Recensione: A Twist in the Myth

Di Alessandro Zaccarini - 11 Settembre 2006 - 0:00
A Twist in the Myth
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Anno: 2006
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Fuori dal teatro e dentro al labirinto, per un sentiero musicale che non conosce eguali nel metal classico…

Dopo due capolavori di perfezione unica come ‘Imaginations from the Other Side’ e ‘Nightfall in Middle Earth’, restare su quei livelli avrebbe significato eccedere il genere umano, e una band è pur sempre fatta di uomini. Nel caso dei Blind Guardian dal gusto e dalle qualità divine, certo, ma pur sempre uomini. Ecco allora che ‘A Night at the Opera’ arrivò a incarnare uno delle ossessioni più antiche dell’uomo: la ricerca dell’onnipotenza. Un’ambizione che nel caso dei Blind Guardian era già stata raggiunta con i due episodi sopra citati e che in ‘A Night at the Opera’ svanisce anche per il vizio dell’eccesso. Un vizio e non una perversione, perché quei difetti germogliati da un’opulenza sfarzosa non hanno intaccato il valore assoluto di un disco che nella scena di oggi nessuno può nemmeno permettere di pensare. Figuriamoci di scrivere e suonare.

‘A Twist in the Myth’ non è un ritorno al passato né un cambio di rotta: è semplicemente il proseguo di un discorso musicale intrapreso più di venti anni or sono in una città del Nordrhein-Westfalen. Un componimento arrivato al suo ottavo capitolo, una tappa che mai nessuno si sarebbe aspettato di trovare quando ‘Battalions of Fear’ inaugurava una delle saghe più incredibili di questa musica. Un capitolo che nessuno si sarebbe aspettato di trovare nemmeno durante quegli anni ’90 in cui i Blind Guardian detonarono definitivamente inaugurando con ‘Tales from the Twilight World’ una serie ininterrotta di magnifiche sorprese.

Il nuovo pargolo del Guardiano Cieco è snodato in undici momenti di sorprendente eclettismo dove la musica dei bardi alemanni muta di volta in volta mantenendo quel minimo denominatore comune che ne conferisce l’esclusiva eccezionalità. Un dado dalle molteplici facce sempre diverse ma sempre e comunque vincenti.


This Will Never End
Quando ci si trova ad ascoltare un disco dei Blind Guardian, vecchio o nuovo che sia, una sensazione colpisce costantemente ogni mente attenta: i continui punti di contatto. Nei dischi del passato ci sono i germogli di quello che sarà, nel disco del presente il frutto esploso da quel bocciolo. This Will Never End è un manifesto di tutto ciò: un vortice capace di sballottarti tra il riffing e il drumming di ‘Tales from the Twilight World’ e gli intrecci vocali della nuova era, tra la sorpresa dei germogli del futuro e la riconferma di un passato che nessuno intende abbandonare. Un brano aggressivo, serrato, che però non dimentica quella ricerca melodica che da sempre contraddistingue il songwriting dei Blind Guardian.

Otherland
C’è una parola che calza a pennello per brani come Otherland, ed è capolavoro. Il gusto portato all’estremo, una prosa musicale snodata tra cori inarrivabili e sezioni di sconvolgente perfezione per un racconto che si estranea da ogni riferimento temporale: non è metal del passato, non è metal del presente, non è metal del futuro: sono i Blind Guardian e basta, una band che stilisticamente viaggia in solitudine su un’altra dimensione. Un gruppo con un estro evocativo da fa impallidire compositori di generi più alti, qui alle prese con un brano vario e un chorus da brividi lungo la schiena. Olbrich, al solito, a guidare con il suo gusto sopraffino il duo chitarristico.

