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Kanseil, Old Roger’s Revenge, Sacro Ordine

Di Marco Donè - 7 Maggio 2018 - 10:00
Kanseil, Old Roger’s Revenge, Sacro Ordine

Bella iniziativa dell’associazione Summer Music di Lonca di Codroipo (Ud) che, in occasione della partecipazione all’Ethnic Fest di Gradisca d’Isonzo, lo scorso primo maggio ha invitato al proprio stand tre band del Nord-Est, chiamandole a presentare ognuna una propria canzone e a rispondere a delle brevi domande per approfondire l’argomento. Le formazioni coinvolte sono state i veneti folk metaller Kanseil, i defender goriziani Sacro Ordine e gli stoner-heavy metaller triestini Old Roger’s Revenge. Truemetal.it ha avuto l’onore di essere chiamato a condurre le interviste, così non abbiamo perso tempo e abbiamo inviato in loco il nostro Marco Donè per poter dare voce a questo interessante evento.

 

Buona lettura!

 

Interviste a cura di Marco Donè

 

 

KANSEIL

 

 

Ciao Luca, vado subito con la prima domanda: nel mondo metal il folk ci ha sempre regalato un fenomeno curioso. Molte formazioni tendono a trattare nei propri testi tematiche legate alle tradizioni nordiche, il più delle volte ben lontane da quelle del territorio di provenienza. Voi, invece, andate controtendenza, trattando espressamente tradizioni e avvenimenti storici della vostra terra, ricorrendo spesso all’uso dei dialetti. Una mossa per diversificarvi dagli altri ed essere quindi riconoscibili, o un qualcosa dovuto a un vero sentimento di appartenenza?

Entrambe le cose. Il folk metal che ci piace è quello che propone le tematiche della propria terra nella propria lingua, per cui senza vergognarci delle nostre origini abbiamo voluto fare lo stesso, senza prendere in prestito quelle degli altri. Le tematiche di cui trattiamo ci stanno molto a cuore, e la musica è il nostro modo per esprimerlo.

 

Cosa pensate di quelle band che seguono la tendenza del momento e trattano temi derivanti da altre culture?

La musica è libertà di espressione per cui ognuno è liberissimo di trattare le tematiche che preferisce. Noi supportiamo la scena e suoniamo spesso con band italiane che trattano di tematiche, per esempio, nordiche, senza problemi.

 

Nel vostro primo disco, “Doin Earde”, avete composto una canzone in cui avete affrontato il disastro del Vajont, intitolata ‘Vajont’, appunto. Una delle pagine più buie della storia italiana, in cui i soldi e l’interesse di pochi hanno prevalso sulla collettività, generando distruzione e sofferenza. Che sensazioni avete provato nel comporla e che sensazioni provate quando la suonate?

Comporre questo brano è stato complesso per via della tematica delicata, sia per il testo che per la musica che lo accompagna, ma era un qualcosa che ci sentivamo di dover fare, per richiamare l’attenzione su una tematica ancora molto attuale. È molto emozionante vedere il pubblico tutto a un tratto raccolto e attento durante questo pezzo. Per noi è molto emozionante suonarlo live e siamo contenti che il pubblico abbia apprezzato.

 

Secondo voi, quello che è successo il 9 ottobre 1963 è riuscito a trasmettere un insegnamento all’uomo e alla società attuale, o si è rivelato un disastro che potrebbe ripetersi?

Quello del Vajont è stato un episodio nel quale sono stati messi gli interessi di pochi, delle grandi imprese private dell’energia davanti a quelli della società. L’assenza di rispetto per la natura e l’ignorare la sicurezza stessa per la vita delle persone per favorire l’interesse di pochi è una realtà a cui ancora oggi bisogna stare attenti per non farsi mettere i piedi in testa.

 

Il vostro secondo lavoro, “Fulìsche”, uscirà il prossimo 25 maggio. Oggi ci presentate una sua canzone. Di cosa parla e perché la scelta è ricaduta proprio su questa traccia?

