Live Report: Arch Enemy a Romagnano Sesia (NO)

Di Fabio Vellata - 4 Giugno 2014 - 20:50
Live Report: Arch Enemy a Romagnano Sesia (NO)

Arch Enemy + Unredeemed + Oblyvion

Rock n’Roll Arena @ Romagnano Sesia (NO) – Sabato 31 maggio 2014

 

Live report a cura di Fabio Vellata

Tanta curiosità per i rinnovati Arch Enemy.
Inutile negarlo, molti dei convenuti la sera dello scorso 31 maggio presso la Rock n’Roll Arena di Romagnano Sesia si sono mossi alla volta del locale valsesiano spinti da due ragioni precise.
Indubbio l’interesse per la musica proposta da una delle band più significative ed influenti del panorama melodic death europeo, da sempre molto seguita e ben accolta un po’ ovunque.
Ma altrettanto preponderante la curiosità per l’operato della nuova singer, da qualche mese passata al timone in luogo della esuberante e feroce Angela Gossow: il test sul campo della nuova arrivata Alyssa White-Glutz – ex The Agonist – è stata, senza remore, la scintilla in più che ha consentito il totale sold out dell’evento.
Già dalla prime ore della sera, infatti, la sala ha mostrato un notevole affollamento. La data propizia (un sabato sera, l’ideale) ed il tempo clemente hanno completato l’opera, regalando alle band in scena il notevole colpo d’occhio di un’arena ricolma e pienamente partecipe.

 

 

Un’apertura di concerto piuttosto precisa sulla tabella di marcia.
Sono, infatti, trascorse da poco le 21.30 quando i laziali Oblyvion compaiono sul palco, accolti da un pubblico già parecchio nutrito nei numeri e caloroso nell’approccio.
La presenza di un headliner di grande richiamo come gli Arch Enemy è un “atout” notevole anche per le band di supporto, messe così nella condizione di potersi far conoscere e confrontare con un’arena affollata da un pubblico ricettivo per il genere. Vincenzo Lodolini ed i suoi mostrano di aver ben compreso il valore dell’occasione: lo show del quartetto di Viterbo è, di conseguenza, intenso ed impostato sulla massima resa.
Con un sound che mescola influenze di radice “nordica” ad intricate soluzioni in stile Death e Carcass, il gruppo tricolore dimostra di avere dalla sua una validissima maestria con gli strumenti, unita alla capacità di accattivare l’uditorio con qualche melodia inattesa e ricercata. Merito in particolar modo, del sapiente utilizzo delle tastiere ad opera di Ivan Fusco.
Nell’arco della mezz’ora scarsa messa a loro disposizione, i quattro musicisti italiani colpiscono per tecnica e comunicatività, rivelandosi quale piacevole e ben studiato opener di un evento che, in tal modo, si prospetta come immediatamente incanalato su binari convincenti e ben assortiti.
La chiusura riservata alla cover in versione death di “Painkiller” dei Priest, è il sigillo ad una prestazione di livello.

Sarà interessante, qualora ne sovvenga la possibilità, seguire l’evoluzione e magari riascoltare gli Oblyvion dal vivo in futuro.
La band dei fratelli Lodolini (oltre a Vincenzo, in line up anche il chitarrista Riccardo), in effetti, pare aver qualcosa di davvero buono da dire.

 

 

Di tutt’altro tenore è invece, l’impatto riservato all’audience dai ferocissimi Unredeemed.
Guidati dal corpulento singer GMG (al secolo, Giovanni Matteo Gliozzo), il quintetto livornese/alessandrino scarica sulla folla un wall of sound crudo, compatto, furioso e spietato, indugiando spesso in purissime scorribande death ed altrettante sfuriate thrash che raggiungono, di tanto in tanto, reminescenze dei mai dimenticati Pantera (la cui somiglianza va ascritta anche al modo di porsi al microfono dello stesso Gliozzo).
Non c’è spazio per il fioretto, non sono ammesse requie: quello che gli Unredeemed sanno e possono garantire è una granitica cattiveria sonora che come un meteorite si scaglia con fragore al suolo.
La compattezza del suono, qualche minima concessione melodica e la carismatica presenza scenica dell’imponente frontman, sono le caratteristiche di maggiore qualità del gruppo italiano che, probabilmente, in virtù del proprio essere, per scelta, solido e quadrato come un’impenetrabile cubetto di porfido, raggranella consensi tra il pubblico, comunque colpito dalla veemenza e dalla grande energia profusa nonostante la crudezza di una proposta che in sede live rischia, talvolta, di risultare poco digeribile.
“Cleaning Out My Grave” e “The Art Of War” – due dei pezzi storici del quintetto – si propongono senza dubbio come momenti “clou” dell’esibizione, condotta in porto senza risparmiare in sudore e slancio fisico.
 

 

Sono le ore 23.15, secondo più, secondo meno, l’istante preciso in cui giunge l’ora degli headliner dell’evento.
 
Band ormai considerata storica per la lunga militanza, gli Arch Enemy sono da anni il simbolo di un metal impetuoso e melodico, suonato con notevole esibizione di tecnica e maestria esecutiva tale da mediare l’inossidabile aggressività death, con il riffing e le armonie di un grande maestro della sei corde come Michael Ammott, ex Carcass, universalmente riconosciuto quale guitar hero di livello massimo ed assoluto.
Ma soprattutto, gli Arch Enemy sono da parecchio – più o meno dal 2000 – identificati come la band della “belva feroce”, chiaro riferimento ad Angela Gossow, cantante alla guida del gruppo svedese sino agli albori di questo 2014, piacevole a vedersi, quanto dirompente e selvaggia al microfono.

