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Live Report: XXV Agglutination Metal Festival – 17 agosto 2019, Chiaromonte (Potenza)

Di Giuseppe Casafina - 22 Agosto 2019 - 12:19
Live Report: XXV Agglutination Metal Festival – 17 agosto 2019, Chiaromonte (Potenza)

Venticinque anni. Cinque lustri. Un quarto di secolo.

E così, eccoci giunti al grande giorno: 17 agosto 2019, Chiaromonte, provincia di Potenza.

Edizione dell’Agglutination numero 25.

Detto questo, ogni parola in più per introdurre ciò sarebbe inutile: bene, sotto il sole cocente, ma spesso intervallato da ampi spazi annuvolati, eccoci così al Live Report ufficiale della venticinquesima edizione dei quello che è, oggi, un traguardo mai raggiunto prima da qualsiasi altro festival tricolore.

Che si parta…

Comparto scritto a cura di Giuseppe Casafina.

Comparto fotografico a cura di Daniele Parisi.

Che le danze abbiano inizio! Dal palco arriva un urlo e…un sintetizzatore!

Un inizio certamente atipico ed originale per gli standard dell’Agglutination. Tocca infatti agli horror/shock metaller tricolore Scream Baby Scream , vincitori del Take Off Contest Agglutination, aprire le danze quest’anno con la loro miscela di riff Thrash, momenti Symphonic Black Metal, attitudine Industrial e spruzzi di elettronica. Una miscela che, sebbene agli occhi dei puristi possa apparire quantomeno fuori luogo, sul palco vanta comunque una certa efficacia.

Alla band va dato il merito di aver saputo aprire nel migliore dei modi, nonostante una presenza di pubblico ancora minimale rispetto alle file su file di gente che popoleranno l’area del festival nelle sue fasi finali, ma soprattutto nonostante alcuni problemi tecnici che hanno penalizzato in parte la loro esibizione: il computer che gestiva alcune delle partiture elettroniche tipiche della band (parte del pubblico ha storto il naso per la presenza di alcune voci femminili campionate, ma è comunque un fattore nello standard del genere) infatti, a momenti pareva come ‘morto’, non emettendo alcun segnale e costringendo la band a pause tra un pezzo e l’altro ben più lunghe del dovuto. Il terzo e quarto pezzo proposto soffrono quindi di questo leggero disguido tecnico, ma va comunque detto che nella fase di esecuzione vera e propria la band si è saputa far riscattare: la presenza scenica offerta da questi ‘zombie del Metal’ ha un certo impatto, oltre che una presa sul pubblico non seconda a nessuno.

Gli strumentisti, per nulla intimiditi dal grande palco lucano, scorazzano da una parte all’altra del palco e il vocalist non è da meno: pezzi come ‘Make Your Choice’ e ‘Scream Baby Scream Till Death’ hanno un certo fascino e presa, mentre il songwriting è nella tradizione del genere, senza cali di tensione. Ricordate i forse mai dimenticati The Kovenant di “Animatronic” e “S.E.T.I”? Bene, con gli zombie nostrani ci muoviamo più o meno sulle medesime coordinate, ma l’attitudine è, in questo caso, decisamente meno cyber e molto, molto più Rock & Roll!

Promossi.

Setlist Scream Baby Scream:

Garden Of The Stones

Make Your Choice

Mouth Of Madness

Scream Baby Scream Till Death

 

Sale sul palco uno dei momenti più attesi dell’intera esibizione, e non solo per il fatto che il Doom Metal ha sempre latitato la sua presenza nel corso della mitica manifestazione lucana.

Mario “The Black” Di Donato non è certo l’ultimo degli arrivati e la sua presenza, in occasione proprio della venticinquesima edizione dell’Agglutination, suona come un doveroso tributo alla sua creatura e alla sua estremamente longeva carriera, da sempre avvolta nelle tenebre dell’underground più oscuro senza mai vedere alcuno spiraglio di luce, per scelta, per devozione. Proprio come la sua musica.

Mente dei Requiem prima e di altri progetti ancor prima di allora, stiamo parlando di uno dei pionieri del movimento Heavy/Doom italiano che, alla venerabile età di 68 anni, con i suoi The Black macina riff e psichedelia sin da fine anni ’80. Oggi, sul palco della manifestazione lucana, il Maestro (maiuscola rigorosamente d’obbligo) ci omaggia con un set che forse non brillerà per presenza scenica sul palco, ma che comunque offre numerosi spunti d’interesse: la loro proposta infatti, decisamente oscura, infarcita tra tempi di una lentezza estenuante e momenti più Heavy, è perennemente devota al lato oscuro della vita.

