Report: Kreator – 03/02/09, Milano
Milano è la roccaforte italiana dei Kreator, che tra festival e tour individuali non rinunciano mai alla tappa meneghina. A meno di un mese dall’uscita di Hordes of Chaos, album che ha evidenziato pregi e limiti di una formazione blasonata, il Rolling Stone apre i battenti per una serata all’insegna del thrash metal… e non solo. Al Chaos Over Europe tour partecipano anche Emergency Gate, Eluveitie e Caliban: un carrozzone variopinto, forse troppo per una platea d’irriducibili thrasher. Il pubblico non gradisce e si divide tra curiosi e indifferenti – la maggioranza – in attesa degli headliner; un monito per chi si ostina a “imporre” abbinamenti di dubbio gusto, che scontentano potenziali acquirenti e penalizzano le band di supporto.
Federico Mahmoud
Mancati per un soffio i bavaresi Emergency Gate (tagliati fuori da un running order discutibile), la cronaca della serata ha inizio con lo show di Eluveitie. Chi scrive non può definirsi appassionato, né tantomeno intenditore delle sonorità proposte dagli elvetici, ma ha ben chiara la differenza tra una band con gli attributi e un manipolo di onesti mestieranti. Il gruppo svizzero, otto elementi tra batteria, chitarre e strumenti della tradizione, rientra nella prima categoria. Incitati da un cordone di fan rumorosi, assiepati nelle prime file, gli Eluveitie sono protagonisti di un’esibizione applaudita e trascinante, per quanto limitata nelle movenze da un palcoscenico inadatto a cotanto “affollamento”. Tra i brani più acclamati come non citare Bloodstained Ground, archetipo di folk metal dalle tinte death, o la più catchy Inis Mona, dalle melodie ammiccanti e festose. Contro ogni pronostico, la banda di Chrigel Glanzmann vince lo scetticismo generale e si ritaglia uno spazio importante, guadagnando senza dubbio l’attenzione dei neofiti. Potranno piacere o meno, ma non passano certo inosservati.
“Siete peggio dei francesi”. Musica e parole di Andreas Dörner, voce dei Caliban, seccato dalla (prevedibile) freddezza del pubblico milanese. Tedeschi, di Essen proprio come i Kreator, ma le analogie finiscono qui: non ci voleva un mago per accorgersi che i Caliban, icone metalcore con gel da copertina e breakdown facili facili, non avrebbero funzionato come spalla. Specialmente in Italia. Il silenzio assordante dei presenti, rotto soltanto dall’entusiasmo di una sparuta minoranza, fa da cornice a uno show tutto sommato discreto, per quanto carente sul piano scenico; non basta un paio di led ipnotici per camuffare la staticità della band. Nulla da eccepire sotto il profilo squisitamente tecnico, sebbene il repertorio eseguito rinunci in partenza all’effetto sorpresa: uptempo – breakdown – uptempo, lo schema si ripete ciclicamente. Il gruppo si prodiga per accattivarsi le prime file, ma la civile indifferenza della platea – già proiettata all’esibizione degli headliner – suggerirà la “battuta” incriminata. Fuori posto.
Le care, vecchie abitudini. Chi segue i Kreator lo sa: la carriera del gruppo è costellata di alti e bassi, ma capitan Petrozza non ha mai abbandonato la nave. L’ebbrezza del concerto trasforma la band in una macchina da guerra, temibile per agonismo, chirurgica nelle staffilate. Un Rolling Stone finalmente gremito risponde con ardore alla chiamata di Hordes of Chaos (A Necrologue for the Elite), apripista dell’omonimo album. Il colpo d’occhio è suggestivo: alle spalle di Ventor campeggia un gigantesco telone, adibito a proiettare videoclip tematici; l’inedito taglio multimediale della scenografia esalta l’azione del quartetto. Warcurse risente di un guaio tecnico alla batteria, ma il pezzo ha tutte le carte in regola per legittimare il suo inserimento in scaletta. Destroy What Destroys You e Amok Run chiuderanno il valzer delle debuttanti, certificando la bontà di un platter – il dodicesimo – che dal vivo guadagna qualche punto. Extreme Aggression, prima hit di una lunga serie, fotografa una band in splendida forma: Petrozza e soci mordono l’aria. Seguiranno Pleasure to Kill (massacrante), People of the Lie, Coma of Souls e una straordinaria versione di Terrible Certainty, implacabile nonostante vent’anni sul groppone. Tra gli highlight della serata figurano anche Betrayer (condita da pregevoli duelli chitarristici) e l’inno Flag of Hate, proposto nel tradizionale medley con Tormentor. In mezzo qualche accenno al passato recente: da Phobia a Violent Revolution (salutata da un’ovazione), senza trascurare quella Enemy of God che mette a dura prova le assi del palcoscenico; si farebbe volentieri a meno di Voices of the Dead (le alternative non mancano, da Terror Zone a Radical Resistance), ma la scaletta è nel complesso equilibrata e riguardosa di tutti i palati. Se i riflettori sono tutti puntati su Petrozza, che ringhia e strepita come un indemoniato, merita un riconoscimento particolare il fido bombardiere Ventor, protagonista di Riot of Violence e motore inesauribile. Di Sami Yli-Sirniö, chitarrista preparato, è già nota la flemma glaciale.
Ai posteri la memoria di un concerto – l’ennesimo – che rinsalda il primato dei Kreator e sfida pubblicamente la concorrenza. Petrozza dorma sonni tranquilli: scalzarlo dal trono non sarà impresa facile.
Setlist:
Choir of the Damned
Hordes of Chaos
Warcurse
Extreme Aggression
Phobia
Voices of the Dead
Enemy of God
Destroy What Destroys You
Pleasure to Kill
People of the Lie
Coma of Souls
The Patriarch
Violent Revolution
Terrible Certainty
Betrayer
Amok Run
Riot of Violence
Flag of Hate
Tormentor