Rustfield (Andrea Rampa e Davide Ronfetto)

Di Fabio Vellata - 21 Marzo 2014 - 20:17
Rustfield (Andrea Rampa e Davide Ronfetto)

 

Intervista a cura di Roberto Gelmi e Fabio Vellata

Ciao ragazzi e benvenuti sulle nostre pagine, è un piacere poter fare la vostra conoscenza in questa intervista per www.Truemetal.it

Ciao, il piacere di essere sulle pagine di TrueMetal è tutto nostro!

Anzitutto, con quali gruppi siete cresciuti e qual è stato il vostro percorso di formazione musicale?

[Andrea] Diciamo che sono cresciuto ascoltando la musica che ascoltava mio padre, rock e progressive rock degli anni 70 e 80. Gruppi come Pink Floyd, The Moody Blues, Jethro Tull e King Crimson per quanto riguarda il progressive, mentre Dire Straits e John Denver nel rock in generale. Diciamo che mi sono appassionato a questo genere di musica senza nemmeno rendermene conto, semplicemente ci sono cresciuto dentro! Dopodiché, quando più o meno avevo quindici anni, ho iniziato ad ascoltare heavy metal e, dato che al tempo ero drammaticamente preso del fantasy, mi sono subito innamorato dei Rhapsody e dei Blind Guardian! Poi ho cominciato ad espandere i miei ascolti nel power melodic in generale: Helloween, Gamma Ray, Stratovarius, Sonata Arctica. Poi, un giorno mio zio mi ha fatto ascoltare Images and Words dei Dream Theater… Confesso che all´inizio non l´ho digerito ma, concedendogli numerosi ascolti, me ne sono innamorato ed ho cominciato ad interessarmi di progressive metal ascoltando anche Fates Warning, OSI, Pain of Salvation, Porcupine Tree e qualche parentesi più aggressiva come Opeth.
[Davide] Io ho avuto ascolti simili ad Andrea, per quanto riguarda il rock classico, devo però molto all’ascolto di Peter Gabriel nei lunghi viaggi in macchina per andare in vacanza quando ero bambino 😉 Al di là dell´adolescenza, c´è un “infognamento” ancora irrisolto per i Rhapsody, i Pain of Salvation e i Porcupine Tree, gruppi che hanno significato molto per me.

Provenite da un paese piemontese (Torre Pellice giusto?), quale rapporto avete con le vostre radici: sono motivo d’orgoglio o una limitazione?

[Andrea] Torre Pellice, esatto! È un piccolo paese di montagna, in linea d´aria più vicino alla Francia che a Torino. Direi che essere cresciuto in quel luogo è sia motivo d´orgoglio che una limitazione. È un paese ricco di storia e di cultura e vanta uno stadio olimpico di hockey nonostante conti circa seimila anime. Purtroppo si trova a una cinquantina di chilometri da Torino, quindi, se si vuole uscire la sera, si è obbligati a prendere l’auto e guidare per un´oretta. Inoltre, vivendo in paese, conosci tutti e tutti ti conoscono, il che è bello perché si creano situazioni “à la villaggio di Asterix & Obelix”, ma allo stesso tempo è difficile farsi un giro in tranquillità senza incontrare qualcuno che conosci!
[Davide] Fortunatamente si trova in una splendida valle ancora incontaminata e basta davvero poco per addentrarsi nei boschi o fare un giro in montagna. Riguardo all´aspetto musicale è un luogo molto attivo ma sfortunatamente non nel genere hard & heavy. Questo dettaglio si è rivelato molto svantaggioso nel momento in cui stavamo cercando di formare la prima line-up. Abbiamo faticato a trovare musicisti che condividessero il nostro stesso interesse, la nostra stessa determinazione e il livello tecnico adeguato. Per raggiungere questo obiettivo ci siamo spostati a Torino, il che ha comportato, per ogni prova in sala, un viaggio di circa cinquanta chilometri di andata e altrettanti di ritorno.

Il vostro monicker inizialmente era solo “Rust”, avete poi optato per un nome ossimorico per questioni di copyright, ma anche per alludere al lato ibrido del vostro sound: penso che “Rustfield” sia stata un’ottima scelta, si poteva trovare soluzione migliore?

