualche tempo in più a scaldare gli animi…). Pertanto deduco che molti appassionati hanno condiviso il mio stesso entusiasmo; dunque non era infondato, perché non si possono costruire “leggende” sull’inettitudine. Anche adesso, se penso ad una magistrale incarnazione del metallo epico degli anni ’80, dopo l’illuminante lezione dei Rainbow di “Rising” (1976), mi vengono in mente soprattutto i Manowar. Fino a “Sign Of The Hammer” sono stati imbattibili nella loro specialità.

Dunque, dopo il colpo di fulmine con De Maio e soci nei primi dischi, cosa pensi dei Manowar di oggi?

– Che hanno fatto il loro tempo, d’altra parte è capitato anche ad immortali del rock come Jimmy Page, per citare il nome più eclatante; però loro sono stati maestri di un certo stile metal, a differenza di molti imitatori che si sono fatti strada a colpi di sword & sorcery di basso profilo.

Cosa ricordi della tua partecipazione a una trasmissione della RAI di approfondimento sull’allora esplosione del fenomeno heavy metal? Se non erro passarono due ignobili filmati di Thor e dei Motorhead ubriachi per far capire al pubblico cosa fosse l’HM. Ricordi qualche divertente aneddoto?

– Penso che tu ti riferisca al “Processo all’HM” di Mr.Fantasy, di cui accennavo in apertura. Sinceramente, pur conservando la registrazione di quel programma, non ricordo i filmati che citi, ma credo di poter dire che si volesse porre l’accento proprio sul dualismo fra “accusa” e “difesa”, presentando gli aspetti positivi e negativi dello stile metallico, secondo il punto di vista sia degli appassionati, sia dei detrattori. Cercando di spettacolarizzare l’evento inevitabilmente sono emersi aspetti kitsch. Gli stessi Death SS, che apparvero in “tribunale”, si vergognarono di come erano stati truccati dalle “estetiste” della RAI, che li fecero apparire fin troppo glam! Un aneddoto divertente è che alcune belle ragazze convocate per l’occasione non mascheravano certo il loro imbarazzo di fronte al gruppo marchigiano.

Conservi ancora i numeri di Rockerilla sui quali hai scritto?

– Si, ma purtroppo in gran disordine, specie quelli degli anni ’80, e lo stesso discorso vale per Metal Shock. Spesso mi ripropongo di archiviare adeguatamente quel mio pezzo di storia, ma rimando ad oltranza, anche per pigrizia, e mi dispiace.

 

Lo scrivente, Steve Sylvester e Beppe Riva

 

Gusti Personali

Qual è stato il disco che al primo ascolto ti ha fatto sobbalzare sulla sedia, quello che ti ha stregato per sempre?

– Sono stati vari, in epoche diverse, per fortuna! Altrimenti la passione non si sarebbe rinnovata continuamente. In tempi recenti però fatico ad entusiasmarmi ascoltando novità discografiche. Francamente, mi sembra tutto già detto, e meglio, in passato. Mi riferisco al rock in generale, non solo all’HM. Il periodo che ho maggiormente amato va dal 1968 al 1980, ovvero dalla nascita del progressive e dell’hard rock al “rinascimento” della NWOBHM. I miei idoli risalgono soprattutto all’anno 1970 e dintorni. Oltre alle formazioni heavy che citavo in apertura: Emerson, Lake & Palmer, Van Der Graaf, Jethro Tull, King Crimson, High Tide, Black Widow, Quatermass, Spring, Dr.Z, tanto per citarne alcuni, ma non è giusto stilare graduatorie fra gruppi così diversi e di inestimabile potenziale, che tante emozioni hanno saputo offrire ai loro cultori.

Adesso Beppe ti chiedo un ulteriore sforzo: forniscimi a tuo parere i dieci più grandi dischi di sempre dell’HM.

– Non mi piacciono le classifiche, tendono a schematizzare in modo troppo semplicistico; inoltre bisognerebbe intendersi sul concetto di “heavy metal”, che è soggetto a molte interpretazioni. Posso dirti che a mio avviso ci sono due formazioni che incarnano perfettamente i termini che compongono questa “etichetta” immortale quanto controversa; Black Sabbath sono la formazione HEAVY per antonomasia, Judas Priest rappresentano idealmente il METAL. In assenza dei Sabs, i Judas Priest riuniti ad Halford sono tornati ad essere i migliori con il nuovo, esplosivo album “Angel Of Retribution”. Non avrei mai immaginato che potessero riproporsi a tali livelli.

