Recensione: A Land Long Gone

Di Stefano Ricetti - 29 Settembre 2025 - 8:28
A Land Long Gone
Etichetta: No Remorse
Genere: Heavy 
Anno: 2025
Nazione:
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77

In questo mondo che va sempre più veloce, anche in ambito hard and heavy, fa particolarmente piacere incappare, di tanto in tanto, in una band che non spara dischi a raffica uno dietro l’altro , secondo il perverso ma probabilmente reale, di questi tempi, adagio secondo il quale se si esce dal seppur flebile cono di luce del successo, o quantomeno della visibilità,  si è presto dimenticati e soppiantati seduta stante da altri presunti competitor.

I Professor Emeritus, metaller di Chicago attivi sin dal 2010 e dal nome eccentrico, accostabile più a un gruppo Blues o Jazz che non HM, si ripresentano sulle scene a livello di uscite discografiche a distanza di otto anni dal debutto Take Me To The Gallows, targato 2017. Così come allora, la label permane la greca No Remorse Records.

Se tutto quanto fa ritenere i musicisti dell’Illinois una compagine vecchia maniera, nel frattempo  passata da quattro a cinque componenti, stride constatare che, rispetto al disco precedente, ben tre elementi siano stati sostituiti. Fuori il chitarrista Tyler Herring, il batterista Pat Gloeckle e il cantante MP Papai e dentro i nuovi  Jose Salazar (basso), Tyler Antram (chitarra), Chris Avgerin (batteria) e Esteban Julian Pena (voce, e che voce…). Unico membro storico rimasto il chitarrista Lee Smith.

Fa specie notare che, nonostante il notevole turn over sopra descritto l’anima degli Emeriti Professori sia rimasta inalterata perpetuando lo spirito contenuto dentro Take Me To The Gallows. Il fatto di fluttuare amabilmente fra l’heavy classico, l’Epic roccioso e il Doom dalle tinte più chiare – o meno oscure – senza mai dimenticarsi di appartenere geograficamente al filone US Metal si perpetua anche lungo l’ascolto degli otto brani ricompresi dentro A Land Long Gone, questo il titolo del nuovo lavoro oggetto della recensione.

Un coacervo di sonorità figlie della lezione impartita originariamente dai Black Sabbath e poi ripresa brillantemente dai Candlemass, il loro, fondamentalmente, che man mano si coniuga su tonalità diverse a seconda delle varie declinazioni assumendo ora le vesti  degli Iron Maiden (“A Corpse’s Dream”), ora quelli dell’eroica à la Manilla Road che non passa mai di moda (“Defeater”) esattamente come la fuliggine sollevata dall’accoppiata  “Pragmatic Occlusion” insieme con la stentorea “Kalopsia Caves”. Citazione a parte per l’umbratile e straniante “Hubris”, traccia decisamente intrigante. Da sottolineare: nessun filler evidente presente, cosa non così scontata per come “gira” adesso il mondo hard’n’heavy, perennemente ingolfato di nuove uscite.

A Land Long Gone: un album interessante, dal fascino antico.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

 

 

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