The Flower Kings (Roine Stolt)

Di Tiziano Marasco - 17 Ottobre 2013 - 1:31
The Flower Kings (Roine Stolt)

Ciao Roine, benvenuto su Turemetal.it. Come stai, come sono le tue impressioni poco prima dell’uscita di Desolation Rose?

Mi sento davvero emozionato, anche se dopo 35 anni sulla scena può sembrare strano. In realtà sono molto contento di vedere come è venuto fuori Desolation rose. Oggi ho visto il cd finito e definitivo, credo sia venuto alla grande e sia tutto al posto giusto. Al di là delle canzoni, tutto è fatto molto bene, dalla produzione all’artwork.

Posso chiederti come mai avete deciso di tenere in stand by i TFK per cinque anni.

Ma guarda, è stata una decisione comune. Abbiamo suonato per la prima volta nel 1994, vale a dire tanto tempo fa. La storia di una band è fatta di alti e bassi, periodi in cui tutto va bene ed altri in cui sei sull’orlo del collasso. Anche i Rolling stones hanno avuto tempi simili. Poi pensa agli Yes con tutti i loro cambi di formazione. In ogni caso sarebbe stato un peccato se la cosa fosse finita così nel 2008 e abbiamo deciso di staccare la spina e riflettere un po’ su come tutto era cominciato e sul perché abbiamo cominciato a suonare assieme. Alla fine è come per le persone. Oggi si divorzia con troppa facilità! Se hai scelto una persona come compagno di vita c’è un motivo. E che si tratti di tua moglie o del tuo tastierista poco importa. Tutto sta nel prendersi una pausa e pensare a cosa si è fatto assieme.

Venendo al disco puoi spiegarmi il titolo?

Desolation road è una canzone che ho scritto un anno fa. Ci è voluto un po’ prima che scegliessimo il titolo, anche gli altri di solito propongono dei titoli. Poi quando è venuto il momento di preparare l’artwork, una delle possibilità era un’immagine con la rosa al centro. Così Tomas (Bodin, tastierista, ndr.) ha detto “sì chiamiamolo Desolation rose.” E poi, ci chiamiamo pur sempre Flower kings, per cui una rosa va sempre bene.

In ogni caso la canzone, e tutto l’album, parla di chi siamo, intendendo l’umanità, dove andiamo e sul fatto che siamo comunque dei privilegiati, non solo come umani, ma per il fatto che vivamo nella parte ricca del mondo. Se noti, l’80% della popolazione mondiale vive sotto la soglia della povertà. O anche se prendi ad esempio gli Stati Uniti ci sono differenze profondissime che andrebbero appianate (Il concept di Wall street voodoo ruleggia ancora nella mente del nostro ndr.). Insomma il disco parla del nostro incredibile progresso tecnologico e delle iniquità che, nonostante ciò, non vogliamo appianare. In pratica nel modo c’è una rosa in mezzo a tanta desolazione.

Hai parlato di artwork. Mi pare piuttosto in linea con quello di Banks of eden. Volete creare una sorta di metaconcept tra gli album?

Si tratta in effetti dello stesso artista (Silas Toball ndr) che ha realizzato il lavoro per Banks of Eden, che poi è lo stesso che ha lavorato agli artwork dei primi dischi degli Agents of mercy, è stato così che l’ho scoperto. Uno svizzero che ora è andato a vivere da qualche parte in America. Non si tratta semplicemente di un pittore o di un creatore di artwork, fa tantissime cose. Un graphic designer direi.
Mi piace però perché mischia pittura, acquerelli e computergraphic, senza dare un particolare peso a quest’ultima. Non è uno dei soliti lavori fatti al computer. Alla fine ho visto uno dei suoi lavori e mi è piaciuto così tanto che l’ho scelto come nostro illustratore. Sai com’è che vanno queste cose no?

 

Decisamente. Invece parlando del disco in quanto tale… Dove avete messo la megasuittona da 25 minuti? In parole povere, sto notando che i lavori dei TFK si fanno sempre più semplici.

Davvero? A me non sembra così tanto più semplice dagli altri. (qui ho avuto paura di averlo offeso, ndr)

Può anche essere che nel corso degli anni mi sia abituato al vostro sound, ma secondo me uno Stardust we are richiede all’ascoltatore uno sforzo molto più grande di Banks o di Desolation rose.