[Andrea] Direi di no, Rustfield è davvero un nome che ci piace molto! Come hai ben detto è un nome ossimorico. “Rust” rappresenta la parte più metal della nostra musica mentre “-field” rappresenta la parte più melodica e morbida. Abbiamo cercato, infatti, di contrapporre qualcosa di artificiale, come il metallo arrugginito, con il naturale, quale può essere un campo. Altri candidati erano nomi di fiori o di alberi, ma la combinazione con “Rust” non era altrettanto efficace! Questo ossimoro lo si nota anche nella copertina del nostro disco di debutto Kingdom of Rust e nel nostro logo che ho disegnato personalmente.

Chi gestisce il processo creativo all’interno della band? Il budget per le registrazioni è stato adeguato o avete dovuto fare qualche sacrificio?

[Andrea] Il processo creativo è tutta opera di me e Davide che, con chitarra e tastiera alla mano, abbiamo scritto i brani e li abbiamo prodotti sin nei minimi dettagli. Alcune canzoni sono state scritte a quattro mani, mentre altre singolarmente e sono poi state arrangiate e prodotto assieme. La decisione di gestire il processo compositivo solo in due è direttamente derivata dalla difficoltà di trovare compagni di band adeguati. Nel 2008-2009 la voglia di comporre era troppo grande per trattenerla ed aspettare di essere in cinque a lavorare, per cui, grazie all´aiuto della tecnologia digitale, abbiamo potuto dare una forma ai brani senza avere una completa line-up alle spalle. Le pre-produzioni nate così si sono trasformate in un primo CD demo, nel 2009, grazie all´aiuto di un nostro amico batterista e, con un primo lavoro in mano, è stato più facile trovare le persone interessate a suonare: i gemelli Alessandro e Luca Spagnuolo (bassista e chitarrista) e un batterista.

[Davide] In questo modo, però, mentre i nuovi compari si preparavano il repertorio del primo demo, noi stavamo già lavorando a nuovi pezzi, che si sono poi trasformati in un secondo CD demo. Giunti al momento di registrare Kingdom of Rust, il nostro debutto, ci siamo resi conto che ogni brano del demo meritava di essere registrato e prodotto a dovere, per cui non ne abbiamo scartato nessuno e abbiamo aggiunto due nuovi brani composti nel frattempo. Questo è anche il motivo per cui il disco contiene undici tracce e dura quasi 70 minuti! Riguardo al budget direi che non abbiamo dovuto fare grossi sacrifici ma, principalmente, abbiamo dovuto arrangiarci per contenere  i costi. Sicuramente le nuove tecnologie stanno venendo in aiuto delle giovani band come noi e fare un disco al giorno d´oggi non è più una spesa astronomica come un tempo. In ogni caso, proprio essendo ancora abbastanza giovani, all´epoca delle registrazioni studiavamo ancora e di conseguenza non disponevamo di un budget così ampio. Nonostante tutto, per un disco di debutto, trovo il risultato adeguato.

Cosa significa puntare e credere nella buona musica in tempi di consumismo sfrenato e gestione maniacale del tempo?

[Andrea] Questa è davvero una bella domanda! Sì, come dici tu, la società di oggi è sempre più frenetica e lascia poco tempo da dedicare alla musica. Io stesso non riesco ad ascoltare molta musica e, soprattutto ultimamente, non sono molto aggiornato sulle ultime uscite. Inoltre c`è da dire che, grazie ai continui progressi della tecnologia e il relativo abbassamento dei costi, il numero di nuove band è aumentato a dismisura. Molte di queste sono soltanto riciclaggio d’idee già sentite mille volte, ma altre (come noi, ovviamente! 😉 hanno qualcosa da dire ed è difficile che ricevano l´adeguata attenzione che meritano. Tu hai detto “credere nella musica” e questo è forse il fulcro del discorso. Al giorno d´oggi stiamo vivendo una situazione molto drammatica, il consumo di musica è su larga scala ma i proventi che ne derivano sono pressoché nulli. Le grandi band guadagnano poco dalla vendita dei dischi e si devono rifare vendendo merchandise a prezzi esorbitanti e inventarsi articoli sempre più bizzarri, come birra e vino (chi ha detto Iron Maiden? n.d.c.)! Se questa è la situazione per i grandi, puoi immaginare come sia per i novellini come noi. È davvero solamente una questione di credere nella propria musica perché il solo raggiungimento del pareggio di bilancio è davvero impossibile! Noi crediamo molto nella nostra musica, abbiamo fatto grandi sacrifici per farla nascere e ne faremo di più grandi per portarla avanti… In ogni caso, dato il nostro nome, potremmo sempre inventarci la pasta dei Rustfield, è un articolo che nessuna band ha ancora fatto! Siamo italiani, la cosa dovrebbe andare da sé! 😉

Il lato più intimista del vostro sound è il migliore, a mio avviso, perché non valorizzarlo maggiormente in futuro? “The secret garden”, a tal proposito, è una ballad davvero toccante, forse il momento più alto dell’album, siete fieri di questo brano?