Vi presentiamo “Densilòc”, di cui abbiamo recentemente pubblicato un lyric video. “Densilòc” nel dialetto dell’Alpago significa “nessun luogo” ed è un pezzo che si discosta leggermente da quelli che solitamente componiamo, molto più melodico e sognante. Parla delle emozioni e paure che uno prova in un’immaginaria camminata solitaria. L’abbiamo scelta in quanto secondo noi esprime bene il nostro nuovo sound di questo album, per dare un assaggio ai fan prima dell’uscita.

 

 

Pagina facebook: https://www.facebook.com/Kanseil/

 

 

OLD ROGER’S REVENGE

 

 

Ciao Roberto, voi siete di Trieste. Abitate in una zona di confine tra Italia e Slovenia, con la possibilità di suonare in entrambe le nazioni, facendo quindi girare, da subito, il vostro nome anche in un territorio diverso da quello nazionale. Dal punto di vista musicale, degli eventi, delle possibilità e della professionalità, che differenze ci sono tra la realtà slovena e quella italiana?

Ciao Marco, grazie. Si, noi abitiamo in confine e in dieci minuti sei in un’altra nazione. Questo ci dà diverse possibilità. Ci siamo formati nel 2014 e abbiamo suonato varie volte in Slovenia in diversi festival, creando amicizie anche con la vicina Croazia. Siamo sempre stati trattati con i guanti. Dal punto di vista musicale potrei dire che ho trovato una cultura rock radicata in tutte le età. Eventi organizzati professionalmente e tecnici del suono molto attenti. Molte volte i soundcheck non durano più di dieci-quindici minuti. Un pubblico molto coinvolto che ci ha dato sempre dei buoni feedback ed emozioni. Poi tutto il mondo è paese. Lì, rispetto a noi, non hanno una fiscalità tartassante, quindi è meno oneroso organizzare un evento. Da noi tra tasse, bolli e burocrazia, devi essere un eroe a organizzare un evento. Una cosa che sto notando è che pure lì stanno arrivando paletti riguardo orari e decibel. Una nota pericolosa che mi permetterei di aggiungere è che lì una birra media costa 2.50 euro, vuol dire che se sei rock’n’roll è come vivere nell’ El Dorado. Quel che succede dopo, è leggenda.

 

Una delle caratteristiche che vi contraddistinguono sono i testi di protesta contro un sistema corrotto e oppressivo, che limita la libertà dell’individuo. Tematiche che non affrontate solo nelle vostre liriche ma che cercate di rendere “vive” attraverso un immaginario piratesco. Ti andrebbe di approfondire questo argomento?

Quando ho voluto formare questa band, volevo creare qualcosa da battaglia a livello di impatto sonoro e visivo, che includesse la cultura del posto in cui viviamo. Siamo in una città di mare che nei secoli scorsi ha avuto un fluente trascorso di commercio e di pirateria. Da qui prendiamo i valori di libertà e ribellione socioculturali caratterizzati dai movimenti della pirateria del XVIII secolo. Principi che influenzeranno tutta al storia del rock’n’roll. Noi siamo un po’ la voce dei contribuenti scontenti dopo dieci anni di crisi. Un po’ come tre secoli fa quando marinai scontenti delle condizioni di vita a bordo dei mercantili e corsari a cui venivano attribuite inique ricompense decisero di rifarsi una vita fuori dalle regole dello stato. Parliamo di vita, dei problemi di tutti i giorni, di emanciparsi dai dogmi della società odierna. Di eguaglianza e saperci prendere ciò che ci spetta senza timori. A volte la libertà è un processo che viene dall’interno. Il mare è l’archetipo che collega il tutto, dove navigare è la metafora di vivere. È dal mare che viene il mio blues. Dal punto di vista visivo cerco di dare un senso alla nostra musica e alle nostre tematiche, facendo un crossover tra i valori di un tempo e l’attualità.

 

E ora, anche per voi, arriva il momento della presentazione di un vostro pezzo. Parlaci di cosa tratta la canzone e perché la scelta è ricaduta proprio su questa traccia.