Il pubblico percepisce il feeling unico emanato dalla band, rimanendo sulle sue come in un religioso silenzio, in segno di rispetto per la ‘Messa’ intonata da Mister Di Donato e dai suoi compagni d’avventura.

Una Messa ‘Nera’ dati i toni in cui questa si esprime, ma allo stesso tempo che insegna a riflettere, non sai come, non sai perché, ma intanto l’effetto è quello e solo i grandi Stregoni della musica riescono a far ciò, ipnotizzando il proprio pubblico con i loro incantesimi liturgici infarciti sulla scelta delle sette note musicali.

Ripescando da un po’ tutta la discografia della sua oscura creatura, il Maestro e i suoi compagni ci omaggiano di numerosi momenti di altissimo interesse musicale: le liriche prevalentemente in latino e l’intensità con cui viene emanata ogni singola nota (fattore ampiamente percepito dai presenti non solo delle prime file di pubblico) riescono ad avere la meglio su un sound di palco a tratti non esattamente perfetto, ma che veniva via via livellato, fino a raggiungere una forma finale che avesse finalmente un senso. Il Maestro viene omaggiato con decisi boati alla fine di ogni brano e, in sede di chiusura, il pubblico accorso (già discretamente numeroso per quanto mi è parso di percepire) omaggia l’Oscuro Cantore con una standing ovation di notevole impatto uditivo (poveri i nostri padiglioni…ma ci sta).

Setlist The Black:

Museum

Lupi Fortes

Mala Tempora

Necrofobia

Castrum Pesculum

Immota Manet

Cerbero

Chi diamine sono questi Carthagods? Da dove saltano fuori?  E perché così inaspettatamente in alto per una formazione del tutto sconosciuta in Italia che è ancora al secondo disco?

Queste le domande che tintinnavano, me compreso, nelle teste (e spesso anche nelle bocche) dei presenti, sia tra i social una volta che costoro, mesi fa, furono annunciati nella line-up, sia poch’istanti prima che salissero sul palco. Nemmeno il folto sottobosco del web fornisce molti dettagli su di loro e la loro attuale casa discografica (la Darkside Records, dall’Estonia), autrice da pochi mesi della pubblicazione del secondo album qui presentato, “The Monster In Me”, vanta unicamente loro nel roster artistico. Insomma, curiosità e tante, tante domande…ma Gerardo Cafaro, Deus Ex Machina della manifestazione, da sempre conosce bene i propri discepoli richiamati a presenziare alla sua adunata metallica.

E proprio pochi istanti dopo tali momenti pregni d’incuriosita tensione e veloci domande, dei musicisti dai tratti molto mediterranei salgono sul palco e, nella fase di riscaldamento, un brano di musica classica (invero decisamente coinvolgente) di una certa epicità rende l’attesa ancora più spasmodica. Ed è anche giusticata, tale attesa, dato che i Nostri furon già in precedenza chiamati a presenziare presso la popolare manifestazione lucana, edizione 2015 per la precisione (e pertanto ai tempi del disco di debutto), ma alcuni problemi d’identificazione alla dogana impedirono alla band di giungere nello Stivale.

I musicisti tunisini però, quest’anno sono presenti a tutti gli effetti e, una volta che il suono richiama a compito il loro operato, sono pronti a fornire le risposte che noi tutti attendevamo con ansia: sin dai primissimi secondi di esecuzione, il pregevolissimo Progressive Power Metal dei Carthagods esplode dei padiglioni auricolari di noi presenti, rivelando un sound che dal vivo appare estremamente diretto, dove il termine ‘Power’ sta lì ad esprimere indubbiamente la potenza di suono nel complesso più che a descrivere improbabili partiture in serie di doppia cassa senza senso, tipico cliché di moltissimi ensemble Power Metal. Idem dicasi per il termine ‘Progressive’, che in questo caso appare tendenzialmente una valida motivazione per delineare atmosfere e momenti di diversa intensità all’interno dei brani, più che una blanda scusa per inserire eventuali ‘sboronerie’ strumentali senza capo né coda, come invece spesso si usa fare in altri casi che adesso non mi par utile citare.

