Live Report: Folkstone a Moncalieri

Di Giacomo Cerutti - 5 Novembre 2013 - 0:01
Live Report: Folkstone a Moncalieri

Stasera ci troviamo nel torinese, precisamente all’Audiodrome di Moncalieri (TO), che accoglie i mitici Folkstone, portabandiera incontrastati del folk/metal italiano, per l’ultima tappa dell’All’Inverso Tour. Ad accompagnarli troviamo uno special guest rigorosamente italiano, con band già affermate sulla scena e altre emergenti che per molti usciranno allo scoperto. All’apertura del locale c’è già un discreto numero di persone: tra folkettari, celtici, gotici e le schiere dei fan onnipresenti, è bello vedere che i nostri beniamini richiamano un vasto pubblico di tutte le età.

 

Ad aprire la serata spetta agli Henderwyd, band folk metal di Torino che aveva partecipato all’edizione 2012 del Fosch Fest. Essendo al lavoro sul nuovo album, propongono quattro pezzi tratti dal loro omonimo EP. Accolti calorosamente, si dimostrano coinvolgenti sia musicalmente sia scenicamente. Dal loro sound si notano influenze black al thrash, scaturite soprattutto dai riff di chitarra e le linee di basso, ammorbidite dalle tipiche melodie apportate dalla violinista e dal tastierista, che in alcune parti suona anche il violoncello. Date le ridotte dimensioni del palco, il batterista si vede costretto in un angolino laterale ma i suoi battiti risuonano alla grande. È ovviamente degna di nota la prestazione vocale delle due giovani cantanti che, spartendosi un solo microfono, si rivelano molto dotate e versatili, cantando sia in pulito sia in growl. Inoltre, chitarrista e tastierista sono anche backing vocals, e apportano così spessore vocale grazie ai cori in growl. Una performance breve ma molto convincente. Molto coesi e tecnicamente preparati, gli Henderwyd conquistano il pubblico senza difficoltà raccogliendo numerosi applausi.

Setlist:
Valley Of No Return
Castle Ruins
Sulle Orme Di Gontia
Course Of The Bard

Calcano ora il palco gli Ideogram, band avantgarde milanese con all’attivo l’attuale demo “Raise The Curtain”. Il loro è un genere molto particolare che consiste nello sperimentare varie influenze musicali, ma essendo personaggi eclettici, abbinano anche l’arte del teatro. Entrando in scena, l’impatto coreografico è immediato. Ogni componente rappresenta (anche nominalmente) una tipologia di teatro, grazie al costume, alle maschere o al face-painting. Anche il loro tempo a disposizione è ridotto, ma con poche canzoni rendono al meglio la loro bravura tecnica e sperimentale: i riff di chitarra di Kabuki accompagnate dalle linee di basso di Absurd, passano dall’heavy, al death, al black al thrash, con linearità o con scatti improvvisi, contornati da soli veloci e armonici sforando anche nello psichedelico, seguiti da un instancabile batterista di sottofondo e le melodie emergenti dalla tastiera di Grand Guignol. Ottima la prestazione vocale della cantante Opera, dal cantato lirico impeccabile, cui si alternano parti vocali in scream e growl rispettivamente da parte di Grand Guignol e Kabuki. Una band che ha molto da offrire e che per apprezzarsi pienamente bisogna assolutamente vedere in live. Grande preparazione, passione e sinergia tra i membri che, a fine show, vengono ricoperti di applausi.

Setlist:
Falling Snow
Geisha For My Demons
In A Cobalt Ocean
Evil (In Her Hands)
The Art Of Bleeding
 