Ho scelto “The Sea Lane” che sarà presente nel nostro album e che si può già ascoltare on-line. Una canzone che ha sempre colpito tutti fin da subito, veloce, d’impatto ed efficace. Un titolo allegorico per una canzone che parla del non dubitare di sé stessi e non de-naturalizzarsi dietro i consigli di terze persone che cercano di modellarti a seconda dei loro gusti personali. Indicando loro la giusta rotta a spasso sull’asse, dove portare le loro opinioni con eloquenza nelle profondità.

Un saluto a te Marco e a tutti i lettori di TrueMetal.it. A presto

 

 

Pagina facebook: https://www.facebook.com/ORRBand/

 

 

SACRO ORDINE

 

 

Ciao Paolo, la prima domanda è quasi d’obbligo. Il vostro nome completo è Sacro Ordine dei Cavalieri di Parsifal. Un nome alquanto curioso. Qual è la genesi che vi ha portato a questa scelta?

Ciao Marco, come darti torto! Pensa a due metallaroni fumiganti in un locale “alla moda”, una ballerina di lap dance sul cubo e i due, invece di filarsela, se ne stavano al banco a bere birroni da mezzo argomentando sui vari personaggi delle epopee epiche degli ultimi millenni e sui loro valori. Così fra una parola e l’altra, con qualche birra di troppo in groppa, naque il nome Sacro Ordine dei Cavalieri di Parsifal, a ricordare un eroe che della “semplicità” e dell’assenza di preconcetti è riuscito ad ascendere alla verità. La sera successiva, gonfi ma tronfi, abbiamo fatto la prima session di prove!

 

Il vostro disco di debutto, “Heavy Metal Thunderpicking”, è uscito lo scorso 10 aprile, via Sliptrik Records. In generale, nel movimento metal stiamo notando una riscoperta del passato, con molte band che ripropongono soluzione stilistiche figlie dirette degli anni Settanta, come accade con l’attuale boom dell’occult rock. Anche la vostra proposta guarda al passato ed è figlia diretta dell’heavy metal dei primi anni Ottanta. Il futuro del genere sta quindi nella riscoperta del passato?

In realtà questo è il nostro primo cd prodotto sotto contratto (nello specifico con Sliptrick); la nostra prima release, della cui lineup ormai siamo rimasti solo io e Carlo, risale al 2005. Sinceramente non abbiamo mai prestato troppa attenzione alla catalogazione dei generi o alle mode, esprimiamo semplicemente ciò che proviamo, allora come adesso. Penso che alla musica non debbano essere posti dei confini e soprattutto che le scelte compositive non possano venir dettate da esigenze prettamente commerciali. Credo che negli ultimi anni il livello tecnico medio si sia alzato molto, con produzioni di qualità inimmaginabile fino allo scorso ventennio, ma che il livello creativo non abbia tenuto il passo. In definitiva, ciò che ha sempre contraddistinto un gruppo da un altro è l’impronta, non la scelta di quale cliché utilizzare.

 

Oggi ci presentate una canzone dal vostro debut album, che tematiche trattate nel testo e perché la scelta è ricaduta proprio su questa traccia?

“Blood of Your Roots” è una canzone che riprende e va a concludere la traccia d’apertura “Ace of Clubs”, ispirata al primo gruppo caccia “Asso di Bastoni” capitanato da Visconti, e, di conseguenza, il disco. È una canzone evocativa e dai toni cupi che, a differenza delle battaglie epiche nei cieli d’Italia raccontate nella traccia d’apertura, esprime la sua condanna per un patto non rispettato, che avrà poi delle conseguenze sulle radici su cui si fonda la Repubblica Italiana. In un periodo così caotico come la fine del secondo conflitto mondiale, in un’Italia sconvolta dalle lotte intestine e da una palese mancanza d’identità, alcuni degli esponenti politici annoverati fra i primi rappresentanti del Paese furono gli stessi che non tennero fede al patto, bagnandolo con il sangue della controparte.

 

 

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