The Green River Burial (tutta la band)
L’ottimo stato dei generi *-core abbarbicati come cozze al death, cioè deathcore e metalcore, è un dato di fatto che non si può confutare, oggigiorno. Soprattutto se si tratta di discutere di una band proveniente dalla Germania, la quale, per il deathcore, nel caso, mostra di essere una terra assai feconda, ricca di nutrimento e sostanza per parecchie realtà assurte ormai a livello internazionale. Fra esse, ci sono i The Green River Burial, autori del debut-album “Separate & Coalesce”, buon spunto di discussione per approfondire i temi appena accennati con Mert Ücüncü e i suoi compagni.
Da una vostra dichiarazione, voi non badate molto a definizioni quali ‘deathcore’, ‘hardcore’ e ‘breakdown’. Perché?
Anche se le nostre influenze provengono da stili diversi, come l’hardcore o il death metal, non vogliamo etichettare la nostra musica con un nome predefinito che metta una gabbia intorno alla creatività musicale. Dobbiamo solo fare quello che vogliamo e che pensiamo suoni bene, indipendentemente dal fatto che si adatti alla parola ‘hardcore’ o meno, e lasciare a chi ci ascolta la decisione su ciò che la nostra musica è per lui.
A mio parere, comunque, il vostro debut-album “Separate & Coalesce” è un bel lavoro di deathcore, poiché di melodia ‘metalcoriana’ ce n’è poca. A prescindere da questo, comunque, in Germania questo genere va davvero forte (Neaera, Heaven Shall Burn, Bust A Move, …). Sapete spiegarvelo?
Pensiamo che le aziende commerciali come l’Impericon abbiano una grande influenza nella diffusione del metal e dell’hardcore nel mercato mainstream. Ciò è legato alla moda e allo stile di vita per cui non c’è un modo diretto, da parte delle giovani generazioni, di entrare in contatto con questo tipo di musica. Se molti si lamentano di questi tipi di ‘filtri’ che causerebbero una perdita d’integrità da parte dell’hardcore, noi lo vediamo come un’occasione di crescita e sviluppo, invece.
Siete nati a Francoforte nel 2008. Qual è stato il vostro percorso tecnico/artistico per arrivare a “Separate & Coalesce”?
Assai lungo. Abbiamo avuto numerosi cambi di line-up (batteria e voce) ma siamo tutti cresciuti sia come musicisti sia come persone, come si può ascoltare dalla progressione delle nostre realizzazioni.
A proposito, come sono andate le vendite del CD? Risentite anche voi degli effetti negativi del file-sharing?
Le vendite del CD sono state davvero grandi e abbiamo di gran lunga superato la quantità che pensavamo di vendere, anche se il CD stesso è uscito da soli tre mesi. Per quanto riguarda il file-sharing in realtà ne abbiamo approfittato, poiché abbiamo lanciato i nostri primi due dischi mediante il download completamente gratuito, che è stato condiviso tramite blogspots in tutto il mondo. Anche “Separate & Coalesce” è riuscito a trovare la sua strada in internet, ma alla fine non c’importa di chi acquista l’album e di chi no; quanto di chi si gode la nostra musica. A prescindere dal fatto che l’abbia pagata o meno.
Avete fatto dei tour, a supporto del disco?
Sì. Abbiamo fatto diversi spettacoli con gruppi come The Acacia Strain, Counterparts, Empires Fade e Climates per promuovere l’album. Spettacoli che sono stati fra i migliori che abbiamo fatto nella nostra carriera di musicisti, finora.
Scrivete delle buone canzoni: come vi organizzate per comporle? Come esce fuori, per esempio, lo stupendo ritornello di “The Big Rip” o il coro trasognante di “No Tomorrow, No Regrets”?
Prima di tutto grazie mille per il complimento. Di solito ci sediamo e ci concentriamo per elaborare le idee che il nostro chitarrista Lu porta in tavola, privilegiando la creazione di una certa atmosfera, mentre va avanti lo sviluppo del basso e della batteria. Abbiamo poi l’idea di un’emozione che vogliamo trasmettere con il canto e quindi vediamo se possiamo fare tutto bene insieme.
