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Ronnie, Patria e Famiglia

Di Dwight Fry -
Ronnie, Patria e Famiglia

Qualcuno parla di musica per fighetti, qualcun altro dice che ci siamo imborghesiti. O rammolliti.
In un’amabile e stimolante chiacchierata tra fan del metallo è venuto fuori che il metal “ha messo la testa a posto, dopo una gioventù decisamente sopra le righe” e che oggi, nell’ambiente, “la soglia oltre la quale scatta la censura morale è molto, ma molto più bassa”.
Tutto questo è innegabile. Eviterò di illustrare la mia teoria sul perché e il percome, credo che risulterei interessante quanto una lezione di trigonometria a Ferragosto.

Dico solo che il fattore personale gioca un ruolo enorme: la censura morale ci sembra troppo bassa o troppo alta a seconda di quella che è mediamente la nostra soglia. Per dire: c’è chi si sorprende della campagna d’odio contro Phil Anselmo del 2016 e ridimensiona il tutto dicendo “mica ha ammazzato o fatto del male a qualcuno”, ma se la stessa cosa viene detta di Karl Logan (che in effetti non ha ammazzato o fatto del male a chicchessia, fino a prova contraria) è facile che l’interlocutore avverta una punta di fastidio. Anche più di una punta.

È di questa settimana la notizia che Bobby Liebling, storico leader dei doomsters Pentagram, è tornato a fare musica dopo aver passato svariati mesi in prigione per aver picchiato (cito) “una persona vulnerabile” (potrebbe essere chiunque, da una zia invalida a un nipote down, ma un po’ tutti ritengono si tratti dell’anziana madre).
Quelli che hanno sminuito gli sproloqui di Anselmo andrebbero a vedere Liebling? E quelli che hanno già condannato in cuor loro l’ex chitarrista dei Manowar?

Alla fine siamo solo fan del metallo e non è colpa nostra se alcuni individui sono fantastici musicisti ma pessime persone. Capita spesso, in ambito artistico. Quanti seguaci dell’Arte moderna si rifiuterebbero di recarsi a una mostra di Dalì o di Picasso in virtù della simpatia che quei due mostrarono nei riguardi di certi dittatori? Quante lettrici si rifiuterebbero di leggere i romanzi del sommo puttaniere (e infedele) Simenon?

Ognuno di noi ha la sua soglia e credo di poterlo dimostrare.
Ecco sei tesi da vecchio metallaro reazionario, me ne faccio interprete in virtù del tempo trascorso a interloquire con altri appassionati, o semplicemente leggendo le lamentele che appaiono di tanto in tanto nella rete, o magari perché in alcuni casi sono d’accordo con l’assunto di base: scommetto che qualcuno le riterrà ineccepibili, qualcun altro inaccettabili, qualcun altro concorderà su certi punti ma non su altri.
Allacciate le cinture, si torna negli anni Ottanta!
 

1) Meno microfoni, più uncinetti

Nel metal di oggi ci sono troppe donne. Difficile distinguerle perché cantano quasi tutte alla stessa maniera ma davvero, non se ne può più. Il minimo comune denominatore è costituito dai centimetri di pelle scoperta, per fortuna anche le metal-fan hanno capito che è impossibile prendere sul serio parecchie di ‘ste tizie: come fai a prendere sul serio una che punta quasi tutte le sue carte sull’aspetto estetico? Tra i metallari c’è anche chi ha superato i quindici anni e sa capire cosa si cela dietro il concetto di “marketing”, per cui o mi mostri cosa sai fare come artista o mi mostri quanto sei figa.
Si possono fare entrambe le cose? Certo, ma la musica non dovrebbe avere sempre la precedenza? La sostanza non dovrebbe avere la meglio sull’immagine?
I metallari di oggi sembrano le ragazzine che al tempo impazzivano per Joey Tempest. Erano ridicole quelle, figuriamoci i morti di figa attuali.

2) Meno social, più sudore

Una band, adesso, vince o non vince un concorso musicale grazie ai voti raccattati sui social. Gruppi e artisti costretti a raccogliere “like” tra parenti, amici, pubblico generico, quello che ieri guardava il Festivalbar e oggi ascolta Radio Deejay. E al microcosmo metal viene chiesto di credere a una realtà anti[t]etica come quella dei talent-show.
Dov’è andata a finire la meritocrazia? Non è possibile ridurre il talento musicale alla quantità di individui che ti segue su Facebook, sul Tubo o in TV e state attenti perché prestare così tanta attenzione ai numeri, pensare che tutto ruoti attorno ad essi, trasformerà pure voi in numeri.
Qualcuno, per cortesia, spieghi alle nuove leve che qua non siamo a Sanremo; per avere successo presso il pubblico metal non basta possedere un sacco di amici e cugini. La giuria popolare, nel metal, deve essere autenticamente popolare. E possibilmente di un popolo consapevole, con delle basi, non gli ultimi arrivati.
I social stanno distruggendo il concetto di “gavetta”; la corsa alla popolarità e l’esigenza di farsi notare sulle piattaforme virtuali stanno rubando tempo prezioso ai ragazzi, i quali potrebbero utilizzarlo per scrivere buona musica.
Bisogna sbattersi e proporre qualcosa di valido, altrimenti si torna in cantina. Non propinateci la prima canzone decente che avete scritto ricorrendo a quintalate di basi e plug-in sintetizzati.
Dimostrateci di saper riprodurre quel pezzo, che non siete dei banali assemblatori (essere “compositori” è un’altra cosa, fatevene una ragione), oppure tornate semplici fan di questa musica e ricordate che il metal va avanti soprattutto grazie a chi lo vive con passione, non importa se al di qua o al di là di un palco.