Tecnicamente, la formazione è al top e anche la presenza scenica si rivela formidabile (anche se il frontman spesso e volentieri si appoggia a stilemi faciloni come un ‘Are You Ready?’ ripetuto su più riprese, ma si può tranquillamente passare oltre). Quello a cui oggi il pubblico sta assistendo è uno show di fortissimo impatto, la cui setlist saccheggia sapientemente l’ultimo efficacissimo disco pubblicato dall’ensemble, reso tale da una formazione carica come personalmente non ne vedevo da anni, con musicisti la cui musicalità di altissimo tatto va di pari passo con la carica sprigionata sul palco, dando così l’effetto di riportare dal vivo l’esatta intensità che la loro musica richiede nei singoli, specifici momenti (anche nei brani più lenti e dall’impatto più morbido, come dimostrato su questo palco). La spettacolarità dell’intera esibizione è data, inoltre, unicamente dalla bravura dei singoli musicisti sul palco nel complesso, con il vocalist Tarak Ben Sassi a spiccare il volo per via delle sue ampie capacità vocali (alla pari se non meglio di molti rinomati singer storici, per dirla tutta), con il resto della band che gli costruisce attorno una base musicale perfetta su cui intonare i suoi canti metallici.

Il pubblico, sia preso che (tuttora) sorpreso, dopo un primissimo momento di gelo poi saggiamente ‘scongelato’ dal calore emanato dal frontman, segue la band come ipnotizzato, anche chi (almeno a giudicare dal genere delle t-shirt indossate) non è propriamente avvezzo al  genere proposto dai metaller tunisini. Impossibile è, infatti, restare impassibili di fronte al calore emanato dai nostri eroi del Metal tunisino, e la fa fine dell’esibizione è un trionfo senza precedenti per la band nordafricana, salutata da un pubblico la cui curiosità è stata, indubbiamente, saziata nel migliore dei modi possibili.

La musica, l’impatto, il feeling col pubblico.

Non potrebbero mai esserci state date delle risposte migliori.

Promossi senza riserve.

Setlist Carthagods:

Whispers From The Wicked

The Devil’s Dolls

Memories Of Never Ending Pains

The Monster In Me

Ed ecco arrivato uno dei momenti più attesi dai numerosissimi esponenti della vecchia guardia del Metal tricolore qui presenti, l’esibizione della Strana Officina!

La formazione italiana sale sul palco letteralmente invocata a gran voce da una mole di fan, rigorosamente in veste Strana Officina (riferendomi alla numerosa mole di t-shirt della storica formazione tricolore indossata da un gran numero di presenti alle prime file) e pronti ad urlare nella migliore tradizione del Rock ‘N’ Roll.

La mole dei presenti, ovviamente, non viene delusa e, partendo da ‘King Troll’ (da “Rock & Roll Prisoners” del 1989), il viaggio nel passato è servito: sebbene oggi privi della presenza dell’ormai storico Dario “Kappa” Cappanera alla sei corde per cause lavorative dello stesso, momentaneamente sostituito dal funambolico Denis Chimenti, sia la band che i fan non sembrano affatto accusare il colpo. Mister Chimenti è, a conti fatti, l’ideale sostituto del Kappa, con la sua estetica da rocker vecchia scuola e la sue movenze da musicista appassionato e vissuto, al punto che la sua presenza è percepita, da tutto il pubblico, allo stesso livello d’importanza dei tre membri storici/ufficiali presenti qui stasera.

Dal canto suo, lo storico frontman Daniele “Bud” Ancillotti, carico a mille e visibilmente onorato di presenziare proprio in occasione della venticinquesima occasione del festival lucano, sa come arringare i discepoli de ‘La Strana’, soprattutto dopo così tanti anni di carriera. Dopo i primi, decisi headbanging da parte dei più acerrimi sostenitori della formazione italiana su ‘Sole, Mare, Cuore’, parte anche il pogo su ‘Law Of The Jungle’, title-track dell’ultimo album in studio, presentata per la prima volta in assoluto dal vivo proprio qui all’Agglutination.

Ma, come da tradizione, è su ‘Non Sei Normale’ che il caro ‘Bud’ raggiunge l’apice d’invocazione del popolo metallico qui per lui accorso, ricordando ai presenti che qui, nessuno, tra di loro, è normale! Brano il cui ritornello, come sempre da tradizione, viene fatto intonare ai presenti in tutta la loro forza d’urto vocale.