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E un morbido brano strumentale come “Sink Ships”, cosa rappresenta per voi?
È stato importante per noi avere un piccolo rifugio acustico all’interno dell’album. Un pezzo di calma e melodia fra tutti i forti, veloci e potenti riff, sì da collegare la prima metà del disco alla seconda. Abbiamo scritto un pezzo strumentale che è la ripresa di due grandi riff provenienti da due metà dell’album, che li combina in modo delicato.
Qual è il vostro retroterra culturale? Leggendo la vostra biografia sembra assai eterogeneo. Il vostro stile, però, è unico: come fate a mettere così bene assieme i gusti e le tendenze di tutti?
Nei The Green River Burial ci sono i quattro ragazzi più diversi che si potrebbero trovare in un gruppo, che provengono da esperienze musicali diverse, da famiglie diverse e che hanno fatto esperienze di vita diverse. Tutte questi ingredienti modellano la musica che facciamo in ogni bit e ognuno mette la sua firma sul prodotto finale. E questo è ciò che definisce il suono dei The Green River Burial. Non è un singolo a scrivere un album e a suonarlo con i suoi amici, ma si tratta di quattro ragazzi che stanno seduti per mesi lasciando che tutte le loro idee ed esperienze fluiscano assieme per creare qualcosa di nuovo.
Melodie a parte, fate anche male (“Matriarch/Utopia”): alla fine, il metal estremo è ben radicato, nei The Green River Burial. O no?
Quando abbiamo quasi finito con la scrittura dell’album, ci siamo resi conto che volevamo anche una canzone che fosse da cima a fondo brutale e che avesse la forza di un pugno in faccia. “Matriarca/Utopia” è di gran lunga la più pesante e una delle più veloci canzoni che abbiamo mai scritto, e questo è proprio quello che abbiamo sentito mancasse a “Separate & Coalesce”. In fondo, il nostro motto è: «we do what we feel like doing, no matter if it breaks any rules or conventions».
Quale significato attribuite al nome della band?
L’idea che la nostra prima line-up ha perseguito è stata quella di svelare, con la musica e i testi, la mente e le azioni del serial killer americano Gary Leon Ridgway (noto anche come “The Green River Killer”) che ha brutalmente assassinato più di quarantotto donne e poi sepolto i loro corpi nel famigerato Green River. Abbiamo iniziato analizzando i rapporti di polizia e gli psicogrammi per immaginare le intenzioni e i sentimenti che stanno dietro queste orribili azioni, ma l’instabilità della formazione ci ha fatto perdere il concetto iniziale, che ha pertanto cambiato direzione, conservandone tuttavia il nome.
E i temi dell’album, di cosa trattano?
I nostri testi possono esseri letti in modi diversi. Da un lato, come metafora della band e dei cambiamenti che ha avuto per diventare la cosa bella che è oggi. Dall’altro, si possono considerare come una guida attraverso i tempi difficili, in cui si deve lasciare il passato alle spalle e mettere a nudo il cuore per poterlo cambiare. Non è mai troppo tardi per riparare con dei nuovi frammenti la nostra immagine da uno specchio rotto – e questo è solo il modo di crescere e di andare avanti con la nostra vita. Dobbiamo imparare ad accettare questo, che in sostanza è il punto focale dei nostri testi.
Un’ultima cosa che volete, per i lettori di Truemetal.it…
Prima di tutto… grazie! Se state leggendo quest’ultima domanda, ovviamente, vuole dire che avete letto tutto il resto. Quindi vi ringraziamo per il vostro interesse per i The Green River Burial e per quello che abbiamo da dire. Abbiamo in programma di visitare l’Italia nel 2013 quindi rimanete sintonizzati per venire a vederci. Fino ad allora, non dimenticate: «No Tomorrow, No Regrets!».
Intervista a cura di Daniele “dani66” D’Adamo