Recensione: Absconditus

Di Daniele Ruggiero - 28 Aprile 2018 - 17:00
Absconditus
Band: Assumption
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2018
Nazione:
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80

La mente è una miniera misteriosa e contorta, gli Assumption aprono un varco ed iniziano a scavare, scavare nel profondo. In un sonno allucinato, l’embrione dell’angoscia inizia a svilupparsi sotto forma di sonorità cupe e dense come catrame bollente. Il fiume di bitume appiccicoso, che scorre all’interno della miniera, è popolato da creature inimmaginabili che puzzano di morte. I loro tentacoli emergono sinuosi in superficie, ipnotizzati dai colpi lenti e feroci di doom che il duo siciliano impone con veemenza. Qui non esiste la luce, qui ci si perde nell’oscurità di sé stessi.

“Absconditus” è il nuovo cammino etereo di una band molto interessante che quattro anni fa pubblicò il primo EP “The Three Appearances” per poi inabissarsi in un periodo di stasi meditativa. Gli Assumption tornano prepotentemente alla ribalta grazie ad un lavoro dettagliato e mastodontico che ha poco da invidiare alle band più blasonate del genere. La Everlasting Spew Records, ancora una volta, punta il proprio faro nella direzione giusta scovando, tra le acque tormentate del vasto oceano metal, un galeone tanto spettrale quanto prezioso.

Il disco si compone di soli tre brani della durata complessiva che sfiora i quaranta minuti. La magia inconsueta circonda la tormentata discesa verso qualcosa di cui si ha la certezza di conoscere ma che in realtà nasconde inaspettate sorprese. Il funeral doom dei Nostri aleggia come un gas invisibile tra i tornanti vertiginosi di questa cava infernale nella quale appaiono trepidi fuochi fatui di autentica psichedelia. Il viaggio è impresa ardua, è un’esplorazione segnata dal terrore che si propaga al cospetto di rumorose frane materializzate in sonorità tipicamente death. Sensazioni soffocanti si amalgamano attorno al proprio io, capace di elevarsi ad un livello cosmico costruito ad hoc dagli Assumption. La band, nel corso di questo pellegrinaggio perverso, infonde suoni dilatati e mortiferi in grado di scaraventare l’anima nell’angolo della desolazione. La polvere della memoria viene spazzata via, lasciando affiorare dalle scure viscere, splendidi ricordi simili a diamanti le cui origini derivano dall’ispirazione di mostri sacri quali Esoteric e Demilich.

Il growl roccioso e viscerale scandisce il tragitto eterno della sofferenza che, ad occhi chiusi, pervade l’itinerario della follia. Ad un certo punto del cammino sembra di dover trascinare un peso simile ad un dolore infinito, così ossessionante da tramutarsi in una corsa verso l’epilogo. I due lunghi brani, infatti, mutano spesso il proprio aspetto: i ritmi cadenzati subiscono improvvise accelerazioni come accade nel finale di ‘Beholder of the Asteroid Oceans’. In ‘Liberation’, come un’alta marea divora la spiaggia, l’oscurità della decadenza viene lentamente sopraffatta da un magma brillante di sonorità quasi floydiane che ne risaltano l’originalità. Anche durante i “soli” sei minuti di ‘Resurgence’, i Nostri evidenziano le proprie doti camaleontiche regalando una significativa esperienza sonora in grado di concatenare i principali capitoli del disco.

“Absconditus” è la spirale infinita dei pensieri umani che divora la coscienza, è il tarlo diabolico che non smetterà mai di svuotare la propria preda finché il nulla non circonderà la vita che non gli appartiene.

Mente e musica rimangono le uniche risorse inesauribili.

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