Recensione: Aeon Unveils the Throne of Decay

Di Yuri Fronteddu - 26 Febbraio 2015 - 12:00
Aeon Unveils the Throne of Decay
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2014
Nazione:
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68

I Downfall of Gaia nascono nel 2008 ad Amburgo come un quartetto post metal. Il gruppo si fa conoscere nel 2010 col suo full “Epos”, un ottimo agglomerato di sludge e doom, inscritto in un’elegante cornice post-metal. Segue nel 2012 “Suffocating in the Swarm of Cranes”, non deludente anch’esso, sebbene leggermente più arcuato, dal punto di vista tecnico. Si arriva infine al 2014, anno di uscita di “Aeon Unveils the Throne of Decay”, firmato Metal Blade, album qui preso in esame.

Il prodotto stupisce quasi spaventosamente l’ascoltatore, poiché in esso vi sono sperimentate influenze più atmosferiche e dark. Il folle tentativo del gruppo di eseguire questo salto di qualità è decisamente interessante, ancorché rischiosissimo.
Partiamo con la prepotente e di lunga durata “Darkness Inflames These Sapphire Eyes”, in cui è presente tutta la possibile foga da parte di ogni componente (doppia grancassa stile death, scream e growl imponenti stile black, schitarrate e giri di basso tipici doom), che evolve a mo’ di concept nella sua successiva “Carved Into Shadows”, anch’essa di ampia durata e simile alla precedente.
La forza bruta dei Downfall of Gaia si attenua con la terza strumentale, “Ascending the Throne”, e il suo tassello mancante, “Of Stillness and Solitude”, dove ritmiche lente e riffing più melodici “ristabiliscono l’ordine armonico”, ma senza rimuoverne di troppo la veemenza.
Quest’ultima riprende in maniera parossistica nella quinta, “To Carry Myself to the Grave”, e nella penultima, “Whispers of Aeon”, in cui il gruppo adora manipolare il materiale con tecniche post-sludge e ritmica progressive.
Esse precedono il very ending strumentale, “Excavated”, brano che gioca sull’intraprendente raffinatezza di un romanticismo atmosferico e melodico, generato nella sua introduzione da un suono armonico di una delle due chitarre. L’atmosfera doom iniziale evolve in un quasi arrangiato post-sludge, che assume infine sembianze quasi black/death.

L’innovatività sperimentale dei Downfall of Gaia, in questo disco, funziona quasi alla perfezione, se non fosse per la ridondanza generale di alcuni refrain, che prendono dai due ai tre minuti e possono leggermente appesantire l’ascolto. Tuttavia, il nuovo meccanismo del gruppo va e gli ingranaggi girano senza difficoltà, specie dal punto di vista stilistico. Risulta dunque evidente che la band, ormai, ha deciso di svoltare verso una nuova direzione, più tecnica e perfezionata della precedente.

Yuri Fronteddu

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