Turn the Page
È impressionante la facilità con cui i Blind Guardian siano in grado di scostare quella moltitudine di band che invano marciano cercando di deporre i bardi di Krefeld dal seggio del regno che loro stessi hanno eretto. Basta un solo brano per ricordare che anche se Time Stand Still ha ormai otto anni e Somewhere far Beyond quattordici, i signori indiscussi di questo modo così sublime e maestoso, incisivo e mai mieloso di intendere l’inclinazione epica del power metal, restano soltanto loro. Incalzante, cadenzata, dettata da cori e tempi dal sapore chimerico e dalle maniere proprie delle narrazioni fantastiche Turn the Page prende posto a fianco di episodi come Battlefield, nella schiera più epica e melodica della famiglia Blind Guardian.

Fly
È un balzo notevole quello che dai reami incantati di Turn the Page ci catapulta a quella Fly che coraggiosamente aprì la strada a ‘A Twist in the Myth’ alcuni mesi or sono. Chitarre ritmiche aggressive e in grande evidenza (come non fu sempre in ‘A Night at the Opera’) e una sezione ritmica da lasciare senza fiato. Sì, perché tra break e bridge rallentati, nei riff di Fly si scatenano i Blind Guardian più irruenti. Una condotta che sconvolge come non mai all’inizio, ma che ascolto dopo ascolto manifesta tutte le sue trame, in una continuità che si rivela con impressionante naturalità. Manca quasi del tutto la venatura epica che caratterizzò tanti classicissimi, il ritornello è quanto di più atipico ci si possa aspettare… eppure il brano tuona il nome ‘Blind Guardian’ in ogni sua parte. Sognante e schiaccia-ossa allo stesso tempo, farcita di accorgimenti di una finezza sconvolgente.

Carry the Blessed Home
Eleganza e raffinatezza ancora in pompa magna per una semi-ballad da brividi, composta e suonata con un gusto quasi cinematografico, da imponente colonna sonora. Supportate da partiture di batteria perfettamente riuscite le detonazioni delle ariose parti vocali si intrecciano a una cornamusa semplice e lineare in un capolavoro di malinconia e delicata passione. Sulla scia di Blood Tears e The Maiden e the Ministrel Knight, a parere di chi scrive decisamente più intensa della sua parente più prossima di ‘A Night at the Opera’.

Another Stanger Me
Grazie agli dei della musica non esistono catene o paraocchi in quel dei Twilight Hall Studios, e se Hansi e compagni decidono di concretizzare un amore mai nascosto per il rock classico degli anni ’60 e ’70, non sussistono stupidi dettami morali o musicali che possano impedirlo. Another Stranger Me è insieme a Fly l’episodio più atipico del lotto, un brano tanto hard rock quanto power metal, che prende le sonorità accattivanti dell’uno e la potenza ritmica dell’altro e le confluisce saggiamente in una simbiosi valida ma discretamente ostica per le orecchie meno propense alle contaminazioni tra generi. Ennesima conferma che ‘A Twist in the Myth’ non è un disco per tutti.

Straight through the Mirror
Torna a salire in cattedra Andrè Olbrich, maestro di quel modo di concepire la musica attraverso lead melodici che rinnegano il riffing schematico e le strutture pre-confezionate, e torna la dimensione musicale di Otherland. Straight throught the Mirror (che fu Market Square durante le sessioni di registrazioni) avvolge e trascina, rapisce e porta via, attraverso quello specchio tanto caro ai bardi di Krefeld, passaggio per un mondo le cui porte si aprono ormai ogni quattro anni. Se le guide verso l’other side sono ciceroni di tale maestosa portata, resterà sempre un piacere attendere quattro primavere prima di poter crogiolarsi con una nuova creatura dei Blind Gurdian.

