Recensione: A World Full of Grey

Di Luca Palmieri - 27 Luglio 2007 - 0:00
A World Full of Grey
Band: Eyefear
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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72

Un motto popolare (e ampiamente sfruttato nell’ambito del power) dice: “Squadra che vince non si cambia”. Ebbene, questi giovanotti australiani non hanno abbandonato il sentiero intrapreso col precedente lavoro, “9 elements of inner vision”, ed anzi hanno aumentato i loro sforzi, che, come vedremo, hanno ampliato alcuni aspetti a discapito di altri.
Gli Eyefear, capitanati dal trio Con Papazoglou, Rob Gorham e Zain Kimmie (rispettivamente chitarra, basso e batteria), ci offrono una prestazione abbastanza buona, esente da imperfezioni e da sbavature, costruendo all’interno dei 50 minuti e passa del disco un mosaico di sensazioni ed emozioni molto particolare; Balance of power, Fates Warning, Vanden Plas e Queensryche echeggiano un po’ ovunque, anche se bisogna dar merito ai canguri di aver saputo metabolizzare le lezioni dei vecchi maestri e averci presentato un prodotto che mantiene una sua certa originalità.

La struttura su cui s’articolano le composizioni è propriamente power, anche se la vena progressive si insinua prepotentemente nel songrwriting, e tutti brani sono permeati di un alone di oscurità e di malinconia, supportata da elementi neoclassici e da melodie, vocali e non, che si potrebbero paragonare ad un cielo uggioso di fine novembre.
Ed il punto è proprio questo: il disco non fa della immediatezza la sua bandiera, e ci vogliono svariati giri di player prima che esso si presenti nella sua bellezza all’ascoltatore. Indubbiamente i brani proposti sono “lenti”, e soprattutto ai primi ascolti la tentazione di premere il bottoncino con le due freccette è forte; superato però questo momento di empasse, il platter scorre relativamente tranquillo.

Dicevo in apertura che alcuni aspetti ereditati da “9 elements of inner vision” ricevono maggior risalto in questo disco, ebbene se da una parte viene ridotta la dinamicità dei brani, dall’altra la presenza molto più marcata delle tastiere e delle melodie amplifica la prestazione dietro il microfono di Danny Cecati, che concilia bene melodie vocali pulite e aggressive.
Bisogna però dire che questo sbilanciamento degli arrangiamenti in favore della vocalità risulta in alcuni casi stucchevole: il chorus della title-track su tutti, ma in generale in tutto il platter le canzoni si succedono quasi come un omogeneizzato per bambini. Le highlights sono quelle con la maggior presenza di elementi power che danno una scossa alla quietudine del disco, quali “Searching for forgiveness”, “Lost Within”, “Whispers Of The Soul” (la più aggressiva del disco) e “Breathe Again”.

La title-track, come dicevo, è godibile, ma le melodie vocali e i gorgheggi ripetuti all’infinito inevitabilmente stancano. E permettetemi di fare un appunto su “Moments”. Che senso ha? Perché una intro ad una canzone (“The eyes tell no lies”) totalmente staccata dalla stessa? A dirla tutta, la sensazione atmosferica prende molto, le tastiere, gli effetti, Danny che sospira “The eyes tell no lies”… E poi? Stop. Finisce di colpo, e la traccia successiva parte con una intro di pianoforte… E continua sugli stessi livelli di “A world full of grey”, con continui gorgheggi e con una sezione centrale di quasi un minuto che sembra registrata con un copia&incolla. L’ultima traccia è una versione light di “Searching for forgiveness”, che ben poco aggiunge alla sostanza.

SOUNDS GOOD?

Voce – Danny ci sa fare, è indubbio. In alcuni passaggi sembra quasi di ascoltare sua Santità Bruce Dickinson, ma la sua ricerca continua del gorgheggio e della nota tenuta ad oltranza diviene in molti casi davvero tediosa. Non basta saper raggiungere acuti altissimi per essere un cantante bravo. L’importante è essere personali.

Chitarre – Tutte registrate da Con Papazoglou. Riff ben eseguiti, ritmiche senza sbavature, assoli ben composti. Fa il suo dovere, ma gli arrangiamenti e la produzione (come vedremo) non lo fanno “uscire fuori”. Peccato.

Basso – Ordinaria amministrazione. Niente di particolare viene chiesto a Rob Gorham, e lui niente di particolare compone.

Batteria – Per fortuna c’è Zain Kimmie a movimentare un po’ il disco. I patterns sono arrangiati molto bene, e la sua classe vien fuori quando si cimenta in cambi di tempo eseguiti con precisione.

Tastiere – Evidentemente, dalla recensione avrete capito che un buon 60% del songwriting è di derivazione di Sam Giacotto. Compito eseguito molto bene, è capace di creare melodie davvero evocative .

Produzione – Rispetto al precedente lavoro, “9 elements of inner vision”, la produzione è più pompata, ma continua a mantenere alcuni aspetti negativi: le tastiere sono troppo prevaricanti, e il suono del rullante è sproporzionato al resto del drum-kit (tranne la cassa, che esce con un bel suono).

In conclusione, questi giovanotti ci sanno fare, ma la loro bravura viene troppo sbilanciata in favore di un songwriting che penalizza la chitarra. Le canzoni sono pesantucce da ascoltare, ma conservano comunque una loro originalità. Spero che i loro prossimi sforzi siano dedicati a dare una maggiore dinamicità alle loro composizioni, altrimenti c’è il rischio di creare un clone di questo “A world full of grey”, che sento di consigliare solo agli appassionati del power-progressive ricco di mid-tempo e di atmosfere claustrofobiche.

Si dice che il terzo album sia quello più importante per una band. Dopo “Edge of existence” e “9 elements of inner vision”, credo che bisogni aspettare ancora e sperare che il loro momento migliore arrivi presto.

Luca “NikeBoyZ” Palmieri

Tracklist:
1. Searching For Forgiveness
2. A World Full Of Grey
3. Changes
4. Lost Within * MySpace *
5. Moments
6. The Eyes Tell No Lies
7. Whispers Of The Soul * MySpace *
8. Haunted Memories
9. Breathe Again
10. Searching For Forgiveness [Radio Edit]

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