[Andrea] Personalmente molto fiero, sì! “The Secret Garden” è un brano di cui ho scritto sia musica che testo davanti al pianoforte, anche se non avrebbe un sound così particolare se io e Davide non avessimo lavorato insieme nella produzione. Le tastiere s’intrecciano con effetti sonori programmati, creando una serie di percussioni elettroniche, che scandiscono il ritmo fino a esplodere in un ritornello molto melodico, dove, ciliegina sulla torta, il contrabbasso suonato da Alessandro dà un tocco davvero speciale. Sono contento che ti sia piaciuta! Come hai detto questo è il lato più intimista della nostra musica, l´anima più “Field” dei Rustfield, e credo che sarà una componente sempre presente nella nostra musica, non saprei dire in che percentuale, se crescente o decrescente, ma sicuramente presente. È proprio questo il bello di fare il nostro genere di progressive, il poter spaziare tra atmosfere anche molto distanti tra loro.

La presenza di special-guest è stata una scelta per ottenere maggiore visibilità o siete in più stretti rapporti con gli artisti chiamati a raccolta?

[Davide] C´è una storia diversa per ognuno di questi tre ospiti. Ho assistito a una clinic di John Macaluso a Torino, qualche anno fa, e mi aveva colpito molto il suo talento e la sua energia nel suonare la batteria. Qualche tempo dopo l´ho incontrato di nuovo perché stava registrando alcune tracce al Rock-Lab, gli studi di registrazione di Andreas Polito. A quel punto gli abbiamo fatto ascoltare uno dei nostri demo, “Waxhopes”, gli è piaciuto e abbiamo deciso di averlo come ospite sulla traccia che sarebbe stata interamente riregistrata per il disco. Dopodiché, a lavoro concluso, ci siamo accorti che il risultato era davvero ottimo e insieme si è deciso di continuare la collaborazione in più di metà delle tracce del disco. John ora non vive più a New York, ma qui in Italia ed è quindi stato molto più facile organizzare le registrazioni, permettendoci di fare vita da studio insieme ed evitare invii di tracce tramite internet. Abbiamo incontrato John in un periodo in cui non avevamo un batterista ufficiale in formazione, Salvo Amato non suonava ancora con noi, ed è quindi stata una grande opportunità averlo come ospite sulla maggior parte delle tracce del disco, dal punto di vista in primis e, perché no, anche dal punto di vista promozionale. Ancora oggi cerchiamo di vederci quando viene a Torino per delle clinic o dei concerti. Per quanto riguarda Federica De Boni è andata in modo diverso, siamo suoi grandi fan da molto tempo; quando abbiamo iniziato ad appassionarci al metal lei era già negli Stati Uniti e non avevamo mai avuto l´occasione di sentirla dal vivo, ma solo di consumare il CD di Tales from the North a forza di ascolti! Quando abbiamo saputo da Danilo Bar, sempre al Rock-Lab di Andreas Polito, che lei avrebbe fatto ritorno sia in Italia che nei White Skull, c’è immediatamente venuto in mente che sarebbe stato un onore avere la sua voce su uno dei nostri brani e così abbiamo contattato il “Capitano” Tony per proporgli la collaborazione. Lui ha interceduto con Federica che ha accettato e, qualche settimana dopo il suo rientro in Italia, ci siamo recati a Vicenza per registrare. È stato davvero bello sentirla e vederla registrare delle linee vocali di un nostro pezzo!