Una digressione inevitabile per significare quanto fosse notevole, la sera del 31 maggio, (immaginiamo, in occasione di tutte le date di questo tour, passate e future) l’interesse nel vedere all’opera la sostituta della borchiatissima Angelina, attesa al passaggio di consegne da un pubblico esigente e non troppo propenso a concessioni.
In effetti la canadese Alyssa White-Glutz, già singer per i The Agonist, era sembrata sin dai primi comunicati stampa circolati in rete, una soluzione pressoché perfetta: dal look decisamente invidiabile anche se differente – una sorta di Katy Perry metallica – molto bella in termini di pura estetica (diciamolo senza vergogna: una delle metal singer più attraenti in circolazione) ed in particolare, dotata di un growl non troppo dissimile, per quanto, in una certa misura più assestato su tonalità gutturali rispetto alle svisate “scream” tipiche di miss Gossow.

Il tempo della canonica intro di pochi secondi (“Tempore Nihil Sanat”) e la curiosità del numerosissimo pubblico (sala davvero stipata stasera, a dimostrazione della grande attesa) viene presto soddisfatta: “Enemy Within” uno dei brani classici degli Arch Enemy, è il primo banco di prova per la bella Alyssa che, a dispetto di un’apparenza meno feroce ed aggressiva di chi l’ha preceduta, non risulta affatto intimidita o sprovvista della grinta necessaria nel raccogliere un testimone parecchio difficile.
L’inizio dello show riserva immediate emozioni: se “War Eternal” è forse il pezzo più convincente dei tre che risulteranno estratti dal nuovo album in uscita a breve, con “Ravenous” il quintetto mette in gioco uno dei momenti (a giudizio di chi scrive), migliori dell’intera produzione.
Sempre eccellente e “chirurgico” Amott, ben assecondato da Nick Cordle (subentrato nel 2012 al fratello Christopher) nei fulminei scambi chitarristici e dall’immane Sharlee D’Angelo al basso: la vera sorpresa è proprio miss White-Glutz. Un’ottima professionista a conti fatti, in grado di reggere la scena con una voce solida, forse con un pizzico di tenuta in meno rispetto ad Angela Gossow, ma altrettanto carismatica e capace di attrarre gli occhi del pubblico.
E non solo per l’invidiabile aspetto fisico.

Inevitabilmente lungo ed articolato (la discografia della band è, del resto, piuttosto vasta), lo spettacolo prosegue per oltre un’ora e mezza, offrendo una scaletta incentrata più sulla produzione passata che sulle novità. Interessanti ed immancabili gl’intermezzi in cui apprezzare gli assolo di batteria e di chitarra (lo scambio tra Amott e Cordle è senz’altro uno dei momenti più gustosi dello show), mentre eccellenze da segnalare sono state senza dubbio le martellanti “My Apocalypse” e “Under Black Flag We March”, insieme alle più melodiche “No Gods No Masters” e “We Will Rise”, brano scelto quale conclusione “virtuale” del concerto prima dei classici encore.

I tre pezzi estratti dall’imminente “War Eternal” – la stessa title track, “You Will Know My Name” e “As The Pages Burn” – non sono apparsi, in ogni modo, inferiori alla qualità prodotta storicamente dalla band, segnalandosi come episodi di buon livello, melodici come tradizione ed all’occorrenza intransigenti e furiosi.
Un segnale confortante per la bontà del disco in uscita.

La conclusione, dopo il tradizionale (e sia concesso, ormai pure un po’ stucchevole) tira e molla tra la band dietro le quinte ed il pubblico a chiederne il ritorno on stage, è quindi riservata alla breve intro “Snow Bound”, seguita dalla furibonda “Nemesis” e dall’outro “Fields”. Un finale piuttosto consono, che suggella uno spettacolo vincente, intenso e di ottima resa, incorniciato – particolare non secondario – da un pubblico da “grande occasione”.

Fatte le dovute considerazioni a mente fredda ed orecchie riposate, l’idea che ne deriva, insomma, è che il cambio di line-up, per gli Arch Enemy sia stato tutt’altro che traumatico.
Alyssa è una frontwoman bella ed abile, dotata di ottimo mestiere (come detto, una vera professionista, ben lontana dall’essere improvvisata o sprovveduta) e di doti decisamente calzanti per il tipo di sound da sempre offerto dal combo di Michael Amott.

La band tiene molto bene, il suono è potente, l’abilità tecnica sprizza ovunque ed il microfono è passato saldamente in mano ad un’ottima artista, in grado di non far rimpiangere l’illustre figura di chi l’ha preceduta.

Un successo? Diremmo proprio di sì.

Setlist:

01. Tempore Nihil Sanat (Prelude in F minor)
02. Enemy Within
03. War Eternal
04. Ravenous
05. Revolution Begins
06. My Apocalypse
07. You Will Know My Name
08. Bloodstained Cross
09. Drum Solo
10. Under Black Flags We March
11. The Day You Died
12. Dead Eyes See No Future
13. As the Pages Burn
14. No Gods, No Masters
15. Guitar Solo
16. Dead Bury Their Dead
17. We Will Rise

Encore:

18. Snow Bound
19. Nemesis
20. Fields of Desolation