3) Più visuale, meno telefonini

Un giorno qualcuno creerà degli smartphone con parafulmine incorporato e in un solo Wacken ci giocheremo diecimila poser. Basterà attendere il primo temporale. Speriamo che la scienza progredisca in fretta su quel fronte, nel caso possiamo organizzare una raccolta fondi su BuonaCausa.org (esiste davvero, n.d.a.).
Non giriamoci attorno: avete rotto i coglioni, voi e i vostri cellulari da fighetti. Alzate le braccia, ci sentite sbuffare, vi girate e precisate che “Tranquillo, faccio un paio di filmati e basta”.
E alla fine, invece, vien fuori “La corazzata Kotiomkin” (diciotto bobine).
Una volta ci si piazzava in prima fila per vedere meglio i propri idoli, non per filmarli. “Guardate come sono figo, avevo Tom Araya a tre metri”.
Oggi Tom Araya nemmeno ti scorge perché hai un cazzo di cellulare o l’iPad che ti copre la faccia e ai suoi, di occhi, tu sembri un tale del programma di protezione testimoni. E mentre pensi a quanto sarà figo caricare su YouTube il video dell’intero concerto, perdi il concerto.

4) Meno privilegi, più equilibrio

Il biglietto costa appena venti euro. Ovvio. Perché guarderai il concerto dal lato estremo di un palazzetto dello sport e avrai davanti agli occhi un pilone di cemento che nonostante le tue proteste non vorrà saperne di spostarsi.
Il biglietto costa tra i 30 e i 60 euro? Biglietto ordinario, concerto-base.
Il biglietto costa molto di più? Allora hai preso il pacchetto VIP, l’ultima stronzata inventata dal music-business per uccidere il metal, o quel che ne resta. Probabilmente nella vita di tutti i giorni sei uno sfigato ma per una volta vuoi sentirti una Persona Veramente Importante e ti vendi il sangue, o chiedi i soldi a papà, per ottenere quella che i piccoli aiutanti di Satana, cioè i promoter delle multinazionali, chiamano “commodity”: servizi igienici più igienici, punti ristoro più ristoratori. Cioè quello che andrebbe offerto, di base, a chiunque. E invece no: da un lato i metallari di serie A, dall’altro i metallari di serie B.
Comprate quella merda, bravi. Prima o poi potrete parafrasare Niemöller e dire:
Un giorno la musica fu solo per i ricchi, ma non c’era rimasto nessuno a protestare”.

5) Meno innovazioni forzate, più consapevolezza

Non è tanto una questione di altre sonorità. Va bene arricchirlo, il metal. Se rimane metal. Ma qui si esagera. Tra tonnellate di strumenti “altri”, di pseudo sinfonie d’accatto e di gorgheggi lirici per dimostrare che anche noi possiamo cantare come gli XXXL dell’Opera, ormai le chitarre elettriche non si sentono quasi più. E se ci sono le chitarre elettriche, ecco arrivare la vocina sottile sottile di una bimbetta giapponese che reclama della cioccolata. A questo ci siamo ridotti.
La cosa assurda è che la gran parte dei metallari va dietro a tutte queste innovazioni e blatera di “inevitabile progresso, il metal non può rimanere ancorato sempre agli stessi suoni, sai che palle se fossimo rimasti agli anni Ottanta e Novanta” ma poi ti rendi conto che questa gente, vecchia o giovane, di anni Ottanta e Novanta non sa o non rammenta nulla. Vogliono cose nuove ma non conoscono le vecchie, se non per via di qualche pezzo carpito chissà dove, o di antichi ricordi di gioventù.
Poi un giorno le fai presente che invece di ascoltare soltanto gruppi “cool” sarebbe anche il caso di conoscere bene chi ha già dato molto al mondo metal senza raccogliere nulla, tipo loro. Oppure loro, che a quanto pare tutti conoscono e pochi seguono. Ma ci si è impigriti atrocemente e oggi si va in cerca di qualche pezzo random che verrà ascoltato in maniera distratta, con svogliatezza, laddove una volta ci si prendeva il proprio tempo, il tempo da dedicare alla musica.
Il tempo più bello e prezioso del mondo.

6) Meno anime pie, più anime nere

Oggi i giovani non vogliono fare movimento, se ne stanno sempre chiusi in casa con la faccia sullo smartphone. Dove sono andati a finire i bei tempi delle gite all’aria aperta, quando i valori del metallo ci spingevano a brandire coltelli e a correre nei parchi in cerca di omosessuali inermi, o a vagare nei cimiteri a imbrattare lapidi? Noi sì che avevamo un corpicino bello asciutto.
I millennials non sanno imbracciare nemmeno un misero fucile, non conoscono la gioia di sparare alla prima cosa che respira, renna o prete che sia, né il senso di attesa per la pistola che hai ordinato al negozio.
Eppure era una vita semplice, quella di una volta, fatta di piccole cose; bastavano una birra, un pentacolo fatto male, una musicassetta dei Venom e il cranio spappolato di un amico, a renderti felice. Abbiamo complicato tutto. Oggi nessuno trova romantica l’idea di arrostire al barbecue qualcosa, renna o prete che sia, alla tenue luce di una chiesa in fiamme; o registrare un album nel chiuso di un armadio fatto con vero abete norvegese.
Dove andremo a finire? Ancora un po’ e diventeremo gay, vegetariani e magari titolari di una linea di abbigliamento: riuscite a immaginare qualcosa di peggio?