[Andrea] Inoltre abbiamo suonato in apertura ai White Skull in un loro concerto a Torino, il primo dopo alcuni anni, e a un festival al Rock ´n´ Roll Arena di Romagnano Sesia. Riguardo a Douglas R. Docker, invece, ci conosciamo da molto tempo. Anche lui è americano ma ha vissuto la maggior parte della sua vita in Italia, io l´ho incontrato per la prima volta negli anni ´90 quando, mi aveva dato lezioni di pianoforte. Dopodiché ha intrapreso una vita nomade che nel corso degli anni l´ha portato in giro per Svezia, Francia e Tailandia. Quando ha fatto ritorno in Italia, mi sembra che fosse il 2008, ci siamo rincontrati e abbiamo scoperto di avere una passione per la stessa musica. A quel tempo stavamo componendo i brani per il primo demo e lui stava ultimando le pre-produzioni del primo album della sua metal opera Docker´s Guild. Da lì in avanti le collaborazioni sono fioccate: lui ha registrato alcune parti di tastiera per i nostri primi demo, noi abbiamo registrato alcuni sample parlati per il suo album, abbiamo preso parte alle registrazioni del video di un brano dello stesso disco e abbiamo fatto parte della line-up che ha portato il primo capitolo della sua metal opera sul palco. Infine ha registrato altre parti di tastiera e di pianoforte in Kingdom of Rust. L´ultima collaborazione ha avuto luogo pochi mesi fa, alla presentazione ufficiale del nostro disco, Douglas è salito sul palco con noi e ha suonato alcuni brani. È stato un concerto davvero speciale poiché, oltre ad aver suonato il disco per intero, l´abbiamo proposto con le sonorità esatte con cui lo abbiamo registrato e, a fianco degli strumenti elettrici, avevamo anche chitarra acustica, chitarra classica (suonata da Luca Spagnuolo), contrabbasso (suonato da Alessandro Spagnuolo) e un pianoforte mezza coda, suonato appunto da Douglas. Avevamo invitato anche Federica a prendere parte all´evento ma purtroppo non le è stato possibile raggiungerci… Per ora ho almeno la soddisfazione, in occasione del concerto di supporto ai White Skull, di aver cantato “Asgard” assieme a lei! 😉

Andrea, sii onesto, in Kingdom of Rust provi a ripercorrere le orme di Rob Halford, ma è dura arrivare su quei registri disumani…

[Andrea] Beh, non posso negare che Rob Halford sia uno dei miei cantanti preferiti e che, in un modo o nell´altro abbia influenzato il mio modo di cantare nel registro acuto. Sicuramente timbro così acuto e tagliente è molto impegnativo per la voce ma è un territorio che mi interessa esplorare, così come un cantato più morbido e intimista. Nel mio piccolo cerco di essere un cantante il più completo possibile e offrire più sfaccettature della mia voce, così come la nostra musica offre differenti atmosfere dal punto di vista strumentale. Diciamo che il cantato più energico e acuto è l´unica eredità della mia formazione power metal che è presente nei Rustfield, per il resto, le linee vocali più soft riflettono i miei ascolti più recenti, gli ultimi dischi degli Anathema, per esempio… In futuro credo che entrambe queste due anime del cantato rimarranno e sono sicuro che, con l´esperienza, riuscirò a trarre il meglio sia da una che dall´altra, creandone il giusto equilibrio. Mi considero un cantante ancora giovane, ho ventotto anni, e ritengo di avere ancora molto da imparare, la voce è uno strumento che evolve in continuazione.

Volete spendere qualche parola sul significato della Trilogia del compromesso, al centro dell’album?

[Davide] La trilogia è un’enorme metafora sul compromesso. Sono analizzate, testualmente, ma anche in parte musicalmente, tre lati del concetto di compromesso. “Burning the air” è l’uomo che si compromette, la guerra. “Sacrifice” è, appunto, il sacrificio del vivere assieme in società, della soppressione del singolo per un bene comune che sfocia irrimediabilmente nel contratto sociale, “Social Contract”, il compromesso, per quanto mi riguarda, più pesante.

Il testo in italiano che compare in “High Waters” (“Una volta che una persona cambia il rapporto che ha con il suo ambiente, non può tornare allo stato di beata ignoranza che lascia. Il movimento per necessità implica un cambiamento di prospettiva”) continua a incuriosirmi, potete spiegare il perché del suo inserimento nella traccia finale dell’album?