Su ‘Autostrada dei Sogni’ però, si raggiunge uno degli apici di maggiore intensità di questa edizione: il caro ‘Bud’ cade in un sogno ad occhi aperti dinanzi ai presenti, ci parla del primo EP, del lontano 1984 (“…molti di voi probabilmente allora non erano nemmeno nati, ma vi racconterò una storia…”) e, con uno sguardo di soddisfazione ma che non troppo furbescamente nasconde una lacrima, innalza al cielo le corna e lo sguardo sussurrando nel microfono una dedica a Fabio e Roberto Cappanera nonché a Marcello Masi, ex-membri della formazione non più presenti nel nostro Mondo.

Momento di altissimo pathos, che ha commosso gran parte dei presenti  e che ci fa capire come il Rock & Roll sia sempre una grande famiglia, unita da un legame eterno e indissolubile quale è appunto la musica.

Sulla conclusione, affidata a ‘Metal Brigade’, Bud dedica il pezzo a tutti i presenti sia giovani che meno giovani, nella speranza che la Metal Brigade tricolore possa continuare ad esistere per sempre. Il brano finisce. Alcuni, tra cui il sottoscritto, urlano un bis ma quest’anno, purtroppo, i tempi sono stretti e vanno rispettati a cronometro. Non me ne vogliano a male altre formazioni altrettanto importanti, ma oggi la Strana Officina ha confermato a tutti i presenti di rappresentare in toto L’HEAVY METAL italiano e che nessuno, tranne pochi altri degni superstiti di quell’epoca d’oro, potrà mai seguirne degnamente le orme.

Nel cuore, sempre.

Setlist Strana Officina:

King Troll

Profumo Di Puttana

Sole, Mare, Cuore

Law Of The Jungle

Non Sei Normale

Autostrada Dei Sogni

Metal Brigade

Le prime tenebre del tardo pomeriggio estivo giungono su Chiaromonte, fornendo così la perfetta atmosfera per la band che per molti è il motivo di questa giornata qui, tra queste lande lucane: è arrivato il turno del Black Metal e i norvegesi Carpathian Forest salgono sul palco con il loro solito abbigliamento d’ordinanza tra face painting, borchie, ossa e teschi appesi in ogni dove (Nattefrost soprattutto).

Partendo con l’omonima ‘Carpathian Forest’, i blackster norvegesi sulle prime battute appaiono un po’ scazzati, soprattutto Nattefrost durante i primi due pezzi è visibilmente molto chiuso e sulle sue, poco coinvolto. Ok che si suona Black Metal, ma Nattefrost è Nattefrost e, chi lo conosce, sa bene che non è affatto il classico black metaller e la sua storia ce lo ha insegnato bene (…i suoi due dischi solisti vi dicono nulla?).

Al terzo pezzo (‘The Beast In Man – Origin Of Sin’), la formazione spicca leggermente il decollo, probabilmente grazie al calore dei fan nelle prime file, accorsi appositamente per loro. Ok, nel concetto una formazione di gelido Black Metal che viene riscaldata dal suo pubblico farebbe abbastanza ridere ma, come sempre, stiamo parlando dei Carpathian Forest e non di gente tipo gli improponibili Goatfago (da me recensiti su queste pagine con un severo ma giusto 1/100), quindi la cosa ci sta, e poi alla fine siamo tutti umani, anche se blackster. Lo storico bassista Vrangssin è sempre lì dove deve essere, al suo fido quattro code, con Nattefrost che spesso e volentieri gli si avvicina e gli sussurra qualcosa nell’orecchio (data l’indole di Nattefrost, non oso immaginare cosa). La setlist è lunghissima, con il risultato che la loro performance non sembra smettere mai, cosa che però ai numerosi black metaller qui presenti non sembra essere di problema alcuno, con l’impressione che, fosse per loro, i norvegesi potrebbero continuare fino alla fine della manifestazione, facendo saltare di prepotenza il turno delle due formazioni a loro successive.

Nattefrost, privato dei suoi orpelli scenici (no scene di nudità, no sadomaso, per volere dello stesso staff Agglutination, probabilmente a seguito delle fasulle accuse di satanismo nei confronti dell’esibizione dei Death SS nel corso della scorsa edizione, non si poteva mai sapere…) extra-musicali (ehm…), non resiste affatto a regalarci qualche scenetta tipica delle sue, come ad esempio il dito medio rivolto a tutti noi fotoreporter sotto l’area Press (il frontman pare non gradire molto l’essere fotografato), una delicatissima simulazione di masturbazione con un microfono inserito nella patta dei pantaloni oppure…ok, questa ha bisogno di un paragrafo a parte.

