Power

Live Report: Battlefield Metal Fest, Milano (Ippodromo di San Siro) 02/07/2017

Di Davide Sciaky - 10 Luglio 2017 - 13:00
Live Report: Battlefield Metal Fest, Milano (Ippodromo di San Siro) 02/07/2017

Testo: Vittorio Cafiero // Fotografie: Davide Sciaky

Siamo nel pieno della stagione dei grandi eventi estivi dal vivo e, con l’assenza dei vari Gods Of Metal e Sonisphere, si sentiva la mancanza di un evento catalizzatore e “istituzionale” a forte connotazione metal. Era questo l’intento del Battlefield Metal Fest, alla sua prima edizione? Forse sì, anche se nel corso dei mesi il festival ha assunto forte specificità a livello di genere, diventando un piatto invitante per tutti gli amanti delle sonorità power & folk metal in particolare. Vediamo come è andata….

 

Firewind

Puntuali come un orologio svizzero (e diciamo subito che la puntualità sarà una costante del festival) la compagine a maggioranza greca sale sul palco, quando il sole e la temperatura sono ancora molto alti. E’ proprio la copertura della scena a fornire una limitata zona d’ombra, tanto che buona parte dei presenti si accalca davanti alle transenne per trovare un po’ di tregua dal caldo, ma anche e soprattutto per seguire ed incitare la band di Gus G, oramai definitivamente uscito dalla corte di Ozzy Osbourne. E i Firewind, con il loro heavy-power metal che ricorda quello dei Primal Fear ma più melodico e decisamente più tecnico, meritano alla grande gli applausi decisi degli astanti; ottimi pezzi, ben suonati, grande energia e tanto entusiasmo. Tutto quello che si vuole da una band in apertura e molto di più. Tutti sono in palla, dal veterano Henning Basse (tanti anni nei Metalium per lui) all’axe-man così simile a Zakk Wylde nello stile e nelle pose. Stupisce parecchio Bob Katsionis, che si alterna in modo eccellente tra tastiere e chitarra ritmica, mostrandosi decisamente indispensabile per la buona riuscita dei pezzi e nella strumentale “The Fire And The Fury” (proposta in medley con “World On Fire”) dà sfoggio di grandissima abilità in un doppio assolo (mano sinistra sulla chitarra, mano destra sui tasti d’avorio). Un’esibizione davvero convincente, per un gruppo che se fosse nato qualche anno prima sarebbe sicuramente più in alto nella bill.

Setlist:

Ode to Leonidas

We Defy

Head Up High

Hands of Time

World on Fire

The Fire and the Fury

Mercenary Man

Falling to Pieces

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Grave Digger

Capelli sempre più bianchi, ma smanicato con toppe nuove di zecca; è la stessa immagine di Chris Boltendhal che rappresenta al meglio quello che sono i Grave Digger nel 2017: un gruppo di metallari non più giovanissimi, ma che ha ancora la voglia e l’entusiasmo di un tempo e che non soffre di complessi nel dover avere a che fare con “concorrenti” giovani e talentuosi. Nessun bisogno di fare i “cattivi”, grande sorrisi verso il pubblico e, soprattutto, una colata di heavy metal classico che più classico non si può. Alla fine dei conti, del resto, tutto parte da qui. Tre brani tratti dall’ultimo, discreto “Healed By Metal”, dalla title-track alla priestiana “Lawbreaker” fino alla più scanzonata “Halleluja”, ma alla fine sono tutti qui per i pezzi forti, ossia le conclusive “Rebellion” ed “Heavy Metal Breakdown” veri e propri inni che dal vivo assumono ancora più intensità. Nel mezzo, un veloce viaggio attraverso una carriera tanto solida quanto costante, specialmente nello stile, con un Bolthendal che sa bene come incitare i presenti, mentre il resto della band fa la sua parte senza eccedere più di tanto. Il pubblico apprezza, si diverte e tributa il giusto riconoscimento ai quattro, anzi cinque – davvero esiguo il contributo al sound fornito dal “tristo mietitore” mascherato Markus Kniep, diciamolo – che gradiscono la reazione dei fans. Concretezza e consistenza.