[Andrea] Dietro a quel testo c´è una storia un po´ nerd! Fa parte di un videogioco di strategia a tema fantascientifico, che entrambi abbiamo amato quando avevamo circa diciassette anni, si chiama Alpha Centauri! 😉 Durante il gioco comparivano spesso degli aforismi o delle citazioni riferiti a personaggi talvolta del gioco, talvolta reali. Uno di questi aforismi è proprio la frase presente in “High Waters”. Ricordo che ai tempi in cui mi dilettavo con  questi tipi di giochi mi aveva colpito e, siccome calzava a pennello con il tema della canzone, e da sempre mi affascinava l´uso di sample parlati nella musica (forse derivante dagli ultimi due dischi dei Pink Floyd, chissà…), l´ho proposto a Davide. Sfortunatamente il sample non è quello originale del gioco perché la casa produttrice non detiene i diritti di utilizzo del materiale (di proprietà di una casa più grande) e dunque ci ha vietato il suo utilizzo. Aiutati da una nostra amica, l´abbiamo quindi riregistrato per conto nostro, cambiando parzialmente il testo, ma mantenendone il significato originale. Credo che stia molto bene in quel punto della canzone, “High Waters” è un brano sui cambiamenti della vita, sul modo repentino ed irreversibile in cui possono avvenire e le conseguenze, spesso inaspettate, che ne possono scaturire. Il tema è affrontato dal punto di vista metaforico di una barca a vela che naviga lungo una costa nota, seguendo rotte conosciute a memoria. Poi, una violenta tempesta si avvicina rapidamente e trascina la barca, senza affondarla, in mare aperto dove, appunto, il cambiamento di prospettiva è così radicale che impedisce ogni ritorno e forza ad affrontare onde molto più alte, navigando su acque sconosciute e selvagge.

Secondo voi il progressive metal è ormai diventato stereotipo di tempi dispari, velocità esecutiva e suite chilometriche, o può aspirare a definizioni meno banali? Conoscete il djent metal, pensate sia la naturale evoluzione del prog.?

[Andrea] Io credo che il prog non solo possa, ma debba aspirare a definizioni meno banali. Il prog è nato come genere sperimentale, penso ai King Crimson, ai The Moody Blues e ai Pink Floyd, ma non posso negare che, dopo più di quarant´anni di vita un certo assestamento dello stile sia inevitabile. I detrattori del prog criticano proprio l´aspetto eccessivamente tecnico e freddo del genere e, in effetti, spesso non si può dar loro torto. A mio parere un assolo tecnico è superfluo se non trasmette emozioni, è un´inutile dimostrazione di “celolunghismo”, se così si può dire! 😉 Anche i tempi dispari, a mio parere, troppo spesso vengono usati da band che vogliono solo aggiungere il nome “prog” allo stile che fanno. Gli elementi di tempi dispari e tecnicismi sono presenti in Kingdom of Rust ma non sono esasperati, io credo che il cuore del disco siano sempre le canzoni e le loro sonorità. Non conosco bene il djent, mi hanno fatto ascoltare qualcosa dei Periphery e dei Tesseract ma non mi hanno emozionato granché. Non penso che sia la naturale evoluzione del progressive, ma sicuramente può essere una delle sue tante evoluzioni.

[Davide] Il bello del prog è proprio la sua intrinseca sperimentalità e noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di fare del nostro meglio per comporre musica che riesca di distinguersi un po´ dalla massa, che non possa essere eccessivamente standardizzata. Non ci consideriamo una band rivoluzionaria, i Cynic e gli Opeth sono band rivoluzionarie (ma gli Opeth non nacquero più di tanto come band innovativa, n.d.c.), ma almeno cerchiamo di non cadere negli sterili stereotipi del genere, credo che il nostro suono ibrido tra heavy, elettronico e progressive, possa essere considerato, se non innovativo, molto personale.

Scommetto che il vostro, come il mio, album preferito dei Dream Theater è Awake, di cui quest’anno ricorre il ventennale. A tal proposito, perché a vostro avviso il gruppo di Petrucci & Co. ha riscosso un successo internazionale diverso rispetto a quello meno eclatante dei Fates Warning, band che penso rientri nei vostri punti di riferimento?