Insomma, quel buon caciarone pittato di Nattefrost, se non erro prima del ’esecuzione di ‘When 1000 Moons Have Circled’ (ma potrei sbagliarmi), afferra il suo Smartphone, segretamente nascosto di fianco ai suoi piedi, forse per controllarne le notifiche suppongo, con tanto di gesti atti a zittire il pubblico…oh, ragazzi, anche un blackster ha i suoi impegni, e che diamine! Dato il personaggio, si tratta sicuramente di una sua uscita voluta, come voluta è stata la scena in cui ha successivamente volutamente afferrato sempre il suo Smartphone allo scopo di effettuare una diretta via social, con tanto di modalità selfie camera, ammiccamenti facciali, proprio durante l’esecuzione di uno dei pezzi successivi, poco prima della fine. Nattefrost è come sempre un gran cazzaro!

Ma, al di là del simpaticone (o meno, dipende dai gusti) dietro al microfono che noi tutti conosciamo, com’è stata la performance della storica formazione norvegese? Volendo proprio essere imparziali, si è trattato della classica prova di buona portata che, proporzionalmente, si apprezza in base a quanto si apprezzano sia le sonorità che soprattutto il personaggio coinvolto (e che di conseguenza può divenire straordinaria oppure noiosa a seconda delle proprie preferenze di partenza): la band appariva molto sulle sue nonostante tutto e lo spettacolo proveniva in maniera sicuramente maggiore da  parte del pubblico che dal palco. Nattefrost ogni tanto guardava storto qualcuno, inveiva contro qualcosa rimanendo molto sulle sue, ha anche per pochi istanti indossato i suoi occhiali da vista sopra il corpsepaint ma questa è stata una scena veramente di pochi secondi a cui noto ben pochi hanno fatto caso, e di cui sinceramente non ho davvero capito il senso.

Probabile che le limitazioni indotte dal team Agglutination abbiamo intaccato la spettacolarità indotta da certi aspetti extra-musicali della performance: da come si può dedurre è il buon Nattefrost (fatta eccezione per l’azzerata interattività col pubblico, finito un pezzo con una brevissima introduzione, rimanendo molto sulle sue, annunciava il prossimo e così via) a fare quasi tutto il gioco, con Vragssin e il resto della band davvero sulle sue. Il pubblico incitava, urlava, bestemmiava, ma Nattefrost sembrava non fregarsene molto…parte del suo personaggio? Realmente scazzato? Forse ubriaco? Chi lo sa…ma chi lo adora, come personaggio, ha continuato a farlo anche in sede di questa performance. Musicalmente la formazione appare chirurgicamente precisa, con le cover di ‘A Forest’ dei The Cure (in una versione rinnovata rispetto alla prima cover proposta oltre venti anni fa in studio) e ‘All My Friends Are Dead’ (tra le uniche eccezioni di ‘calore’ del buon Nattefrost, che introduce il pezzo chiedendo ai presenti se i loro amici fossero ancora tutti vivi, domanda a cui lui stesso risponde nominando il titolo del pezzo) dei Turbonegro ben inserite nel resto della scaletta.

Poi, arriva il finale, con ‘It’s Darker Than You Think’ (…era ora!) e ‘Suicide Song’: nel corso di quest’ultima, capisco molte cose…Nattefrost, nella brevissima introduzione verso il pezzo conclusivo, manda letteralmente a quel paese tutti i presenti nel suo tipico stile strafottente, e sussurrando un qualcosa di solo vagamente comprensibile che mi è parso tipo ‘…fu**in’ Smartphones…kill yourself…that’s for you…goodnight!’ (molto approssimativamente, prendete tale affermazione con le pinze, ma che fosse schernito per la presenza dei cellulari tra il pubblico era molto visibile), prima di annunciare il pezzo vero e proprio.

Probabile che al buon ‘Natty’ gli Smartphone mentre si suona dal vivo non vadano molto a genio…e il che mi fa supporre che le due scenette sopra citate da parte sua, altro non fossero che prese in giro verso il pubblico, più che veri bisogni di controllo notifiche (!) e improbabili dirette via social (!!)…o almeno così, per logica, si suppone! Parlando invece della musica vera e propria e della resa di palco, imparzialmente si potrebbe dire che tutto sommato abbiamo assistito ad una valida performance, con un sound di palco freddo e una voce di Nattefrost effettata (o per meglio dire riverberata) al punto giusto, coerente con il genere suonato e con il personaggio principale il quale, finalmente, dopo anni ha anche offerto una performance vocale migliore (ma vi è ancora molto terreno da recuperare…ammesso che sia ancora possibile) rispetto alle sue ultime imbarazzanti prove dal vivo. Solo una grande pecca, però, noi tutti abbiam notato: dove diamine era ‘Sadomasochistic’ ragazzi?

