Report: Frozen Rock Open Air, 14/07/07 Marcon (Ve)

Di Nicola Furlan - 16 Luglio 2007 - 18:57
Report: Frozen Rock Open Air, 14/07/07 Marcon (Ve)

14 luglio 2007, Frozen Rock Open Air: Meshuggah, Lacuna Coil, My Dying Bride, Brutal Truth, Entombed, Schizo, Disillusion, Natron

E’ stato un discreto Frozen Rock Open Air quello dell’edizione 2007. Organizzazione, location e bill hanno convinto sotto tutti ipunti di vista. Due parole per un’analisi sintetica.
Organizzazione e location: sono stati predisposti diversi chioschi, gestiti dallo staff (numeroso) cordiale ed celere nel servire cibo e bevande, tra l’altro, a prezzi decisamente concorrenziali, soprattutto se rapportati alla buona qualità. Non ultimo un grande tendone proprio in mezzo al prato che ha garantito ai presenti l’ombra necessaria per il relax pre e post concerto. Il bill ha fatto il resto: a certezze come My Dying Bride e Meshuggah si contrappongono gli storici Schizo e Brutal Truth, passando per qualche piacevole conferma di cui parleremo fra poco. Un festival a misura d’uomo che ha regalato, ai presenti, una giornata da ricordare.

NATRON

I primi a salire sul palco sono i baresi Natron, death metal band che orienta il proprio credo tra brani dalla struttura articolata e potenti riffing brutal oriented. Autori già di quattro studio album i nostrani investono il tempo a disposizione dispensando potenza e groove a volontà. La band riesce a convincere, in particolare l’axeman Domenico ed il drummer Max dimostrano grande presenza scenica addizionata ad una capacità di eseguire brani di una certa colplessità con naturalezza. Altra buona prova quella del cantante Mike che, tra il growl possente e l’isterica rabbia dei movimenti,
“riscalda” le prime file. Insomma dopo quattro full-length in carriera e prestazioni come questa la band può davvero aspirare a posizioni di scaletta più ambiziose nei prossimi importanti show nostrani ed internazionali.
Promossi.

DISILLUSION

C’era curiosità dietro la prestazione on-stage del combo germanico che, dopo l’esser passati dagli esordi melodic death di “Back to Times of Splendor” agli ultimi tocchi progressive con “Gloria” del 2006, deve ora esser in grado di convincere una sempre più crescente folla che comincia a soffrire il battere del sole del primo pomeriggio. Qualche difficoltà a digerire la proposta c’è stata. Due sono i motivi. Il primo flop è da additare a colui che ha operato dietro il mixer in quanto l’unico fattore acustico vincente e mantenutosi costante è stata la voce di Andy “Vurtox” Schmidt, dimostratosi peraltro capace su ogni pezzo di setlist.
Piacevole anche l’esibizione al basso di Alla Fedynitch (ex-Pain ed Enemy of the Sun) che, ben risoluta nell’incedere ritmico, ha fatto vedere di sè un lato professionale ed esperto. I brani sono estrapolati da entrambi i full-length, ma ben quattro saranno quelli pescati da “Gloria” e questo è il secondo punto debole. Forse data la giornata e l’ora le song sono apparse un pò pesanti e di difficile digestione. La band ha tuttavia svelato un’abilità nel passare da proposte complesse ad altre di presa più rapida. Mi sono allontanato dal pit leggermente insoddisfatto, però con la curiosità di approfondire i loro lavori in studio per una verifica di queste mie prime impressioni a caldo.

SCHIZO

Qui si incomincia a ragionare. Insieme ai Brutal Truth ed agli headliner, gli Schizo sono risultati i migliori. I meridionali hanno come si suol dire “spaccato alla grande”, avvicinando a loro i presenti che in men che non si dica si sono radunati sotto il palco per seguirli. Dico bravi davvero. Cattivi con classe e senza eccessi nell’atteggiamento hanno saputo dimostrare il loro valore e la loro sfrontatezza senza però dare idea di presunzione o arroganza. Dei veri extreme rockers che Scarlet ha avuto la brillante idea di supportare e che di certo non falliranno. Accurso si presenta con passamontagna per urlare tutta la rabbia al Mondocane, Casabona dietro le pelli è un continuo richiamo alle sincere battute, quelle old style che lasciano il segno, mentre colpiscono per stile (e che stile) gli storici Alberto Penzin e Reder, quasi statici nella loro performance, ma abili nell’affrontare con piccole smorfie di pura arte i momenti focali di ogni brano. Davvero una piacevolissima presenza che ripaga già da sola e quasi totalmente il prezzo del biglietto. Da vedere a scatola chiusa se capitano dalle vostre parti.

ENTOMBED

Quando si parla di death metal svedese la prima cosa che la memoria ripesca è il nome degli Entombed. Storica band di Stoccolma che ha delineato nel corso del tempo un background musicale dai più imitato ed invidiato. Quando si parla di album come il seminale “Left Hand Path” o “Clandestine” non può non nascere la voglia di gettarsi nel circle pit per far rivivere il modus vivendi di quei primi periodi svedesi. Da Petrov e compagni io mi aspettavo tanto, forse troppo. Questa occasione non ha rappresentato qualcosa di diverso, sono partito con quella voglia di vedere qualcosa di grande. Ed è per questo che non mi hanno particolarmente convinto. Una conferma di ciò ha risieduto proprio nell’atteggiamento del pubblico che per la maggior parte dello show è rimasto fermo in una condizione di indeterminatezza. Forse solo al passaggio del masterpiece Left Hand Path qualcosa si è mossa come si deve, ma in sintesi il risultato complessivo mi lascia pensare che sia stato più un istinto condizionato che altro. Tutti un pò fermi là sopra con l’unica eccezione per Petrov sofferente però a fine di ogni canzone con i suoi stanchi tentativi di far interagire il pubblico. Convincono pochissimo anche Carnage e When in Sodom e, alla fine, la sensazione che resta è quella di una band in calo. Ottimi, in ogni caso, i suoni. Speriamo comunque di poter rivedere la critica alla prossima occasione augurandoci che la validità del famigerato detto “sbagliare è umano, perseverare è diabolico” sia applicabile solo alla prima affermazione.