Ma in realtà non credo ci sia una gran differenza perché, dato che citi Stardust, ci sono tante canzoni melodiche anche lì. Prendi Eyes of the world ad esempio, ha una linea vocale semplice e lineare, quindi credo proprio che sia stato tu ad abituarti. Poi certo i doppi album avevano molte più parti strumentali e credo che sia un po’ anche per questo che la gente li ritiene più complessi. Poi nelle nostre canzoni, per rendere più facile l’ascolto, mettiamo appunto dei temi che si ripropongono nell’album. Parlo spesso con Tomas del fatto che nei nostri dischi ci devono essere temi ricorrenti. È un classico del prog, anche se senti un disco estremamente vario come può essere The lamb lies down on broadwy puoi notare che la musica ritorna. E ancora, se ascolti Emerson Lake and Palmer ti trovi davanti a canzoni molto orecchiabili. Poi accontentare tutti è impossibile. Questo discorso è sempre stato un punto fermo per i Flower Kings, perfino Garden of dreams segue questa linea.

Ma la mia osservazione non è critica a riguardo della vostra scelta.

Naturalmente, ma ad esempio quando facevamo i doppi ricevamo maree di critiche perché erano interminabili. Ora ci rimproverano di essere troppo corti. Il fatto però è che siamo ad un punto della nostra carriera in cui la nostra forma ideale è un album di un’ora. Anche perché con 12 dischi alle spalle diventa difficile accontentare tutti durante un live e ricevi critiche per cui non hai fatto la canzone x o y. Insomma, diventa tutto più difficile man mano che vai avanti.

Immagino. Invece posso chiederti quali sono le tue influenze musicali? A parte i Beatles che sbucano in ogni dove.

Oh, che bella cosa, citi i Beatles. Davvero senti i Beatles nelle nostre canzoni? È sempre un onore essere accostati alla più grande band di tutti i tempi. In realtà non ho molto tempo di ascoltare musica, essendo coinvolto in tre band quasi tutto il mio tempo è dedicato alla composizione, e per l’ascolto restano le briciole. In realtà traiamo ispirazione da noi stessi quando stiamo in studio. Anche perché, se consideri, io ho 57 anni e il nostro batterista ne ha 27. Abbiamo 30 anni di dislivello e quindi è naturale che anche i nostri back ground siano diversi. Sì la cosa migliore per la buona riuscita delle canzoni è il confronto in studio tra di noi.

Quindi le canzoni nascono direttamente in studio? Oppure prima componi qualcosa e poi lo sottoponi alla band?

Normalmente io compongo delle musiche. Parte sempre così. Ho bisogno di sedermi con la chitarra o la tastiera, in assoluta tranquillità, iniziare a comporre e registrare tutto nel laptop. Non compongo quasi mai canzoni finite, compongo delle musiche e poi con tutti gli altri decidiamo come disporle nelle canzoni o all’interno dell’album. Per Desolation rose le uniche canzoni che ho fatto completamente da solo prima di presentarle alla band sono state la title track e Last carnivor. Poi naturalmente al mio materiale viene aggiunto quello che propongono gli altri. Così può essere che su un riff di Jonas (Reingold, bassista ndr) qualcuno dica “no, il cantato non cade bene” e allora lo spostiamo da un’altra parte. Ed è così, lavoro su lavoro.

Hai citato le tue tre band. Ti va di spendere due parole sullo stato dei Transatlantic e degli Agents?

I Transatlantic stanno bene. Stiamo finendo proprio ora il missaggio per il nostro nuovo disco e poi a febbraio andremo in tour. Toccheremo Europa e America. Gli Agents of mercy invece sono in stand by nel senso che Nad Sylvan è attualmente impegnato con Steve Hackett per il Genesis Revelation Revisited tour. Sta andando davvero molto bene e vogliono continuare.

A proposito di Transatlantic, come ti senti a partecipare alla Progressive nation at sea?

Ma guarda è un po’ strana l’idea di suonare su una barca ma sono certo che funzionerà alla grande. Alla fine devi sempre essere pronto a nuove esperienze.

 

Invece il tour dei Flower Kings cosa prevede?