Poi c’è quel lungo brano dedicato a “Loch Ness”, che per me è un’apoteosi. Com’era possibile che finora nessuna HM band, avesse pensato di consacrare un pezzo ad una delle leggende più intriganti del secolo scorso? Per fortuna ci hanno pensato i Priest, ed il risultato é letteralmente grandioso! Fra le formazioni di heavy metal più importanti, ritengo fondamentali Iron Maiden, Motorhead, i Queensryche fino a “Empire”, i Metallica fino al black album, i Manowar fino a “Fighting The World; non considero in questo contesto i classici Aerosmith ed i Guns N’Roses, ma credo siano stati fra i più grandi gruppi del loro tempo.

 

Saxon

 

Dammi ora un giudizio sui seguenti gruppi storici:

– Sarò telegrafico, perché in questi casi si rischiano commenti logorroici che rischiano di mettere a dura prova la buona volontà dei lettori.

SAXON: per me sono soprattutto legati al boom della NWOBHM, che hanno contrassegnato con i loro classici “Wheels Of Steel” e “Strong Arm Of The Law”. Certi tentativi di commercializzazione in stile americano non facevano proprio per loro.

EXCITER: ricordo il furore di “Heavy Metal Maniac”, fra i primi esempi di minaccioso thrash-metal, ma anche un progressivo decadimento dopo le promesse iniziali.

ANVIL: i primi tre albums, culminanti nell’eccellente “Forged In Fire” erano esplosivi, ed il brano “Mothra” resta un classico HM.

RUNNING WILD: spesso molto abili nel comporre pezzi trascinanti, ideali per headbangers, ma non sono mai stato un entusiasta dell’HM tedesco, ad eccezione dei pionieri Scorpions ed Accept.

VIRGIN STEELE: Degni del confronto con i Manowar per il titolo di pesi massimi epic-metal, e capaci di dare notevole continuità e dignità alla loro opera, proseguita a livelli apprezzabili nel corso degli anni. Dave DeFeis ha lasciato un segno come brillante vocalist, e per me “Noble Savage” resta il loro disco par excellence.

MYTHRA: una meteora della NWOBHM con il leggendario EP “Death And Destiny”, che fu fra i più acclamati dell’epoca.

THOR: fondamentalmente il suo stesso personaggio è stato una parodia dell’HM, ma alcuni brani, ad esempio “Let The Blood Run Red” e “Thunder On The Tundra” ben riflettevano, con una certa dose d’humour, gli eccessi del genere in questione.

MOTORHEAD: un gruppo assolutamente basilare, che ha saputo rappresentare l’anello di congiunzione fra certo hard psichedelico underground dei ’70, il punk ed il metal, aprendo la strada alle forme metalliche più estreme, ma con una personalità nettamente superiore. Lemmy è un’icona inossidabile dell’HM.

WHITESNAKE: molto meglio, specie analizzando a posteriori, i primi Whitesnake a metà strada fra blues ed HR, con Lord e Paice a fianco di Coverdale, che la formazione di superstars di “1987” e del superprodotto “Slip Of The Tongue” (all’epoca mi piacque, lo so, si può anche sbagliare).

MANOWAR: Confermo: i numeri uno dell’epic-metal anni ’80, nonostante Virgin Steele e Warlord, anche per continuità di lavori ad alto livello.

BATTLEAXE: a suo tempo mi scrissero e la loro convinzione mi spinse ad incoraggiarne l’ascolto, ma sinceramente non hanno mai fatto parte della first division inglese.

 

Quali sono stati secondo te i gruppi italiani che avrebbero meritato più successo ed invece quelli che in qualche modo furono sopravvalutati?

– Riferendomi sempre alla scena degli anni ’80, non credo che ci fossero autentici casi di sopravvalutazione, perché i gruppi che ottennero un seppur limitato successo se lo sudarono. Ricordo con piacere soprattutto i prime-movers del metal italiano: Strana Officina, Vanadium, Death SS, Paul Chain, Crying Steel, Sabotage, Vanexa, ed anche Elektradrive, Gow, Revenge, Danger Zone, The Black ed Astaroth. Alcuni hanno avuto un po’ più fortuna, altri l’avrebbero meritata, peccato che nessuno sia esploso a livello internazionale: l’ho sempre sperato, vanamente. Come capiterà in seguito, ci sarebbero volute labels straniere disposte a puntare decisamente su di loro.

 

Rockerilla, Manowar

Amarcord

A distanza di tanti anni penso che tu possa divulgare quanto hanno venduto rispettivamente i supplementi a Rockerilla Hard’n’Heavy numero 0, 1 e 2. Questo non per mera curiosità sui numeri ma per capire quanti metallari ci fossero in quegli anni in Italia.

