Recensione: 12:5

Di Ares982 - 23 Marzo 2004 - 0:00
12:5
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Anno: 2004
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83

Confesso che mentre stavo scartando la plastica di questo primo live degli svedesi Pain Of Salvation, non sapevo cosa aspettarmi di preciso. Un album acustico: intrigante, ma come verranno rese canzoni in cui tastiere e chitarre elettriche sono alla base delle atmosfere oniriche di Remedy Lane e a tratti maestose di A Perfect Element? Per scoprirlo entriamo anche noi nel teatro di Eskilstuna, e scopriamo gli strumenti che Gildenlow e soci useranno per farci viaggiare attraverso la magia delle loro opere: chitarre acustiche, basso acustico, violoncello, pianoforte, clavicembalo e batteria. Ora ci sediamo trepidanti e incuriositi..
La band propone i suoi classici divisi in 3 momenti: Genesis, Genesister e Genesinister. Il primo vede una certa continuità melodica e di una rara finezza distribuita tra la bellissima Leaving Entropia, This Heart Of Mine e Song For The Innocent, rese con una delicatezza veramente magistrale. Ma se pensate che Gildenlow abbia voluto costruire una serata di tutto relax per le orecchie degli astanti, vi sbagliate. Cullate dalle suddette note arriva la parte centrale dell’album, e qui inizierete veramente a non avere dubbi sulla maestria con cui I PoS sanno gestire. plasmare e definire ogni tipo di suono, acustico o elettrico qualsivoglia. Genesinister ci propone la stupenda Winning A War, che senza irrompere con sonorità potenti si insinua subdola e sublime nelle nostre menti, spianando la strada alla recente Reconciliation: se avete apprezzato questa song in Remedy Lane andrete veramente in visibilio per la versione acustica, in cui le voci di Gildenlow, Langell e Hallgren tessono intrecci melodici a cui fanno eco la chitarra di Daniel e il pianoforte di Hermansson, spezzati ironicamente solo dal basso di Kristoffer Gildenlow, autore a metà brano di una citazione da Star Wars che diverte il pubblico svedese. La tensione viene rotta da Dryad of The Woods, canzone che non fatica ad adattarsi alla versione acustica, ma che ne viene comunque impreziosita dal geniale pianoforte di Hermansson, mai complicato ma mai banale, veramente preziosissimo ai fini del risultato finale. L’attenzione viene rifocalizzata sul sound dalla successiva Oblivion Ocean, ma sopratutto da quel capolavoro che è Undertow. Un’arrangiamento ricco, martellante e maestoso, che riempie brevemente l’aria di struggenti note come se avesse alle spalle un’intera orchestra. Ma attenzione, se pensate che Genesister si chiuda così su questo masterpiece, vi sbagliate. La canzone acustica per eccellenza, Chainsling ci attende sulle dita dei 5 maestri nordici, ed è un’esplosione di sentimento, ossessione, in cui carne e cuore gridano tra i cori opprimenti e chitarre uscite direttamente da una fiera delirante nella testa di un pazzo. Non finirò mai di riconoscere Chainsling come una delle canzoni più geniali degli ultimi anni, e qui splende in tutto la sua sinistra grandezza.
Il concerto volge al termine con Genesinister, che si presenta nelle vesti prog di The Thing That Never Was adattata al tema di Idioglossia (brano nominato Ascend I e II ), ma che poi sfocia nella dolcezza di Second Love. Prima di chiudersi con il coinvolgente blues di Brickwork Descend II , il disco ci propone forse l’unico neo di questa strabiliante performance. Ricordate la oscura e maledetta Ashes di A Perfect Element I? Ebbene, qui l’arrangiamento acustico l’ha stravolta, trasformandola in una canzone dai toni leggeri, che nello storico ritornello si fa spensierata laddove era pesante e malinconica.
Nonostante questo piccolo passo falso, 12:5 è veramente un capolavoro, molto più che un diversivo nell’attesa del nuovo studio album. Riconoscerete in questo live quello che vi ha fatto innamorare dei Pain Of Salvation, e scoprirete nuovi lati tecnici e artistici che ve li faranno amare ancora di più.

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