Attualmente prevede solo due date e poi sarà interrotto a causa di quello dei Transatlantic. Se controlli il nostro sito flowerkings.se però, a breve salteranno fuori altre date. Il tour vero e proprio partirà in aprile e vorremmo andare molto lontano, in Sud America ed in Giappone, un po’ come succederà per i Transatlantic. Poi verremo anche in Europa e quindi in Italia.

Questo mi fa piacere, però io vivo in Repubblica Ceca e vorrei sapere anche di altre date.
 
Non sono certo del fatto che suoneremo a Praga, ma sono quasi certo che suonermo a Bratislava. Abbiamo un ottimo rapporto coi nostri promoter slovacchi. Ti riesce difficile venire fin lì? Sei venuto a vederci l’anno scorso?

In realtà è molto semplice arrivarci (un po’ meno riabituarsi ai prezzi in Euro ndr) e comunque no, l’anno scorso non sono riuscito a venire a Bratislava. Invece che rapporto avete coi fan italiani e che ricordi hai del Prog festival di Veruno assieme ai Pain of salvation dell’anno scorso?

Credo che abbiamo più fan in paesi del nord come Olanda o Regno Unito. Però voi siete proprio matti, vi fate trasportare dalla musica molto di più. Quindi mi dispiace un po’ ammettere che a Veruno, secondo me, ci è andata un po’ male. Abbiamo avuto problemi durante il sound check ed eravamo spossati da una giornata estenuante. Però non è che puoi andare sul palco e scusarti, la gente vuole il suo show ed ha ragione. Non posso dire certo che è stato il nostro live peggiore, ma sicuramente è stato uno dei meno buoni lo scorso anno. Al contrario credo che la nostra tappa di Milano sia stata una delle migliori.

A questo punto, dato che il tempo concessoci è parecchio, vorrei farti una domanda assai personale. Tu sei sulla scena dagli anni 70, ovvero il periodo in cui il prog è nato ed ha preso piede. Ho sempre pensato che Italia e Svezia siano stati i due paesi non anglofoni in cui il genere ha attechito meglio in quel periodo. Così vorrei chiederti cosa ricordi di quegli anni.

Ma, a me riesce difficile dire che in quegli anni c’era una scena prog svedese. Io sono entrato nei Kaipa nel 1974 e tutte le band al momento volevano fare il metal dei Sabbath oppure si dedicavano al blues. Io conoscevo i Genesis, gli Yes, Emerson Lake and Palmer, i King Crimson, i Procol Harum. I loro dischi erano famosi ma erano molto underground. Noi Kaipa eravamo i più famosi in Svezia ma non è che spopolavamo. Da voi com’era?

Penso che sia iniziato tutto grazie alla PFM, che immagino tu conosca…

Certo.

Sostanzialmente la PFM ha avuto un grosso successo negli anni settanta e i gruppi prog da noi hanno proliferato per un po’. Poi la PFM era anche riuscita ad imbarcarsi per una tournée americana, e ha fatto Chocolate kings in inglese, quindi andava molto forte. Bene o male i nostri genitori conoscono alcune canzoni della PFM perché le passavano in radio.

Che roba fantastica! Potrebbe essere che il prog o il rock sinfonico abbia attechito meglio da voi per via della vostra tradizione classica, ed effettivamente le vostre band sono meno rock di quelle inglesi, o in ogni caso, sono più dolci in linea di massima. Per me invece la Svezia era un mercato estremamente piccolo. Anche noi nel 1978 abbiamo avuto delle possibilità di fare tour all’estero ma non eravamo certi di come sarebbe andata. Alla fine è stato un po’ il motivo per cui ci siamo sciolti. Però comunque, noi eravamo l’unica band prog professionista. Altri come gli Horizont avevano il loro lavoro e la musica veniva in secondo piano (questa mi ha lasciato basito ndr.), nessuno aveva un contratto, tranne noi con la Decca. Alla fine credo che dappertutto ci fossero band buone con dei mezzi limitati. La Finlandia e l’Olanda avevano gruppi molto buoni ma avevano lo stesso problema. Sicuramente c’erano nazioni in cui il prog non ha attechito, come la Francia o la Germania (dove si è trasformato in altro ndr.), però mi riesce difficile parlare di una scena svedese negli anni ’70. Adesso, è decisamente meglio.