Setlist Carpathian Forest:

 Intro – Through Fever Flames

Carpathian Forest

Through Self Mutilation

The Beast In Man – Origin Of Sin

Likeim

All My Friends Are Dead! (Turbonegro cover)

Ancient Spirits Of The Underworld

Knokkelmann

Morbid Fascination Of Death

Bloodcleansing

A Forest (The Cure cover)

Mask Of The Slave

When 1000 Moons Have Circled

I Am Possessed

He’s Turning Blue

Rock’n’roll Gloryhole

It’s Darker Than You Think

Suicide Song

Outro – Old House On The Hill

Con i Carpathian Forest autori del compito di aver portato le prime aure della notte su Chiaromonte, ora è il momento più atteso da tutti i thrasher qui presenti e motivo della venuta qui a questo Agglutination: ora è il turno di una delle band più attesa di questa edizione e fiore all’occhiello della stessa, i Death Angel!

Non appena il telone della band appare sul palco con i conseguenti primi boati dei fan, parte un lungo ed accurato setup audio per far sì che tutto fosse al punto giusto. La crew della band è numerosa e, nel mentre, dapprima il solo Ted Aguilar e poi successivamente Rob Cavestany, giungono sul palco allo scopo di effettuare le ultime prove. Basso e  batteria giungono di colpo sul palco e…sì, si parte!

Parte ‘Thrown to the Wolves’ ed ecco comparire Mark Osegueda il quale, sin dai primissimi attimi, fa a gara con lo storico Rob Cavestany nel risultare il più scatenato sul palco: il frontman corre, divarica le gambe  saltando di continuo in un mossa di Dickinsoniana memoria, mentre il chitarrista appare visibilmente scatenato, scaraventando la chitarra da una parte all’altra del corpo e, ovviamente, suonando a livelli degni di una divinità del Thrash!

La performance dei Death Angel, sia per la band che per la risposta del pubblico, è stata in assoluto una delle prove più intense, violente (nel senso buono) ed estenuanti nella storia del Festival.

Esagero? Affatto.

Ad ogni pezzo annunciato (undici in scaletta) il boato del pubblico era da denuncia e i fotografi, a giudicare dalle loro espressioni, eran visibilmente preoccupati per l’esito delle loro foto, data l’essere quasi del tutto restii, da parte di tutta la band, a restare immobili in una parte specifica del palco per più di 4 secondi!

La performance, nel frattempo, era sempre precisa al millimetro nonostante la band fosse letteralmente SCATENATA (il maiuscolo rende l’idea?). La scaletta del concerto riprende pressappoco quasi tuta la discografia della band, con i pezzi di “Frolic Through The Park” e “Killing Season” esclusi dalla tracklist di questa serata, con la band statunitense che predilige per certi versi molto di più il proprio repertorio più recente (da intendersi come post-reunion), forse a dimostrarne la validità dal vivo a dispetto di alcune recensioni non esattamente convincenti pervenute da tutto il Mondo. Il sound di palco diviene preciso come mai finora, le due chitarre vengono esaltate alla stessa maniera dal mix di palco e pure il basso ottiene lo spazio che merita.

Mark Osegueda (il quale urla a più riprese il nome del festival, creando uno strano senso d’incitazione al devasto più totale) e compagni, tengono un set di lunghissima durata ed intensità con un piglio sul palco che non si è mai smorzato di un briciolo, provocando così una reazione anche ancor più impazzita da parte del pubblico con un moshpit forsennato come mai visto durante la serata (e, che io ricordi, nemmeno alle precedenti edizioni del Festival a cui ho potuto presenziare). Il pogo si faceva sempre più intenso man mano che la performance andava avanti, incitato da Osegueda e dal bassista Damien Sisson, quest’ultimo più volte disponibile a restare immobile dinanzi ai fotografi sfornando ampi sorrisi!

Circle Pit, Wall of Death e tante, tantissime urla fino alla fine, proprio quando il frontman urla a gran voce l’ultimo pezzo della propria scaletta, facendo tenere bene a mente ai presenti che si tratta dell’ultimo pezzo dell’ultima data in assoluto del tour di supporto all’ultimo album: ‘Evil As One’ viene così annunciata in maniera positivamente isterica, con una band che, a momenti, pareva talmente presa ed agitata che, una volta tornata a casa, sarebbe stato più opportuno rinchiudere in qualche ospedale psichiatrico della Bay Area tanto sembrava ormai in preda al delirio più totale!

