Recensione: Age Of Aquarius

Di Paolo Beretta - 30 Marzo 2009 - 0:00
Age Of Aquarius
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Anno: 2009
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67

La cosa che più mi aveva dato fastidio, come un pugno di sabbia gettato nelle lenzuola del letto, in New Era non era stato tanto il sound derivativo come era lecito attendersi, bensì i titoli altisonanti scelti per formazione e disco. C’era bisogno, mi chiedo io, di scomodare parole come rivoluzione, nuova era e rinascita (del power ovviamente) per un progetto di Timo Tolkki che si muove rigorosamente sulle vecchie note degli Stratovarius? D’altro canto bisogna dare atto al guitar hero finlandese che le canzoni presenti sul debutto dei Revolution Renaissance erano scritte per la sua vecchia band e di conseguenza non potevano che rimandare al passato. Ma quel titolo a maggior ragione mi pare sia stato un tentativo di spacciare un prodotto in vecchio stile per un succulento prototipo. Mah, acqua passata per fortuna. Adesso, finalmente, le cose si sono messe a posto dopo un anno ed i Revolution Renaissance possono muovere i primi veri passi. Dopo aver ringraziato i superinterpreti canori del debutto (Sammet, Kiske e Pasi Rantanen) hanno assoldato un singer a tempo indeterminato (Gus Monsanto dagli Adagio) e la nuova era può cominciare posticipata, e senza ulteriori intoppi, con Age Of Aquarius con la produzione della nostrana Scarlet Records.  

Riffing graffiante in simbiosi con una voce bassa e sporca che quasi urla strofe granitiche per una hit cadenzata e da sede live di appena 3 minuti. Un riuscito mordi e fuggi con quel pizzico di melodia in fase di assolo per suggellare una buona scarica di heavy metal classico. La testé descritta, Behind The Mask, è un salmone lasciato morire nel deserto; tutto il resto è Stratovarius dei lavori più recenti.

Niente rivoluzione, come era lecito attendersi, a partire dal cantato di Monsanto. In diversi capitoli un tentativo, anche riuscito, di imitare Kotipelto con estensioni vocali poco pronuncia e tanta pulizia allungando la nota presa fino all’esasperazione per suggellare cori magniloquenti e pomposi con l’uso pesante di orchestrazioni. Come va di moda in casa Strato da qualche tempo, poca doppia cassa, ma tantissimi mid tempo e canzoni allungate oltre modo per scavare con ogni ripetizione del coro (un trademark questo) nella nostra mente uno spazio per le discrete/buone linee melodiche trovate. Si parte così con calma con la catchy Title Track che alterna arpeggio a riff per sottolineare oltre modo il ritornello, mentre stona l’assolo fin troppo elaborato e veloce per le tinte grigie proposte. Stessa ricetta con un po’ più di velocità e forte richiamo al recentissimo passato per Sins Of My Beloved, mentre le orchestrazioni quasi soverchiano il riff nella mastodontica marcia Ixion’s Wheel. Un arpeggio a mo’ di stampella per sorreggere l’ugola inizialmente fragile che prende coraggio e vigore nel prevedibile crescendo del lento canonico Ghost Of Fallen Grace.
Sempre sui soliti comprovati binari dell’alternanza tra metal possente e calma piatta giunge l’estenuante ed ipnotica Heart Of All che per 7 minuti ripete n volte + 1 il refrain che, per quanto azzeccato, alla lunga mi ha nauseato. Come se tutto ciò non bastasse giunge la successiva So She Wears Black. E’ inquietante come la struttura del brano sia uguale a quella del precedente con un uso da pesi massimi della tastiere ed un cantato fotocopia per strofe leggere contrapposte a pomposi bridge e ritornello in un ossessivo crescendo che supera i 7 minuti. La fine del disco è prossima e con essa una delle parti più succose con l’intro di Kyrie Eleison. Sarà che quell’usignolo in sottofondo sulle morbide note del piano mi ricorda la mia ex (un soprano), ma ho apprezzato oltremodo anche il cantato di Monsanto delle prime strofe. Voce calda e passionale che mi ha portato alla mente addirittura Matos. 3 minuti davvero convincenti e poco importa se nel prosieguo, anche in questo caso, si tende ad esagerare con la durata.  
Un bel flauto, giro di basso per la marcia folcloristica Into The Future capace di creare un’insolita (per il sound del disco) atmosfera festaiola ed allegra senza tuttavia essere troppo pacchiana. Un inno leggero e spensierato che, con le melodie indubbiamente più accattivanti del prodotto, sembra fatto apposta per far cantare i fans e salutarli con un sorriso dopo un’esibizione dal vivo.

Sono certo che per i fans più accaniti questo cd, nonostante le fastidiose somiglianze con il passato, assumerà i connotati del must imperdibile. Per quanto sia quasi allergico a pezzi che per struttura elementare non giustificano durate superiori ai 5 minuti, devo ammettere che le melodie trovate dal grande mestierante e leader della band sono buone. Come già espresso nella breve descrizione dei brani ritengo in alcuni casi fuori luogo gli assoli veloci, energici e puliti di un voglioso Tolkki che, a mio parere, poco hanno a che fare con un sound generale malinconico se si esclude la finale Into The Future. Produzione non eccelsa (alzate a dovere il volume e sentirete un sound non proprio pulitissimo) ma comunque più che accettabile e non penalizzante per un cd che si ascolta con piacere su comprovati territori. Niente rivoluzione e rinascita dunque. Age Of Aquarius lo preferisco a New Era (al quale avrei dato un 60), ma mi pare di essere solo al cospetto di un discreto disco di power metal neoclassico e sinfonico con un moniker diverso per Tolkki.

Top Songs: Ixion’s Wheel, Behind The Mask, Into The Future, Kyrie Eleison.
Skip Song: Sins Of My Beloved.

Tracklist:

1. Age Of Aquarius * mp3 *
2. Sins Of My Beloved
3. Ixion’s Wheel
4. Behind The Mask
5. Ghost Of Fallen Grace * mp3 *
6. Heart Of All
7. So She Wears Black
8. Kyrie Eleison
9. Into The Future

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