– Del tutto sinceramente non lo so, nessuna redazione mi ha mai fornito dati precisi di vendita. So solo che tutti rimasero impressionati dalla quantità di copie vendute rispetto alla tiratura; ho sentito parlare di circa 10.000, con una distribuzione non di molto superiore, mentre solitamente le riviste si vendono meglio quando il numero di copie distribuite è tale da coprire ampiamente il territorio.

Quali sono i concerti memorabili ai quali hai partecipato il qualità di spettatore?

– Innumerevoli; è stato particolarmente emozionante vedere per la prima volta dal vivo vecchi eroi come Black Sabbath, Ozzy Osbourne, EL&P, Led Zeppelin, Deep Purple, Judas Priest, etc. Ho un ricordo particolare anche del primo show di Iron Maiden in Italia, da supporto ai Kiss al Vigorelli; su Rockerilla, li avevo presentati come gruppo di maggior avvenire della NWOBHM, ed andarono pure in copertina. In qualche modo, mi sentivo a mia volta sotto esame! Inoltre, voglio dedicare una pensiero anche al 1° Festival HM Italiano di Certaldo (FI). C’erano quasi tutti i gruppi storici, che avevamo trattato sulla rivista, ed anche quello era un banco di prova. Vennero da ogni parte d’Italia anche i fan più accesi, molti dei quali erano già in contatto fra loro. Fu un momento d’incontro memorabile, ho parlato con un gran numero di appassionati in quella circostanza.

Hai conosciuto di persona tanti musicisti metal negli anni Ottanta. Sicuramente avrai avuto qualche delusione mentre in altri casi hai dovuto rivedere la tue posizioni. Vuoi parlarne?

– E’ una domanda che mi è già stata fatta, quindi devo ripetermi (in tema di pionieri heavy) su Gillan e Iommi, che mi sono parsi delle persone molto mature e disponibili, a dispetto della popolarità, mentre non mi fece una buona impressione Plant (che stimo moltissimo come vocalist) per il suo rifiuto nel rispondere a domande che non condivideva. Siccome mi chiedi di metal ’80, aggiungo qualche considerazione “esclusiva” per i tuoi lettori: Paul DiAnno fu molto contento di esser intervistato quando i Maiden vennero per la prima volta in Italia e Rockerilla era l’unica rivista disposta ad occuparsene, ma già nel secondo tour (con i More da supporto) si negava per un’intervista esclusiva, dopo i primi successi…Bella riconoscenza!

Lo stesso Halford in un’occasione fu piuttosto sgradevole, ma all’epoca dei Fight, ed anche in questo caso eravamo in pochi alla conferenza stampa, probabilmente era contrariato perché si attendeva maggior interesse. King Diamond era molto preparato in materia “satanica”, in ogni caso mi è parso una persona d’intelligenza superiore alla media, e ben lontano dalle tendenze maniacali di certi suoi epigoni. Infine, posso aggiungere che Joey De Maio si mostrò davvero riconoscente con me, e furono cordiali anche Hammett ed Hetfield, ai tempi di “Master Of Puppets”. Citazione conclusiva per un gran personaggio, reale come appare: Lemmy.

Se non erro hai anche fatto parte del manipolo di giornalisti che diedero vita alla rivista Thunder, tentativo poi presto naufragato. Puoi dirmi qualcosa di più a riguardo?

– Onestamente non c’entravo niente con quel progetto, ideato da ex-redattori di HM ed Hard, con l’intento (anche astuto) di raccogliere una formazione all-star, se mi concedete il termine, della critica metal. Thunder era partito con grosse ambizioni e notevole spiegamento di forze (pubblicità sulle reti Mediaset ed altro…). Allora ero tornato su Rockerilla, abbandonando Metal Shock, ma mi interessava scrivere ancora su una rivista metallica, speravo di poter rivivere certi gratificanti momenti del passato. Fin da subito non mi è però piaciuta la veste grafica, troppo vistosa e giovanilistica –da sempre prediligo un’impostazione grafica più raffinata, simile alla rivista inglese Classic Rock, ma in Italia non s’è mai visto nulla del genere- e lo feci presente. Un redattore mi rispose risentito che dovevo sentirmi onorato di collaborare ad una rivista del genere, e naturalmente mi sono subito girate…Probabilmente non è un caso che Thunder sia durata così poco, nonostante i fieri propositi: io avevo già lasciato da qualche tempo.