Finito il pezzo, il fetore di sudore dalle prime file appare un qualcosa di percepibile anche al meno sensibile degli olfatti: Osegueda urla con orgoglio la provenienza della band dalla Bay Area e ringrazia a più riprese l’organizzazione la quale, da 25 anni, “tiene in piedi un festival entusiasmante qual’è questo Agglutination”.

Oltre un’ora di salti, urla, musica ad altissimo volume e caos controllato (grazie anche al sapiente lavoro della security, sempre abile nel gestire i vari crowdsurfing che arrivavano in serie a pochi secondi di distanza l’uno dall’altro): cosa si potrebbe di chiedere più da un concerto Metal?

Stasera si è fatta la storia, gente…ma il meglio non è ancora finito.

Setlist Death Angel:

Thrown to the Wolves

Claws In So Deep

Voracious Souls

Father of Lies

The Moth

Seemingly Endless Time

The Dream Calls For Blood

The Ultra Violence/The Pack

Humanicide

Kill as One

Nuovo cambio di palco, con i Napalm Death anch’essi richiamati a gran voce dal pubblico una volta che il gigantesco tendone col logo è stato piazzato sullo sfondo del palco. La formazione britannica, i padri del Grindcore (assieme ai non meno seminali Repulsion, personalmente parlando, ma con i Napalm Death si è assistito comunque alla nascita del Grindcore socialmente impegnato), sono pronti a dar fuoco e fiamme sul palco Agglutination. Il soundcheck è a suo modo lungo, anche se molto meno di quello effettuato dalla band precedente, il cui ricordo si è appena ficcato indelebile nelle menti dei partecipanti, tuttora sudati e quasi estenuati, ma con ancora un briciolo di forze conservato per dar man forte al set dei ‘bombaroli’ britannici.

Il quartetto compare sul palco un poco per volta: prima è il solo Shane Embury (personaggio di una gentilezza del tutto inaudita, squisitamente britannica, da me precedentemente incontrato nel backstage per una breve chiacchierata al volo) a presenziare sul palco, per poi farsi raggiungere dal resto della crew. Un breve intro rumoristico, nel frattempo che il buon Mark ‘Barney’ Greenway giunga sul palco, ed ecco che ‘Multinational Corporations’, pezzo d’introduzione dello storico “Scum”, dà inizio alle violente danze capitanate dal quartetto britannico.

La setlist è, rispetto a quella dichiarata ufficialmente dalla band nella scaletta, ampiamente rivisitata ed improvvisata per l’occasione, allo scopo di rendere ogni singolo concerto diverso dal precedente: infatti, da qualche parte rispetto a quella che leggerete essere la setlist ufficiale, si sono sentiti vaghi echi di una ‘Instinct of Survival’ e una cover di ‘The Stench of Burning Death’ dei Repulsion, eseguite rigorosamente ad una velocità superiore rispetto a quella proposta in studio.

Giusto nel primissimo pezzo, Greenway appariva leggermente svociato e, personalmente, stavo temendo il peggio in quanto non sarebbe mai stato facile eguagliare il caos di pubblico generato dalla band precedente…ma è stata questione di un attimo, anzi precisamente è stata una questione di un pezzo di pochi secondi qual è stato ‘It’s a M.A.N.S. World’ per riportare l’ugola del caro ‘Barney’ a livelli devastanti. La formazione viaggia speditissima, violentissima, con un Greenway intento nelle sue tipiche ‘scorribande da jogging’ (passatemi il termine…come diamine dovrei definirle?) da una parte all’altra del palco, tra un urlo e un altro…tutta la formazione appare in buon stato di forma, forse un po’ provata (ma solo leggermente), almeno a giudicare dalle espressioni sul loro viso, dall’orario tardo o proprio dal lungo tour che la sta vedendo protagonista.