Setlist:

Healed By Metal

Lawbreaker

Witch Hunter

Killing Time

Ballad of a Hangman

The Dark of the Sun

Hallelujah

Excalibur

Season of the Witch

Highland Farewell

Rebellion

Heavy Metal Breakdown

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Turisas 

I Turisas hanno il merito di vincere ben tre premi oggi: quello della sfortuna, quello dell’abnegazione e quello della simpatia. Il motivo? Doveroso elencare come hanno dovuto affrontare lo show in programma: privi del bassista di ruolo Jesper Anastasiadis, ricoverato, sostituito da Jukka-Pekka Miettinen, già precedentemente alle quattro corde nella band; senza la strumentazione (poi prestata dagli Ensiferum), make-up (poi fornito dai fans avvertiti via social) e costumi di scena, il tutto smarrito dalla compagnia aerea; con il forte ritardo, ancora dovuto a disguidi aerei, del violinista Olli Vanska, che raggiungerà solo la band a metà setlist. Insomma, una prestazione nata sotto i peggiori auspici davvero, che i Finlandesi sembrano affrontare con un mix di filosofia e adrenalina. L’approccio è diretto e totale, ben personificato dall’indole del possente frontman Mathias Nygård, davvero energetico e tarantolato sulla scena. Il folk metal dei nostri è melodico e sinfonico, decisamente lineare e ben si presta alla rappresentazione dal vivo. All’inizio dello show (completamente incentrato sull’album “The Varangian Way”), si sente certamente la mancanza del violino, che nella musica dei Turisas funge da solista centrale, in quanto il ruolo di Jussi Wickström è sostanzialmente quello di puro chitarrista ritmico. Ragion per cui la salita di tutta fretta di Olli Vanska sul palco è davvero un toccasana, che fa decollare l’esibizione. La proposta della band è sicuramente di facile presa sul pubblico, che reagisce agli incitamenti e al battle metal del gruppo di Hämeenlinna con la dovuta esaltazione. Anche per chi conosce poco i pezzi il divertimento è assicurato, del resto con un pezzo come “Miklagard Overture” non è difficile tirare fuori il meglio da un parterre già ben predisposto e le grida per Konstantinopolis! così come per il conclusivo inno “Stand Up And Fight” sono il sigillo ad una performance che, nonostante tutto, verrà positivamente ricordata dagli pubblico.

Setlist:

To Holmgard and Beyond

A Portage to the Unknown

Cursed Be Iron

Fields of Gold

In the Court of Jarisleif

Five Hundred and One

The Dnieper Rapids

Miklagard Overture

—-

Stand Up and Fight

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Ensiferum

Ancora Finlandia e ancora folk metal battagliero per il pubblico milanese del Battlefield Metal Fest. Ma sarebbe sbagliato pensare ad un rischio ridondanza della bill del festival, in quanto per chi segue un certo tipo di sonorità, le differenze tra gli Ensiferum e chi li ha preceduti ci sono ed è giusto sottolinearle: tanto melodici e “ignoranti” nelle loro cavalcate i Turisas, tanto quadrati e dalle chiare origini estreme gli Ensiferum, che ad un primo e superficiale ascolto non possono non rimandare ai celebri conterranei Children Of Bodom. C’è potenza e velocità, quindi, nello show di Petri Lindroos e compari, ma l’orecchiabilità non manca di certo a pezzi come “Token Of Time” o “Axe Of Judgement”, rappresentati senza lesinare energia, così come non manca certo la partecipazione dei fans, i quali, ormai convenuti in numero consistente sotto il palco, non possono non prodursi in veri e propri “balli” folkloristici e popolari. Il tutto grazie anche agli assist degli Ensiferum, che sanno bene come costruire inni che proprio questo fine hanno. Tutto da vedere il contributo della sorridentissima Netta Skog alla fisarmonica, che non risparmia headbanging e corse attraverso il palco. Dal canto suo, utilissimo alla causa anche l’apporto del solido Sami Hinkka al basso che, un po’ come Marco Hietala dei Nightwish, è spesso al centro dell’attenzione sia in quanto a incitamenti alla folla, che come backing vocals e presenza scenica. Una prestazione sostanzialmente priva di sbavature che certamente non ha deluso i fans: vere e proprie urla di incitamento durante la conclusiva “Lai Lai Hei” sono la ciliegina sulla torta dell’ennesimo gran concerto della giornata.

Setlist:

From Afar

Token of Time

Warrior Without a War

One More Magic Potion

Heathen Horde

Axe of Judgement

Burning Leaves

In My Sword I Trust

Two of Spades

Lai Lai Hei

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Blind Guardian 

Era il giugno del 1995 quando i quattro (all’epoca) bardi visitavano per la prima volta l’Italia e per la precisione proprio Milano, in una bagnatissima serata in quel minuscolo locale che era il Rainbow (RIP). Non erano tantissimi i fans accorsi, la band era decisamente ancora poco conosciuta al grande pubblico. Si trattava, guarda caso, proprio del tour di presentazione di “Imaginations From The Other Side”, uscito da poco, l’album che proprio in questa occasione viene riproposto dal vivo. Tanti anni sono passati e non è difficile rilevare quelli che sono stati i cambiamenti da allora, così come non è arduo identificare i punti fermi che oggi come ieri sono nel DNA della band di Krefeld. Già allora c’erano ambizione e determinazione che non avevano difficoltà a coesistere con una grande semplicità e serenità a livello personale, che traspariva dai volti sempre rilassati dei nostri. Da allora, i mezzi a disposizione della band sono cresciuti in modo esponenziale così come il modo di presentarsi sul pubblico, ma non è venuta meno la forte sobrietà del gruppo. I Blind Guardian che oggi si presentano sul palco sono una band davvero in palla, precisa, ultra-professionale e consapevole del proprio valore, così come dell’affetto dei fans. Il presentare uno dei loro album più apprezzati nella sua completezza non è uno stratagemma per raccattare benevolenza in modo semplicistico, perché nel tempo le risorse a livello compositivo non sono venute meno; il pezzo presentato in apertura, “The Ninth Wave” ne è l’esempio lampante: brano lungo e anthemico, che davvero non sfigura davanti ai grandi classici e che immediatamente accende la platea. I suoni e la performance appaiono subito di categoria, gli strumentisti non sbagliano nulla e lo stesso Hansi Kürsch, in passato non sempre impeccabile, fornisce una prestazione di alto livello. E oltre al lato squisitamente vocale, il cantante, per i meno giovani che ricordano le sue prime prestazioni senza il basso, sembra trasformato come presenza scenica e nel modo di porsi sul palco. Con le due dita tese in avanti sembra un condottiero che esalta la sua armata, la quale non esita a seguirlo. Altro elemento importante ed evidente, è l’equilibrio che il gruppo ha raggiunto nella veste live: oltre al preparatissimo Frederik Ehmke alla batteria, la presenza di tastierista e bassista di ruolo che affiancano Marcus Siepen (completamente dedicato alla ritmica), lasciano André Olbrich libero di focalizzarsi al 100% sulla solista, tanto che il suo cesellare licks è continuo e, soprattutto, preciso e pulito. Come si diceva, l’esecuzione è senza sbavature, eppure non fredda: si potrebbe temere una perdita di energia dovendo interpretare pezzi intricati ed iper-arrangiati, ma così non è. La crescita dei Blind Guardian è stata progressiva e proprio “Imaginations From The Other Side” (non necessariamente il migliore album della band per tutti) rimane comunque il punto di svolta definitivo dei nostri che danno sfogo alla loro voglia di “esagerare” attraverso un songwriting che diventa davvero ambizioso. Giusto quindi proporre un disco così importante nella sua interezza. La scaletta, quindi, è già conosciuta e non presenta particolari soprese (chi sperava in una “The Curse of Feanor” si è dovuto accontentare), tuttavia le emozioni non mancano, tanto che è difficile individuare il climax dello spettacolo, al di là della “solita” “The Bard’s Song”. Le due ore di show passano velocissime e non sono certo le fastidiosissime zanzare a togliere la voglia ai presenti di gustarsi altra musica. La performance volge al termine e se ne vorrebbe ancora di più: i Tedeschi percepiscono l’entusiasmo della Bella Italia (cit.) e ringraziano soddisfatti. Una richiestissima “Majesty” chiude un concerto che verrà ricordato a lungo.

Setist:

The Ninth Wave

Welcome to Dying

Nightfall

Fly

Imaginations from the Other Side

I‘m Alive

A Past and Future Secret

The Script for My Requiem

Mordred’s Song

Born in a Mourning Hall

Bright Eyes

Another Holy War

And the Story Ends

—-

Sacred Worlds

Valhalla

The Bard’s Song – In the Forest

Mirror Mirror

Majesty

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Conclusioni

Poco da aggiungere dopo tante prestazioni di livello così alto. Il Battlefield Metal Fest, nonostante un numero di presenze non elevatissimo (saranno stati circa duemila gli spettatori a fine serata) e qualche piccolo problema di contorno (i controlli serrati all’ingresso, il poco merchandising disponibile, senza ovviamente dimenticare le sfortune che hanno colpito i Turisas) si è rivelato davvero una bella rassegna, che ha visto nella puntualità e nella professionalità di tutti gli addetti ai lavori (dalle band agli organizzatori) i suoi punti forti. Quando le cose funzionano, il clima che si respira tra i fans è disteso e predispone alla partecipazione attiva ed entusiasta. C’è davvero da sperare che questo sia stato il “pilota” di altre edizioni in futuro: la Milano Metal ha bisogno di un suo punto fermo nell’ormai sterminata pletora di eventi estivi a disposizione degli appassionati.