[Andrea] Direi che Awake se la gioca ad armi pari con Images and Words, entrambi sono dei dischi stellari con brani davvero di altissimo livello, direi immortali. Forse tra i due preferisco Images and Words ma direi che la scelta è guidata dal fattore affettivo, è stato il primo disco dei Dream Theater che ho ascoltato. Quando il nostro Kingdom of Rust è stato completato, ascoltandolo mi sono reso conto che presenta alcune analogie con Awake. Ovviamente il paragone è da prendere con le pinze perché non è mia intenzione confrontarci con una band quasi sacra, il mio parallelismo riguarda esclusivamente la forma dell´album. Entrambi sono dischi lunghi e che contengono canzoni molto differenti l´una dall´altra, pezzi heavy, pezzi soft, una strumentale, un pezzo acustico. Non credo che l´influenza dei Dream Theater sia presente in dose massiccia nel nostro sound, ma sicuramente sono una band che ha giocato un ruolo fondamentale nel nostro bagaglio culturale, cosa che, probabilmente, è emersa nella struttura finale del nostro disco, sebbene, come detto prima, non è stato intenzionale il creare un disco così lungo. Ritornando all´argomento principale, posso dirti che i Fates Warning sono un gruppo che personalmente stimo moltissimo, hanno davvero classe e sono uno dei miei punti di riferimento nel progressive, così come gli OSI, il progetto parallelo di Jim Matheos. La tua è davvero una bella domanda, entrambe le band hanno, infatti, giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo del progressive metal ma una riempie il forum di Milano ogni due anni mentre l´altra viene in Italia davvero raramente e nemmeno in locali come l´Alcatraz… La qualità dei Fates è indiscussa, il loro successo anche, ma non in termini di pubblico. Forse il motivo è da ricercare nel periodo seguente l´uscita di Images and Words e Parallels, io ero un bambino e ovviamente non ero nel giro, ma informandomi un po’ mi è sembrato di percepire che i Dream abbiano avuto un grande lavoro di promozione da parte della casa discografica e dei promoter, che li hanno letteralmente portati in giro per il mondo con una grandissima attività live (in effetti l’Images & Tour/Music in Progress ’92-’93, come leggiamo nel booklet di Awake, conta 194 show, 127 città e 17 nazioni, n.d.c.). Forse i Fates si aspettavano che qualcuno li aiutasse a fare lo stesso salto di qualità ma ciò non è avvenuto, la macchina della promozione non si è messa in moto a dovere. Se ricordo bene questo è stato uno dei motivi che li ha spinti, almeno in parte, a cercare il supporto di una casa discografica europea quale Massacre Records. Purtroppo è triste constatare come il mondo della musica giri solo con i soldi e non esclusivamente grazie alla qualità della musica.

Sul vostro sito invitate i fan a votare il vostro album come migliore uscita per Massacre Records del 2013: sperate in un buon piazzamento? Tra i tanti gruppi in lizza ci sono nomi noti come Darkane, Mystic Prophecy e Theatre of Tragedy…

[Davide] Sicuramente un buon piazzamento ci farebbe piacere ma penso che i ragazzi della Massacre abbiamo pensato ad una manovra come questa per cercare di intuire la riposta degli ascoltatori. Di questi tempi, a causa dello scaricamento illegale, i dischi non si vendono più e quindi le case discografiche, oltre al danno economico, devono cercare altri modi per capire come un disco da loro promosso viene realmente recepito dal pubblico. Dapprima Facebook sembrava la risposta a questo problema ma da quando è diventato pieno di spam e sono nate le società a pagamento per l´acquisto dei “mi piace”, si è passati da “opportunità” a “buffonata”… Comunque, cari lettori, non dimenticate di mettere “mi piace” sulla pagina dei Rustfield, mi raccomando! 😉

Avete aperto per i White Skull e suonato in location suggestive (penso a Palazzo Barolo a Torino), come vivete la dimensione live?

[Davide] Il live è la parte più bella per un musicista e se la gioca ad armi pari con l´emozione di un nuovo brano che prende vita. I nostri concerti rispecchiano la nostra musica che, con i suoi frequenti cambi di dinamica, riesce a non annoiare mai chi la ascolta… Cioè, questo è quello che noi speriamo, ovviamente! 😉 A causa del tipo di effetti sonori elettronici che abbiamo nei nostri pezzi è impossibile riprodurli dal vivo con una sola tastiera, per cui siamo obbligati a utilizzare basi, sincronizzate a un metronomo programmato con tutti i cambi di tempo. È un modo di suonare che lascia poco spazio all´improvvisazione, ma è l´unico modo di portare la nostra musica sul palco, anche band come Porucpine Tree e Pain of Salvation ricorrono a questi stratagemmi. Nonostante tutto riusciamo a goderci i concerti senza preoccuparci di dover correre dietro ad una base impazzita, basta un po` di allenamento! Ciò di cui abbiamo bisogno ora è proprio intensificare l´attività live in modo che il pubblico possa conoscerci sul palco e non solo su YouTube. Per fare questo però è necessaria una preventiva organizzazione e una solida base economica, per cui non so dirti quando riusciremo a concretizzare questo sogno, speriamo il più in fretta possibile…

Il vostro compositore di musica d’arte preferito (oltre agl’imprescindibili Bach, Mozart, Beethoven e Vivaldi)?