BRUTAL TRUTH

Non finirò mai di ripetere che, per il sottoscritto, l’ex-Anthrax, ex-Stormtroopers of Death, ex-Holy Moses e Nuclear Assault (per citarne alcuni) mr. Danny Lilker incarna l’essenza dell’artista che come nessun altro ha saputo mescolare l’hardcore a qualunque forma di musica. Lo ha fatto con i Nuclear Assault, con la creatura S.O.D., lo ha plasmato a grind nei due masterpiece inimitabili del genere come “Extreme Conditions Demand Extreme Responses” e “Need To Control”. Se a questo si va ad aggiungere una spontaneità on-stage rimasta immutata negli anni ed un’immagine pari pari agli esordi allora ti si concretizza davanti agli occhi la storia. I Brutal Truth sono stati grandiosi, non credo sia stata solo una mia impressione. Un massacro sonoro incessante dalla prima all’ultima canzone ha visto i quattro newyorkesi erigersi ad artefici di un concerto da annoverarsi tra i migliori in giornata piuttosto che tra quelli di punta da gennaio ad oggi. Come ha risposto il pubblico? Vi dico solo che era meglio lasciare quei 10 metri di raggio sotto le transenne belli liberi onde evitare la violenza dei posseduti. Uno spettacolo Rich Hoak alle pelli, invasato da orgasmi multipli ad ogni rullata, su ogni blast, dopo ogni break, altrettanto grandioso Kevin Sharpe al microfono. Il suo ruggire ha montato nei presenti massice dosi di rabbia contro il mondo. Indescrivibile Lilker. Poche parole e molti fatti per un concerto di pura qualità che non si dimenticherà facilmente. Promossi con lode.

MY DYING BRIDE

E’ il turno degli inglesi My Dying Bride. L’ora non viene molto incontro a ciò che si andrà a vedere. I loro ricami musicali così romantici e decadenti meriterebbero ben altre congiunture per essere vissuti in tutte le sfaccettature. Ci si è messa poi una acustica per niente favorevole a rendere impervio il cammino delle loro note oscure. Se è vero che nelle difficoltà si trova la forza per reagire allora i My Dying Bride possono permettersi di insegnare qualcosa ed in particolare colui che ha rappresentato la qualità incommensurabile dei doomster di Yorkshire è stato Aaron Stainthorpe. Il cantante ha vissuto ogni canzone, si è commosso, ha realmente singhiozzato sulle note di The Cry of Mankind, ha interpretatogestualmente con una teatralità mistica ogni brano, da quelli più romantici e tristi come Thy Raven Wings fino a quelli maggiormente oscuri ed epici di fine anni novanta, She Is The Dark su tutte. Maestosi e bui, espressivi e perfetti: una prestazione con la P maiuscola che ha avuto anche la forza di distogliere la percezione di suoni (come già detto) alquanto approssimativi.
E’ difficile trovare parole per cercare di trasmettere la loro bravura e per questo prefersico non rischiare di dire qualcosa che trasli ad una critica “materiale” quello che invece ritengo sia stata una prova di assoluta poesia…oscura, certo.

Setlist:
To Remain Tombless
Catherine Blake
My Hope, The Destroyer
The Blue Lotus
The Cry of Mankind
Thy Raven Wings
She Is The Dark
The Dreadful Hours
The Forever People

MESHUGGAH

Parlavo con una persona in merito all’esibizione di ieri sera della granitica post-thrash band svedese Meshuggah. La metafora che ne è scaturita e che sembra dare, così a prima battuta, un’idea del concerto tenutosi in quel di Marcon è la seguente: “una montagna che ti frana in testa“. Tanta infatti è stata la potenza che l’amplificazione ha emesso pescando direttamente dal tocco attitudinale che i cinque di Umeå hanno saputo trasmettere agli strumenti. Non è nemmeno molto difficile intuire che, parlando di nomi del calibro di Tomas Haake o Fredrik Thordendal oltre che di composizioni nate per distruggere, da questi show ci si debba aspettare qualcosa di indimenticabile. E così è stato. Sarò particolarmente legato a “Nothing”, però lasciatemi dire che due capolavori come Stengah e Rational Gaze hanno lasciato cicatrici visibili per quanto hanno saputo colpire con puntuale veemenza la folla più numerosa di giornata. Le storpiature facciali cariche di rabbia di Jens Kidman si sposano di perfettamente alle granitiche raffiche ritmiche di canzoni come New Millennium Cyanide Christ piuttosto che Concatenation. Per finire ci si è goduti Future Breed Machine che, così come aveva aperto la strada del successo (oramai parliamo del lontano 1995) grazie a “Destroy Erase Improve”, fa da closer ad una rassegna pressochè eccellente.

Nicola “nik76” Furlan