Per la scena folk metal torinese, molto fiorente, è il momento di un’altra band autoctona, i Lou Quinse. Fondati nel 2006 da Daniele Quaranti e Furio Sguayzer, esordiscono nel 2011 con il full-length “Rondeau De La Forca”. La band è formata da ben otto membri che, sul modesto palco, riescono a malapena muoversi, ma l’energia sprigionata è notevole. Le ritmiche di Ivan e Dennis creano una solida base, solidificata da Domenico al basso, mentre a dare la classica melodia ci pensano il fisarmonicista Furio e Michele, addetto ai flauti e zampogna. Le canzoni variano da ritmi molto pesanti, dove si sente molto la spinta martellante di Simone dietro le pelli, a parti più folcloristiche e allegre. In entrambi i casi si nota la bravura e versatilità di Daniele che ben si destreggia nel cantare in growl e scream. Il pubblico finalmente si scatena ballando e pogando. Il pogo è incitato soprattutto dal batterista, che più volte si lancia sul pubblico visibilmente aumentato. On stage è presente anche una ragazza che non ha un ruolo preciso ma che non perde occasione per incitare ulteriormente i presenti. Durante l’esibizione, inoltre, per divertire ulteriormente il pubblico vengono lanciati dei palloni giganti. Avevo già visto e gradito i Lou Quinse al Fosh Fest di quest’anno, ma stasera hanno dato davvero il meglio grazie alla loro bravura, energia e forte interazione, dando una marcia in più a una serata in crescendo.

Setlist:
Calant De Villafranca
En Passant La Riviere
Rondeau De La Forca
La Dançarem Pus (inedito)
Pour Passar Lou Rhone
Ai Vist Lo Lop
 

Ora che il pubblico è ben riscaldato entrano in scena i bergamaschi Ulvedharr, nati nel 2011 con all’attivo l’EP “Viking Tid” e il full-length “Swords Of Midgard” uscito quest’anno. Nonostante abbiano solo due anni di carriera, stanno prendendo piede alla grande grazie all’intensa attività live e infatti quest’anno ho avuto occasione di vederli al Worst Fest III e al Fosch Fest. I loro show sono una garanzia: appena salgono sul palco vengono accolti calorosamente, il frontman Ark chiede ai presenti se sono pronti a fare casino e come risposta ottiene un urlo fragoroso (ormai scontato). Senza indugi attaccano con un pezzo inedito, “The Last Winter”. Un muro di suono si abbatte sulla platea, i potenti riff di Ark e Fredreyk sono fortificati da Klod al basso, Mike fa davvero tremare la batteria, Ark come sempre si dimostra un gran chitarrista e vocalist con il suo timbro sporco e gutturale che si sposa benissimo con il sound di chiaro stampo death metal. La loro furia scatenatrice di pogo si accosta sempre all’ironia di Ark che, impettito e carico di birra al punto giusto, incita in tono di sfida a fare ancora più macello. Durante “War Is The Eyes Of Berseker” due giovani fan salgono on stage a cantare il ritornello e con “Onward To Valhalla” avviene l’invasione totale. Anche stavolta non hanno deluso le aspettative, un’esibizione di grande impatto sonoro, violenta, divertente e coinvolgente. Con “Harald Hàffagri”, che vede la partecipazione di Pagan (cantante dei Furor Gallico), concludono un live di fuoco ritirandosi accompagnati dal consueto coro “Ulvedharr!, Ulvedharr!,…”.

Setlist:
The Last Winter (inedito)
War Is The Eyes Of Berseker
Odin Father Never Die
Ymir Song
Battle Of Asgard (inedito)
Onward To Valhalla
Harald Hàffagri

Dopo questa cannonata gli animi si placano con l’arrivo della “Grande Madre”, ovvero la band più importante del suolo torinese, i grandiosi Mater Dea. Fondati nel 2008 da Simon Papa e Marco Strega, hanno all’attivo due album e il terzo in lavorazione, “A Rose For Egeria”, che uscirà nel 2014. Dal 2011 a oggi hanno percorso un’intensa attività live partecipando a numerosi festival tra i quali il Pipes And Drums Celtic Festival (Ginevra), Fosch Fest (BG), Beltane Festival (BI) e molti altri. Inoltre, con le celebri hit “Another Trip To Skye” e “Fairy Of The Moor” si sono piazzati ai primi posti delle programmazioni di molte radio podcast internazionali. Il locale è strapieno e alla loro comparsa si sollevano urla concitate e applausi. Inutile dire che si portano appresso una copiosa schiera di fan. Partendo con l’inedita “Beyond The Painting”, l’Audiodrome si immerge in un’atmosfera celtica. Il sound dei Materdea è molto curato tanto quanto i costumi di scena: una perfetta amalgama tra musica rock data dalle ritmiche di Marco Strega e le linee di basso di Morgan De Virgilis; fluidificate dalle melodie apportate dalla violinista Elisabetta Bosio ed Elena Crolle alle tastiere. Il tutto sotto la spinta di Cosimo de Nicola dietro le pelli. Tra i membri c’è una grande sinergia, e dinamismo con cambi di posizione e affiancamenti, ma senza dubbio la regina della scena è la vocalist Simon Papa, una presenza angelica nonostante l’abito dark, una bellissima voce melodica che ammalia e incanta con movenze sinuose e teatrali. Tra musica e parole c’è una perfetta alchimia che trasforma ogni canzone in un viaggio mistico, a volte più introspettivo e sognante oppure più fisicamente coinvolgente dove la parte rock ha la supremazia. Con “The Little Diviner” i Materdea concludono un’esibizione come sempre di alto livello ricevendo meritati applausi dagli amati fan e, sicuramente, gli apprezzamenti da chi li ha visti per la prima volta.