All’inizio della tua carriera non hai mai sognato di poter vivere un giorno di giornalismo musicale? In fondo si era agli inizi del fenomeno HM quindi con ancora tutto un mondo da scoprire da lì in poi…

– Hai ragione, si poteva anche pensare che il sogno si avverasse…Ma non me la sono mai sentita di abbandonare la mia professione per diventare un giornalista rock a tempo pieno. Credo di aver fatto bene, anche se mi resta un certo rimpianto, perché non è possibile vivere in Italia trattando esclusivamente rock di un certo tipo, non commerciale. Non mi vedrei proprio, con i miei attuali 48 anni, a sbarcare il lunario facendo articoli sulle Vibrazioni, o su altri gruppi trendy che non mi interessano proprio.

Nel periodo post Metal Shock ti è mai stata fatta qualche interessante proposta di collaborazione da parte di qualche grosso magazine italiano specializzato?

– Ma quali sono i grossi magazine italiani specializzati? Sinceramente non li conosco. Comunque la risposta è no. Se vuoi “raccomandarmi” tu, mi fa piacere! Devo dirti che non mi sono mai proposto a nessuna testata, quelle poche con cui ho collaborato mi hanno cercato. Non è un buon metodo per farsi conoscere, ma io sono fatto così, ed ormai il tempo non è più dalla mia parte. Anche i generi musicali che mi piacciono non fanno più tendenza.

 

Beppe Riva

 

Beppe Riva oggi

Forniscimi il tuo pensiero spassionato sulla situazione dell’editoria HM in Italia sia su web che su carta stampata.

– Non mi va di mettermi su un pulpito ed emettere sentenze…Comunque ho visitato alcuni siti internet dedicati al metal (in qualche caso sono stato intervistato) e li ho trovati ben curati a livello grafico, talvolta persino scenografici. Il contenuto è difforme, dipende da chi scrive; ovviamente alcuni recensori sono più efficaci di altri. Essendo un veterano, io non mi troverei a mio agio in ambito “virtuale”; mi piace leggere e sfogliare la vecchia carta stampata, così come non rinuncerei mai al disco da collezionare per un mp3 o come diavolo si chiama…Il male della stampa metal italiana risiede generalmente negli editori; sono loro che si disinteressano della qualità pur di avere dei risultati a basso costo, mescolando collaboratori di buon valore con altri privi di competenza. Mi pare che molti appassionati metal lamentino il decadimento di alcune loro testate preferite. Colgo l’occasione per ringraziare Gianni Della Cioppa e Klaus Byron, che più volte hanno avuto la cortesia di sottolineare il mio contributo alla causa.

Che musica sente oggi Beppe Riva?

– Cerco di ascoltare numerose novità, heavy metal compreso, ma ben poco mi entusiasma. C’è una bella differenza fra uno standard accettabile ed un livello d’eccellenza. A quest’ultimo giungono davvero in pochi. Talvolta cerco di esser generoso nelle valutazioni perché poi mi ritrovo nella colonna a fianco la recensione di un album che fa schifo, ma ha ricevuto più “stellette” di quello di cui mi sono occupato. E’ incredibile la quantità di “montature” propinate oggi dalla cosiddetta stampa specializzata. Personalmente preferisco di gran lunga ricercare rarità underground e ristampe di classic rock per aumentare la mia cultura in materia.

Alla luce del tuo passaggio dall’HM più tradizionale a sonorità legate allo Stoner Rock, secondo te l’heavy metal in tutte le sue sfaccettature ha già detto tutto quello che doveva dire? Pensi che non ci sia più niente da inventare?

– Non è questione di heavy metal, non vedo come si possa sostenere che il rock stia progredendo; è vero il contrario, sta regredendo. I critici trendy possono dire quello che vogliono ed abbindolare il pubblico inesperto, anche perché devono inventare qualcosa per tirare a campare e compiacere le case discografiche. Negli anni ’90 ho molto sostenuto lo stoner rock ed il doom, perché mi ricordavano lo spirito underground di fine anni ’60-inizio anni ’70, l’hard psichedelico ed i Black Sabbath. Ora però il movimento non esiste più, ma sono rimasti alcuni ottimi gruppi.

Mi sono allontanato dall’heavy metal, quando ero per molti un punto di riferimento, per esser onesto con me stesso e verso i lettori. All’inizio degli anni ’90 sono emerse troppe formazioni DERIVATIVE, che plagiavano i maestri del decennio precedente e non mi piacevano proprio. Si, penso che l’heavy metal classico non andrà oltre i vertici già raggiunti, ma questo non significa che sia proibito scovare nuove formazioni intriganti, come i canadesi 3 Inches Of Blood. Per quanto riguarda l’”inventare” è meglio lasciar perdere, non mi sembra una qualità diffusa nel rock del Terzo Millennio.