Il set è come già detto violentissimo e Greenway presenta ogni pezzo nel migliore dei modi al punto che, spesso e volentieri, la durata dei suoi discorsi ha superato abbondantemente quella del pezzo eseguito…ma alla fine che ci vogliamo fare? It’s Grindcore, folks! Particolarmente esilarante è stato il momento in cui la band ha eseguito pezzi brevissimi, di nemmeno 10 secondi o poco più, e nel mentre, approfittando di una distrazione generale del pubblico, ha eseguito ‘You Suffer’, suscitando così l’ilarità generale. Greenway presenta anche, tra le varie cose, la ormai consueta cover di ‘Nazi Punks Fuck Off’ dei Dead Kennedys, introducendola con le seguenti parole:

<< …beh, questa è una canzone antifascista, presente in un vecchio LP dei Dead Kennedys di qualche anno fa… >>

E così, tra sfuriate velocissime, imprecazioni antidittatoriali contro il politico corrotto di turno (anche qualche attuale figura politica nostrana attualmente in carica non è stata certo risparmiata), momenti predicatori a tutela della libertà individuale (il tutto con un perfetto accento britannico), un simpatico siparietto dove il pubblico ha, dopo numerosi tentativi, insegnato al buon Greenway come pronunciare correttamente la più famosa bestemmia italiana (che non riporto, dato che non avrei molta voglia di esser cacciato dalla redazione, ma sappiate che il buon Greeway ha interagito col pubblico con un “P***o D**…what does it mean?” e, una volta imparata la perfetta pronuncia, replica con un “Well…so, double Porc…” …ooook, fermati…censuraa, censuraaaaa), l’ora e mezza di esibizione scorre via veloce e, quando la conclusiva ‘Smear Campaign’ giunge al termine, la stanchezza regna sovrana.

Un pubblico sì pogante e violento, ma la cui violenza non era certamente al livello dell’esibizione precedente proprio a causa della stanchezza suscitata da quest’ultima (l’area di pubblico pogante era stavolta però molto più ampia), ha inoltre contraddistinto tutta la loro esibizione tra spintoni, scazzottate improvvisate (rigorosamente in spirito ‘friendly’ e casinaro) e qualche dente rotto!

Da segnalare alcuni problemi ai microfoni, a cui il buon Greenway da perfetto gentleman britannico ironizza a più riprese con un ‘…hey gente, mi sa che dovreste sostituirmelo!’ (e viene effettivamente sostituito) mentre lo storico Shane Embury (ai cori) reagisce, sul finale, con una espressione a dir poco scazzata.

Tolto ciò…nulla di troppo impegnativo da segnalare.

Grandi Napalm, una garanzia.

Adesso scusate, ma sento addosso nuovamente la stanchezza generata da tali momenti, se ripenso a tutto ciò…

Setlist UFFICIALE (con improvvisazioni) Napalm Death:

Multinational Corporations

It’s a M.A.N.S. World

Smash a Single Digit

 (On the) Bring of Extinction

Practice What You Preach

Continuing War on Stupidity

Greed Killing

Suffer the Children/The Code is red… Long Live the Code

Unchallenged Hate

Cesspits – Inside The Torn Apart

Standardisation

Scum

Life?

Deceiver

The Kill

You Suffer

Dead

Nazi Punks Fuck Off (Dead Kennedys cover)

Persona non Grata

Smear Campaign

 

Il trionfo di pubblico è stato la cosa sicuramente più soddisfacente: sapere che 25 anni di festival son stati ripagati con un pubblico decisamente numeroso (oltre 1600 persone, stando alle voci) che rendeva l’area decisamente poco cavalcabile è sicuramente a livello personale una gran rottura (nel corso delle ultime tre band spostarsi anche solo di pochi metri era molto difficile a causa dell’elevata quantità di gente), ma, ragionando in termini individuali, è un grandissimo gesto di ringraziamento nei confronti del Deus Ex Machina Gerardo Cafaro, il quale sicuramente si sentirà non poco soddisfatto nel vedersi ripagato in questa maniera. E noi con lui.-

L’unica nota negativa di questa edizione, a detta di molti paganti, è stata rappresentata dal leggero rimpolpo dei prezzi i prezzi di cibo e bevande (non saprei, forse la birra, l’acqua costava uguale…) rispetto alle precedenti edizioni ma, musicalmente, nulla da eccepire. Personalmente, segnalo anche un sound di palco in alcuni casi meno efficace delle precedenti edizioni, con la chitarra/le chitarre che a voltaecopriva/coprivano eccessivamente il basso o la voce e così via, ma man mano che le sinole band si esibivano, il tutto veniva corretto al meglio. Certo è che, rispetto al passato, ciò avveniva con maggiore lentezza, però è anche una cosa per cui il pubblico non pare essersi minimamente lamentato e questa è la cosa più importante.

Si brinda nella speranza di altre venticinque edizioni, allora…forza Gerardo, forza Agglutination.

Ogni anno, sempre meglio: l’Agglutination è come il vino.

Giuseppe Casafina (Testo)

Daniele Parisi (Foto)