[Andrea] Mi piace molto la Suite dei Pianeti di Gustav Holst (compositore inglese a cavallo tra XIX e XX secolo, interessato anche di astronomia e teosofia; il cantante dei Rustfield ha buon gusto e una sana coerenza, basti pensare che il primo movimento della suite, iniziata nel 1914, s’intitola Mars ed è una composizione martellante in 5/4, n.d.c.) è un suono molto moderno ed i movimenti hanno una durata adatta a chi, come me, non ascolta questo tipo di musica ogni giorno. Da buon metallaro mi piace molto Wagner, anche se in questo caso il problema della durata delle opere non è da sottovalutare! Negli anni passati ho avuto la fortuna di salire su un palco d’opera, in qualità di corista, a fianco di cantanti classici. Piccole produzioni ma tecnicamente molto valide, sono state esperienze molto belle in un mondo che non conoscevo e che mi ha fatto apprezzare un genere che spesso è considerato vecchio è noioso. Al contrario è vivo e coinvolgente, soprattutto per autori come Mozart, Rossini e Puccini, ma mi rendo conto di aver avuto la fortuna di poter assistere agli spettacoli da un punto di vista privilegiato, il palcoscenico stesso! Forse stare seduti in sala per due o tre ore senza poter fiatare non è il un modo più amichevole per poter apprezzare una musica. Magari, se il contesto fosse più rilassato, molte più persone apprezzerebbero il genere. D´altronde anche ai concerti metal non c´è sempre la folla urlante, mi è capitato spesso di assistere a momenti in cui il pubblico è talmente rapito tanto da placare il classico delirio che accompagna il nostro genere! Chissà, forse davvero questi generi di musica hanno più cose in comune di quanto si possa immaginare e, magari, è solo questione di costume se i due mondi non sono in stretto contatto…
[Davide] Devo dire che non ascolto musica classica. All’inglese, “it’s not my cup of tea”, è indubbiamente bella e molto di quello che facciamo lo dobbiamo direttamente a Beethoven e Mozart ma non riesco mai a farmi trascinare dalla musica e a sentirmici dentro. Ho provato anche con una parrucca bianca e i merletti ai polsi ma non è servito! 😉

Avete già qualche idea per il successore di Kingdom of rust?

[Davide] Qualcosa è già in cantiere. Non abbiamo mai smesso di comporre, però abbiamo dovuto concentrare le nostre energie sulla pubblicazione di Kingdom of Rust lasciando momentaneamente perdere i nuovi brani. Credo che ci muoveremo in entrambe le direzioni, sia verso brani più aggressivi che verso brani più soft ed introspettivi. Per ora non siamo interessati a creare un album granitico, ci piace di più esplorare territori differenti e metterli assieme. Quest’attitudine può essere rischiosa, abbiamo anche ricevuto qualche recensione negativa il cui principale argomento era proprio l´eccessiva quantità di sonorità differenti presenti in Kingdom of Rust. Questo non è tuttavia un motivo per esimerci dal comporre la musica che più ci attira. In ogni caso non saprei ancora dire quando un nuovo album potrà vedere la luce, ahinoi le risorse sono limitate e ora vorremmo concentrarle il più possibile sull´attività live.

A voi concludere come meglio preferite: un saluto, una massima, uno slogan…campo libero!

[Andrea] Grazie Roberto e grazie TrueMetal per lo spazio e l´interesse nei confronti della nostra band, speriamo di risentirci presto. Grazie anche ai lettori di questo portale che hanno voluto dedicare un po´ del loro tempo ai Rustfield, speriamo di aver stuzzicato il vostro interesse e, se vi va, fate un salto sul nostro sito web per ascoltare una preview di Kingdom of Rust. Speriamo di vedervi presto on the road!

[Davide] Vi lasciamo con il motto della band, lo slogan che sin dai primi tempi ci siamo ripetuti per tenere duro nei momenti difficili: Always the hard way!

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Sito ufficiale:

http://www.rustfield.net/it/index.html