Segui ancora l’evoluzione dell’HM ? Cosa pensi di generi come il Death Metal ed il Black Metal?

– Certo che la seguo, ma il death ed il black metal risalgono ormai a tanti anni fa. Più che il tipico death mi piaceva il genere di confine con il doom, soprattutto primi Paradise Lost, My Dying Bride, Anathema e soprattutto Cathedral, ancor di più quando hanno eliminato le grottesche voci gutturali. Per quanto riguarda il black, ho scritto spesso molto bene di Emperor, Darkthrone, Cradle Of Filth e Dimmu Borgir, cercando però di presentarli come l’equivalente metal di un film horror; sono contrario a messaggi satanici.

Hai mai nostalgia dei favolosi anni della NWOBHM? (io si, tantissimo!) Vorrei sapere il tuo pensiero relativamente a una interessante dichiarazione di Lemmy in un’intervista su Metal Hammer che più o meno recitava così: secondo lui se i Motorhead fossero nati nell’epoca attuale non sarebbero riusciti a sopravvivere per i seguenti motivi. Nell’era del digitale, di internet e delle parabole sui tetti la componente magica ed oscura dell’estetica HM non esiste più; l’alone di mistero sulle varie band e i loro componenti poteva essere solo infranto dalle scarse note di retrocopertina sugli Lp, le foto dei gruppi erano pochissime e sempre quelle, le interviste rarissime e di difficile reperibilità e così via. In qualità di metallaro ricordo le attese spasmodiche all’uscita dell’edicola per Rockerilla, i primi contatti per tape trading, quando la durata media di un disco in vinile si aggirava intorno ai sei mesi e tanti altri particolari di questo tipo.

– Sicuramente ho nostalgia di quegli anni, perché sono stati ricchi di passione e di ricerca nei confronti della musica che sostenevo, inoltre sono stati fra i più gratificanti per me, a livello personale. Il fatto stesso che tu hai voluto interpellarmi in merito dimostra che ho lasciato una traccia tangibile. Per quanto riguarda l’affermazione di Lemmy, ho già detto che è un personaggio speciale (non dimentichiamo che proviene dalla scena under hard e psych, da Sam Gopal agli Hawkwind), e condivido il suo pensiero che hai riportato. Ritengo inoltre che stiamo vivendo un periodo di crisi economica che sicuramente si ripercuote anche sulla sopravvivenza del rock anti-commerciale.

Dopo tanti anni di fruitore di musica la tua “fame” si è ridimensionata oppure ha assunto forme diverse? Hai mai avuto dei periodi di “stanca” (inteso come affievolimento dell’interesse) nella tua carriera?

– Non si è ridimensionata, ma è più “controllata”; non mi getto a capofitto su svariati dischi come un tempo, anche perché non ho più spazio per archiviarli, dunque devo effettuare scelte oculate, senza sprechi. La stanchezza non deriva dall’ascolto di musica rock, che è sempre un piacere, quanto dal “dovere” di scrivere ad ogni ora (extra-lavorativa!) a ritmi piuttosto serrati. Mi sono già fermato per circa un anno, a fine 2003; probabilmente dovrò prendere a breve una decisione definitiva, perché le motivazioni non sono più le stesse di 25 anni fa! Ed effettivamente non sono riuscito ad accedere ad un ruolo significativo nell’ambito dell’editoria musicale, forse anche perché l’ho frequentata molto part-time. Spero di lasciar un buono ricordo, di persona libera e capace.

Ultimo pensiero: aggiungi tu quello che vuoi…

– Mi sembra di aver detto molto: è la terza serata consecutiva che concludo sulla tua intervista! Però ricordo sempre con piacere la stima e la simpatia di molti cultori metal nei miei confronti, e mi sembra doveroso sdebitarmi con loro, anche attraverso un “portale” seguito come il tuo. Se il mio nome ha goduto di un po’ di notorietà ed ho avuto qualche soddisfazione in questa “carriera” (come la chiami tu), lo devo in buona parte ai fan heavy metal. Probabilmente ho scritto dei loro gruppi preferiti nei termini che speravano. Ti ringrazio sinceramente della grande attenzione che hai manifestato nei miei confronti…Auguro a te ed ai collaboratori di True Metal di tener viva la fiamma della vostra fede musicale.

Dormi sonni tranquilli caro Beppe, noi non molliamo!.

Grazie infinite per la disponibilità e la collaborazione.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

 

 

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