Lionheart
Se A Twist in the Myth presenta un anello meno saldo e forte degli altri, questo è sicuramente Lionheart: un pezzo che richiama molto da vicino le sonorità di Precious Jerusalem ma che gioca troppo sulla dimensione oscura perdendo parte di quel carisma e di quella carica che da sempre fanno parte del patrimonio genetico dei pezzi dei Blind Guardian. Su un panno di velluto in cui giacciono gemme perfette, un taglio sbagliato può compromettere il valore diuno dei pezzi…

Skalds and Shadows
Undici anni dopo a Past & Future Secret i Blind Guardian rispolverano gli stracci umili e logori dei bardi girovaghi. Il risultato è come sempre commovente e gravido di quel sentimento ancestrale proprio dei sogni a occhi aperti. Skalds & Shadows raccoglie l’eredità dei capolavori acustici che hanno segnato il periodo di mezzo, unendone gli stilemi in un pezzo da brividi. Il brano nasce su una struttura molto vicina a The Bard’s Song – In the Forest (un arpeggio semplice e pieno di passione per l’antico, armonizzato la seconda volta) e si muove su lande molto vicine a A Past and Future Secret, con un flauto – portato alla causa dal nuovo batterista Frederik Ehmke, che è cresciuto nella musica folk – che impreziosisce il sentimento vetusto di questo malinconico racconto dei bardi del Nord. Rispetto alla versione del singolo di ‘Fly’, Skalds and Shadows si arricchisce di alcuni elementi sinfonici che dalla prima armonizzazione dell’arpeggio iniziale in poi arricchiscono il supporto alle melodie soliste, le quali restano invece praticamente invariate.

The Edge
Con The Edge entriamo in un’accoppiata finale ormai tipica dei Blind Guardian: un brano serrato e potente seguito da un composizione dai ritornelli larghi e dall’incedere epico e malinconico. Fu così in Imaginations (Another Holy War / And the Story Ends), in Nightfall (When Sorrow Sang / A Dark Passage), in ‘A Night at The Opera’ (Punishment Divine / …And then there was Silence) ed è così anche in ‘A Twist in the Myth’. The Edge è solenne e cadenzata, aggressiva e grave, talvolta quasi austera per la quadratura rigorosa con cui si evolve tra sezioni ritmiche a limite del mid-tempo e accelerazioni che mettono in evidenza le notevolissime doti del nuovo arrivato Fredrik Emke.

The New Order
Eccolo il gran finale dell’edizione standard, ecco di nuovo i Blind Guardian a giocare con gli inni malinconici e senza tempo, virando da dolci strofe acustiche a esplosioni corali fino a pattern più serrati come quello che costruisce lo scheletro ritmico dell’assolo. Epilogo dai toni profondi e dalla dimensione quasi cerimoniale.

Ancora una volta, non è un disco facile, e come ogni opera che rinnega la banalità e i canoni precostruiti in nome dell’unicità, una volta compresa e fatta propria ripagherà il fruitore con gioia e devozione assolute.
La musica usa e getta, è altrove.
I dischi di facile assimilazione, sono altrove.
Le etichette, sono altrove.
I fronzoli barocchi rapinati alla musica classica, propri del power precostruito, sono altrove.
Qui c’è un disco studiato nei minimi particolari, una band che ancora una volta stupisce per gusto e ricercatezza, un metal classico d’avanguardia che tiene ancorato nella tradizione il patrimonio genetico della sua evoluzione.

Le band cambiano, a volte possono non andare nella direzione che vogliamo, ma il rinnovamento è necessario ed è saggio e auspicabile non cadere nell’errore di scambiare un disco che non segue i gusti personali con un passo fatto in direzione sbagliata. La grandezza va riconosciuta al di là della rotta, e il cammino dei Blind Guardian, un itinerario fatto di coerenza e innovazione, è quanto di più si possa chiedere a una formazione che con il proprio talento sta continuando a segnare la storia di questa musica. Di band che per scelta o incapacità restano immobili ad aspettare il fantasma della monotonia, depositario dell’inevitabile declino, ce ne sono già troppe. Di band che lo spettro del passato ridondante ha già divorato, ancora di più.

Toglietevi il paraorecchie e aprite il cuore, da un decennio a questa parte di dischi così ne esce uno ogni 4 anni, e sempre con lo stesso monicker.

Tracklist:
01. This Will never End
02. Otherland
03. Turn the Page
04. Fly
05. Carry the Blessed Home
06. Another Stranger Me
07. Straight trough the Mirror
08. Lionheart
09. Skalds & Shadows
10. The Edge
11. The New Order

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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