Setlist:
Beyond The Painting
The Green Man
Satirycon
Broomoon
Benandantes, Malandantes
A Rose For Egeria
The Little Diviner
 

Siamo giunti al culmine della serata: stanno per suonare gli alfieri del folk metal italiano, i Folkstone. Ormai non hanno più bisogno di presentazioni e dal locale strapieno riecheggia il coro di rito “Folkstone!, Folkstone!,…”. Le luci si abbassano, la tensione dei fan sale e con la partenza dell’intro “Ol Bal Di Oss” questi iniziano a battere le mani a tempo. Quando i nove bergamaschi salgono sul palco si alzano urla concitate che, appena attaccano col cavallo di battaglia “In Taberna (In Vino Veritas)”, si trasformano in un boato. Da subito s’inizia a cantare e a ballare, il divertimento è una prerogativa fondamentale dei loro concerti. Si procede con “Non Sarò Mai” tratta dall’ultimo album “Il Confine”, dando una forte scossa che sfocia nelle prime sane pogate. La band ha una notevole carica, presenza scenica invidiabile e, tra i componenti, c’è sempre una forte coesione. I riff folk metal di Luca e le note vibranti di Federico al basso son sempre trascinanti, condite dalle melodie elargite da Roby, Teo, Andreas e Maurizio, polistrumentisti che si dilettano tra cornamusa, rauschpfeife, Cittern e percussioni, accompagnate delle dolci note che dilagano per mano di Silvia all’arpa. Dalla platea si alzano cori per i singoli membri, ma il portavoce rimane sempre il frontman Lore che, con il suo carisma, canta esaltando i brani con passione e vigore, appoggiato nei cori da tutti i membri. Degna di nota la performance vocale di Roby con “Un’Altra Volta Ancora”. Il repertorio è ampio, e inoltre non mancano un paio di cover molto apprezzate, “C’è Un Re” (Nomadi) e “Tex” (Litfiba). L’interazione col pubblico è eccellente, pezzo dopo pezzo le urla e gli applausi non si contano più, ma i fan irriducibili non ancora soddisfatti così dalla prima fila invadono palco durante “Frerì” e “Anime Dannate” cantando e scapocciando con grande gioia da parte della band. Dopo l’esecuzione di “Rocce Nere” i Folkstone si ritirano per una meritata pausa, e anche la platea può riprendere fiato dagli incessanti balli e pogate. Al rientro la band suona un encore di ben quattro pezzi, concludendo con la celebre “Con Passo Pesante” dove avviene l’ultima invasione di palco per una chiusura di gran classe. Che altro dire, l’ultima tappa dell’All’Inverso Tour non poteva andare meglio di così. Una serata all’insegna del divertimento e della fratellanza che solo i Folkstone sanno elargire. Li aspettiamo impazienti con un altro album e conseguente tour, perché di loro non si può fare a meno.

Setlist:
Ol Bal Di Oss
In Taberna (In Vino Veritas)
Non Sarò Mai
Lo Stendardo
Grige Maree
C’è Un Re (Nomadi cover)
Respiro Avido
Luna
Il Confine
Frerì
Anomalus
Anime Dannate
Terrasanta
Tex (Litfiba cover)
Frammenti
Un’Altra Volta Ancora
Omnia Fert Aetas
Rocce Nere

Encore:
Nebbie
Folkstone
Vortici Scuri
Con Passo Pesante

Report a cura di Giacomo Cerutti